Il grande mescolamento: il ruolo vitale degli oceani e le conseguenze del riscaldamento globale

Per capire davvero cosa significhi “riscaldamento globale”, dobbiamo prima capire come funziona il sistema che, da sempre, modera il clima della Terra: gli oceani. Sono loro, infatti, il gigantesco ingranaggio nascosto che regola la distribuzione del calore, l’equilibrio dell’umidità e la circolazione dell’energia termica sul nostro pianeta.

Le acque oceaniche non stanno mai ferme. Si muovono in superficie, spinte dai venti; si muovono in profondità, guidate da variazioni di temperatura e salinità. In questo continuo rimescolamento – silenzioso, ma potentissimo – si nasconde il segreto della nostra stabilità climatica. Ogni corrente trasporta calore dai tropici verso i poli e viceversa, mitiga le temperature, distribuisce nutrienti e sostiene la vita marina.

È un equilibrio delicato, raffinato, essenziale. E proprio per questo vulnerabile.

Se le acque si muovono meno, se non si mescolano più come dovrebbero, l’intero sistema comincia a rallentare, a scompensarsi. Il clima si fa più estremo, le piogge più irregolari, le stagioni meno distinguibili.

Ecco perché non possiamo davvero comprendere il cambiamento climatico senza prima esplorare i meccanismi che governano il movimento delle acque nei grandi corpi idrici: oceani, mari, fiumi, laghi.

A partire da qui, cercherò di spiegare – con l’aiuto della fisica e della chimica – come funzionano i movimenti orizzontali e verticali delle acque e perché sono così importanti per la regolazione del clima. Solo dopo, potremo affrontare il nodo centrale: cosa succede quando, a causa dell’aumento delle temperature globali, questi meccanismi si inceppano.

Le grandi correnti: il vento comanda

Partiamo dalla superficie. Le acque degli oceani sono spinte dai venti, ma non in modo casuale. Intorno all’equatore, ad esempio, gli Alisei soffiano da est verso ovest e trascinano con sé le acque superficiali. Alle latitudini medie (tra 30° e 60°), i venti occidentali spingono invece le correnti verso est.

Quando queste correnti incontrano i continenti, vengono deviate. Ed è qui che entra in gioco la forza di Coriolis: un effetto legato alla rotazione terrestre che curva i flussi d’acqua verso destra nell’emisfero nord e verso sinistra in quello sud. Il risultato? Enormi vortici oceanici che formano veri e propri “nastri trasportatori” d’acqua calda e fredda.

Uno degli esempi più noti è la Corrente del Golfo, che trasporta acque tropicali lungo la costa orientale del Nord America fino all’Europa occidentale, regalando inverni miti a paesi come il Regno Unito e la Norvegia.

Come illustrato in Figura 1, le acque superficiali degli oceani (fino a circa 100 metri di profondità) si muovono orizzontalmente, spinte soprattutto dai venti. La presenza dei continenti ne modifica il percorso, generando ampie correnti che si piegano e si avvolgono in vortici permanenti, visibili in tutti i principali bacini oceanici.

Figura 1. Rappresentazione delle principali correnti oceaniche superficiali. A causa della presenza dei continenti, le correnti deviano dal loro percorso originale, generando grandi vortici oceanici. Immagine scaricata liberamente da: https://www.freepik.com/free-photos-vectors/ocean-currents-map.

Le correnti profonde: il ruolo del sale e della temperatura

Ma c’è un altro motore, più lento, silenzioso e profondo: il rimescolamento verticale. È un processo meno visibile rispetto alle correnti superficiali, ma non meno importante. In alcune regioni del pianeta, come le zone tropicali aride o le aree polari, l’acqua in superficie subisce trasformazioni che ne modificano profondamente la densità.

