Pillole di scienza: le meraviglie dell’aromaticità

Chiedo scusa ai miei lettori, ma questa pillola di scienza oggi è dedicata ai miei studenti ed a tutti quelli che hanno studiato la chimica organica. Per questo motivo userò un linguaggio poco divulgativo ed abbastanza tecnico.

Il linguaggio comune ed il linguaggio scientifico: usi ed abusi

Il termine “aromatico” viene attribuito, nel linguaggio comune, a un oggetto che emana un buon odore. Si tratta quindi di una qualità che viene associata a qualcosa di “buono”. Quante volte abbiamo sentito, o noi stessi abbiamo detto, “senti che buon aroma di caffè” oppure “hmmmm che buon profumo ha questa zuppa” laddove il termine “profumo” è sinonimo di “aroma”.

Ebbene, noi chimici, a causa delle limitazioni del nostro linguaggio, siamo abituati a prendere i termini comuni ed a cambiar loro di significato per attribuirne uno di carattere molto più tecnico. Ecco perché mi salta subito la mosca al naso quando sento le persone parlare di chimica o, più in generale, di scienza usando termini tecnici di cui, però, non conoscono il significato. Queste persone pensano che usare parole prese dal linguaggio scientifico e messe in fila in modo casuale dia un’àura di scientificità alle cose che dicono. Solo per citare pochi esempi mi vengono in mente quelli che esaltano la biodinamica scrivendo “robe” come quelle che vedete nell’immagine qui sotto. Cliccando sull’immagine si apre la pagina dalla quale ho fatto lo screenshot.

Che dire poi di quelli che si sono votati all’omeopatia, pratica esoterica di cui parlo abbondantemente in uno dei capitoli del mio libro “Frammenti di Chimica“? Ne ho già parlato tante volte. Alcune delle chicche sono analizzate nel link qui sotto:

Omeopatia, ultima frontiera

Cosa significa aromatico in chimica

Lasciamo da parte le polemiche e concentriamoci sul significato dell’aggettivo “aromatico” nel linguaggio chimico. Se cerchiamo sulla Treccani online, possiamo leggere:

aromàtico agg. [dal lat. tardo aromatĭcus, gr. ἀρωματικός] (pl. m. –ci). – […] In chimica organica, composti a. (così denominati perché vi appartengono molte sostanze aromatiche), serie di composti ciclici nella cui molecola sono contenuti uno o più sistemi a sei atomi di carbonio disposti ad anello (distinti in omociclici e eterociclici a seconda che ai vertici dell’anello si trovino tutti atomi di carbonio o anche altri atomi)

Questo è il classico esempio di informazione così generale da perdere completamente di significato in termini chimici. Infatti esistono tanti composti omociclici ed eterociclici che non hanno assolutamente la caratteristica di essere aromatici. E non necessariamente devono essere presenti sistemi ciclici a sei atomi di carbonio.

La regola di Hückel

Da un punto di vista chimico un sistema organico si dice aromatico quando:

  1. contiene 4n+2 elettroni π (con n intero e  ≥ 0)
  2. è ciclico e planare

In tutti gli altri casi il sistema si dice antiaromatico. I sistemi aromatici hanno come peculiarità la bassa reattività, ovvero elevata stabilità chimica.

Vediamo alcuni esempi di composti aromatici ed antiaromatici

Il benzene è un sistema ciclico con la struttura descritta nella figura seguente:

La posizione dei doppi legami cambia e le due strutture, del tutto equivalenti, sono indicate come ibridi di risonanza. Nel sistema π del benzene sono presenti 6 elettroni, ovvero rispetta la regola del 4n+2 per n=1. Qui sotto viene evidenziato come l’ibridazione (sp2) degli atomi di carbonio consenta alla molecola di avere una struttura planare.

Entrambe le condizioni della regola di Hückel sono rispettate ed il benzene può essere considerato un composto aromatico.

Prendiamo adesso in considerazione il [10]annulene qui sotto:

C’è un anello, ci sono 10 elettroni π. Il numero di elettroni nel sistema π segue la regola di Hückel del 4n+2 per n=2. Tuttavia il composto non è aromatico perché non ha una struttura planare:

(Fonte)

La non planarità è dovuta al fatto che gli atomi di idrogeno indicati nella figura sottostante si respingono per effetto sterico portando la molecola ad avere una struttura a twist.

(Fonte)

 

Lo ione tropilio

Quando si studia la chimica organica e si arriva al capitolo sull’aromaticità, ci si imbatte anche nello ione tropilio (o catione cicloeptatrienile) che viene, in genere, indicato come lo ione più grande avente caratteristiche aromatiche. Esso si ottiene per allontanamento dello ione idruro dal cicloeptatriene. Quest’ultimo, pur avendo 6 elettroni π (n=1 nella regola di Hückel), non è aromatico a causa di un carbonio sp3 che lo rende non planare. Quando lo ione idruro viene allontanato, tutti gli atomi di carbonio risultano di tipo sp2, il sistema diventa planare, il numero di elettroni è quello previsto dalla regola di Hückel e lo ione è aromatico.

I sistemi aromatici “giganti”

La regola di Hückel è un utile strumento per comprendere cosa significhi il termine “aromatico” in chimica . Questa regola è di applicabilità generale e può essere validata sperimentalmente attraverso l’uso della spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR). Infatti, gli elettroni del sistema π di un composto aromatico generano una corrente di anello (ring current) responsabile di un campo magnetico locale che si addiziona o si sottrae al campo magnetico applicato durante l’esperimento NMR. La variazione del campo magnetico dovuta alla corrente di anello comporta  uno shift dei segnali dei nuclei soggetti a tale fenomeno. Per un approfondimento di