Nelle aree calde, per esempio, l’evaporazione intensa concentra i sali nell’acqua residua. Più sale significa maggiore densità: e un’acqua più densa tende naturalmente ad affondare verso gli strati profondi dell’oceano.
Al contrario, in altre zone l’acqua può essere diluita da piogge abbondanti o dallo scioglimento dei ghiacci, diventando più dolce e meno densa, e quindi destinata a risalire.

Anche la temperatura gioca un ruolo cruciale. Quando l’acqua marina si raffredda intensamente – come accade ai poli – tende a ghiacciarsi. Durante il congelamento, però, il ghiaccio espelle i sali: ciò che resta intorno ai blocchi di ghiaccio è un’acqua estremamente salina e fredda. Questo liquido denso sprofonda verso il fondo oceanico, innescando così un flusso verticale che alimenta la circolazione delle acque a grandi profondità.

Questo meccanismo prende il nome di circolazione termoalina: un termine che unisce l’effetto della temperatura (“termo”) a quello del sale (“alina”, dal greco halos). È grazie a questa lenta ma continua danza tra acque fredde, salate e profonde, e acque più calde e superficiali, che l’oceano riesce a rimescolarsi in profondità, mantenendo in equilibrio il trasporto di calore, nutrienti e anidride carbonica tra gli strati più esterni e quelli abissali.

Il grande nastro trasportatore globale

Combinando i movimenti orizzontali delle acque – spinti dai venti – con quelli verticali – governati da differenze di temperatura e salinità – si ottiene un colossale circuito planetario che i climatologi chiamano Global Conveyor Belt, ovvero nastro trasportatore oceanico globale.

È un sistema mastodontico, profondo e lentissimo. Le acque che oggi affondano nel Nord Atlantico, gelide e ricche di sale, possono impiegare fino a mille anni per completare il loro viaggio nei fondali oceanici e riaffiorare in superficie dall’altra parte del mondo. Una corrente profonda che scorre a pochi centimetri al secondo, eppure fondamentale per la vita sul pianeta.

Quello che si viene a creare è un ciclo continuo: le correnti calde e superficiali (come la Corrente del Golfo) trasportano calore dai tropici verso i poli; lì, l’acqua si raffredda e sprofonda, diventando corrente fredda e profonda che scivola silenziosamente nei meandri degli oceani, fino a riemergere in zone tropicali o subtropicali, dove riprende il viaggio in superficie.
Questo meccanismo globale è illustrato nella Figura 2.

Figura 2. Rappresentazione semplificata della circolazione termoalina, nota anche come Global Conveyor Belt. Le correnti calde e superficiali (in rosso) scorrono verso le regioni polari, dove l’acqua raffreddata e più salina sprofonda, originando correnti fredde profonde (in blu) che si muovono attraverso gli oceani fino a riemergere nelle regioni tropicali, completando il ciclo. Immagine liberamente disponibile su https://www.freepik.com/free-photos-vectors/ocean-currents-map.

Quando il nastro si inceppa

Tutto questo sistema – perfetto, lento, ma vitale – può essere compromesso. Il riscaldamento globale sta alterando proprio quei meccanismi che regolano la circolazione termoalina, interferendo con la densità delle acque superficiali nelle zone chiave del pianeta.

Nelle regioni dove si formano le acque profonde, come il Nord Atlantico, il processo dipende dalla capacità dell’acqua superficiale di diventare abbastanza densa da affondare. Ma con l’aumento delle temperature globali, entrano in gioco due fattori destabilizzanti:

  • lo scioglimento dei ghiacci artici immette enormi quantità di acqua dolce nei mari;
  • l’intensificarsi delle precipitazioni diluisce ulteriormente le acque superficiali.

Il risultato? L’acqua resta più dolce, più calda, e quindi meno densa. Non affonda più come dovrebbe. E se non affonda, il motore si spegne.

Questo porta a un fenomeno ben noto in oceanografia: la stratificazione delle acque. Gli strati superficiali diventano sempre più stabili, separati da quelli profondi da un gradiente di densità così marcato da impedire ogni rimescolamento. È come se l’oceano fosse “bloccato a strati”, con uno strato leggero e caldo che galleggia sopra uno freddo e denso, ma senza più scambi attivi tra i due (Figura 3).

Le conseguenze sono profonde:

  • Il nastro trasportatore globale rallenta o si indebolisce, fino al rischio – non solo teorico – di un blocco parziale o totale.
  • Il calore non viene più redistribuito: i tropici si surriscaldano, le regioni temperate (come l’Europa nord-occidentale) rischiano un paradossale raffreddamento.
  • L’acqua profonda non riceve più ossigeno né nutrienti, danneggiando la vita marina.
  • In superficie, mancano i nutrienti che sostengono il plancton: cala la produttività biologica degli oceani.
  • E soprattutto: l’oceano assorbe meno anidride carbonica per due motivi. Da un lato, l’aumento della temperatura riduce la solubilità della CO₂ in acqua; dall’altro, la stratificazione blocca il rimescolamento, impedendo il trasporto della CO₂ in profondità. Il risultato è che più CO₂ resta nell’atmosfera, accelerando ulteriormente il riscaldamento globale.

È una spirale pericolosa, un meccanismo di retroazione in cui l’effetto rafforza la causa: più caldo → più stratificazione → meno rimescolamento → meno assorbimento di CO₂ → ancora più caldo.
Un classico cane che si morde la coda, ma su scala planetaria.

Figura 3. Meccanismo della stratificazione degli oceani. Il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci e l’aumento delle precipitazioni rendono l’acqua superficiale più calda e dolce, quindi meno densa. Questo riduce il rimescolamento verticale con gli strati profondi, limitando lo scambio di calore, nutrienti e la capacità dell’oceano di assorbire CO₂.

Conclusioni

Gli oceani non sono solo grandi riserve d’acqua: sono ingranaggi dinamici e complessi che regolano il clima terrestre, trasportano calore, rimescolano nutrienti e assorbono anidride carbonica. La loro capacità di farlo dipende dal delicato equilibrio tra venti, salinità e temperatura. Quando questo equilibrio si spezza — a causa dell’aumento delle temperature globali — il sistema si inceppa: le acque si stratificano, il rimescolamento si blocca, la circolazione rallenta.

Le conseguenze, anche se lente a manifestarsi, sono profonde: clima più estremo, ecosistemi marini impoveriti e maggiore accumulo di CO₂ in atmosfera. È una crisi silenziosa, ma già in atto.
Per capire e affrontare il cambiamento climatico, non basta guardare al cielo: dobbiamo guardare al mare, e comprendere come funziona — e come sta cambiando — il grande mescolamento degli oceani.

Questo articolo è parte di un percorso dedicato al riscaldamento climatico.
Nel primo appuntamento ci siamo chiesti perché, in un mondo sempre più caldo, possano verificarsi fenomeni estremi come piogge torrenziali e temporali improvvisi (leggi qui).
Oggi abbiamo esplorato il ruolo nascosto ma fondamentale degli oceani nella regolazione del clima.

Nel prossimo articolo parleremo invece di come l’attività umana stia alterando questi equilibri, e perché il riscaldamento globale non può più essere considerato un semplice fenomeno naturale.

 

Caldo globale, temporali locali: l’apparente paradosso

Introduzione

Negli ultimi anni, gli eventi meteorologici estremi sono diventati sempre più frequenti, sia in Italia che nel resto del mondo.
Una mappa interattiva dell’ISPRA, consultabile online, mostra chiaramente dove questi eventi si sono verificati in Italia tra il 2020 e il 2024. Si osservano piogge torrenziali, grandinate eccezionali, ondate di calore anomale e prolungate. Tutti segnali di un sistema climatico sempre più instabile.

Come conseguenza di queste anomalie, è sempre più comune imbattersi – soprattutto sui social – in discussioni o thread in cui si afferma che fenomeni come le alluvioni, seguite da bruschi cali di temperatura, smentirebbero l’esistenza del riscaldamento globale.
Una frase ricorrente è:

“Altro che riscaldamento globale: ieri grandinava e oggi ci sono 18 gradi!”

Chi vive in zone come Palermo – dove, negli ultimi anni, si sono registrati picchi termici estremi e livelli di umidità superiori all’80%, anche in pieno giorno – tende invece a riconoscere, in modo molto concreto, la realtà del cambiamento climatico.

“Orpo… che caldo. Veramente stiamo andando verso qualcosa che non abbiamo mai vissuto.”

Ma come si concilia tutto questo?

Come può il riscaldamento globale provocare temporali violenti, grandinate e persino abbassamenti improvvisi della temperatura?

Dobbiamo innanzitutto ricordare che la logica scientifica è controintuitiva. Non possiamo applicare al metodo scientifico la logica che usiamo tutti i giorni per collegare ciò che vediamo con ciò che pensiamo sia vero: la realtà fisica spesso sorprende e non si lascia interpretare con impressioni o sensazioni.

Sulla base di queste premesse, chiediamoci cosa accade sulla superficie terrestre quando la temperatura aumenta di un solo grado Celsius. Un grado può sembrare poco. Se tocchiamo una pentola a 70 °C proviamo lo stesso bruciore che a 71 °C. E non distinguiamo tra il freddo di 0 °C e quello di -1 °C.

Ma il pianeta non è il nostro palmo, né il nostro naso.

Nel sistema Terra, un solo grado può fare una differenza gigantesca: significa più energia, più evaporazione, più acqua nell’atmosfera. E più acqua nell’aria significa, potenzialmente, più pioggia, più violenza, più squilibrio.

Per capire quanto sia concreta questa affermazione, facciamo un semplice calcolo: stimiamo quanta acqua in più evapora dagli oceani quando la loro temperatura superficiale sale di un solo grado come, per esempio, da 25 °C a 26 °C.

Effetti della temperatura sull’equilibrio H2Oliquido = H2Ovapore

Per semplicità, consideriamo solo una porzione di oceano estesa per 100 milioni di metri quadrati (pari a 100 km²) e limitiamoci al primo metro d’aria immediatamente sovrastante. Vogliamo capire quanta acqua in più finisce nell’aria subito sopra l’oceano quando la sua temperatura sale di un solo grado, da 25 °C a 26 °C.

  1. L’equazione di Antoine

Per stimare la pressione di vapore dell’acqua alle due temperature, usiamo la formula empirica di Antoine, valida tra 1 e 100 °C:

log₁₀(P) = A − B / (C + T)

dove:

  • P è la pressione di vapore in mmHg,
  • T è la temperatura in gradi Celsius,
  • A, B, C sono coefficienti specifici per ciascuna sostanza (ad esempio, acqua, etanolo, acetone…) e validi solo entro certi intervalli di temperatura. Nel caso specifico dell’acqua: A = 8.07131; B = 1730.63; C = 233.426 (valori specifici per l’acqua in questo intervallo). Il riferimento per i valori numerici di A, B e C è qui.

Convertiamo poi la pressione in Pascal (1 mmHg = 133.322 Pa).

  1. I risultati

Applicando i valori:

  • a 25 °C si ottiene P ≈ 23.76 mmHg, cioè circa 3158 Pa;
  • a 26 °C si ottiene P ≈ 25.13 mmHg, cioè circa 3351 Pa.
  1. Calcolo della densità del vapore

Convertiamo ora la pressione parziale in densità di vapore acqueo (ρ), usando l’equazione dei gas ideali:

ρ = (P × M) / (R × T)

dove:

  • P è la pressione in pascal,
  • M è la massa molare dell’acqua (18.015 g/mol),
  • R è la costante dei gas (8.314 J/mol·K),
  • T è la temperatura assoluta in Kelvin.

Calcolando:

  • a 25 °C (298.15 K) si ottiene ρ ≈ 0.02295 kg/m³;
  • a 26 °C (299.15 K) si ottiene ρ ≈ 0.02431 kg/m³.
  1. L’aumento netto di vapore

La differenza di densità è:

0.02431 − 0.02295 = 0.00136 kg/m³

Moltiplichiamo per il volume d’aria (100 000 000 m³):

0.00136 × 100 000 000 = 136.000 kg

In altre parole, un aumento di temperatura di 1 °C (da 25 a 26 °C) genera 136 tonnellate di vapore in più, solo su una superficie di 100 km² e solo nello strato d’aria immediatamente sopra l’oceano.

E se fosse tutto l’Atlantico?

Se estendiamo il calcolo all’intera superficie dell’Oceano Atlantico – circa 116 milioni di km² – otteniamo:

157 800 000 000 kg, ovvero 158 milioni di tonnellate di vapore acqueo in più.

E questo, lo ripeto, solo nello strato d’aria immediatamente sopra la superficie, per un singolo grado in più.

Ma quei numeri non restano sulla carta. Entrano in circolo nell’atmosfera, e da lì comincia il loro impatto reale.

Dall’oceano alla pioggia: il viaggio del vapore

Ma cosa succede a tutta quest’acqua una volta entrata in atmosfera?

Viene trasportata dalle correnti. Quando incontra masse d’aria più fredde, condensa formando nubi e poi pioggia. Se la quantità di vapore è anomala, lo saranno anche le precipitazioni: brevi, violente, improvvise.

Inoltre, il vapore acqueo è attivo nell’infrarosso: è un gas serra molto più potente della CO₂, anche se molto più effimero. In climatologia si parla di feedback positivo: l’aumento della temperatura fa evaporare più acqua → il vapore trattiene più calore → aumenta ancora la temperatura → e così via.

Quella pioggia non è “contro” il riscaldamento: è il riscaldamento

Piogge torrenziali, grandinate e cali locali della temperatura non smentiscono il riscaldamento globale. Al contrario, ne sono una conseguenza. Il sistema Terra si scalda in media, ma localmente può produrre raffreddamenti temporanei proprio in risposta a squilibri energetici più ampi.

Conclusioni

Il calcolo che ho presentato è, ovviamente, una semplificazione. Non tiene conto del vento, della turbolenza, della salinità, né della reale dinamica verticale dell’atmosfera. Non pretende di descrivere con esattezza tutto ciò che accade nell’interazione tra oceano e cielo. Ma ha un obiettivo chiaro: rendere visibile, con i numeri, una verità che l’intuizione fatica a cogliere.

Perché la logica scientifica non coincide con il senso comune.

Come ho già scritto, nel nostro vissuto quotidiano, un solo grado in più non è nulla. Non percepiamo differenze tra 0 °C e -1 °C, tra 70 °C e 71 °C. Ma il sistema Terra non funziona secondo ciò che sentiamo sulla pelle: funziona secondo leggi fisiche. E in fisica, un solo grado può significare miliardi di tonnellate d’acqua in più nell’atmosfera. Significa più energia, più instabilità, più violenza meteorologica.

Paradossalmente, quello che percepiamo come una smentita del riscaldamento globale – la grandine, il temporale, il crollo improvviso delle temperature – ne è invece una manifestazione diretta.

Il clima risponde con intensità e disordine proprio perché è fuori equilibrio. E lo è, in parte, per colpa di quell’apparente “piccolo” grado in più.

La scienza ci dà gli strumenti per misurare, per capire, per anticipare.

Sta a noi scegliere se vogliamo continuare a confondere il temporale con una tregua, o iniziare a leggere in quelle piogge il segnale di un sistema che sta cambiando – e lo sta facendo sotto i nostri occhi.

Quella pioggia che ti ha fatto dire “ma quale riscaldamento globale?” è esattamente il motivo per cui dovremmo iniziare a preoccuparci.

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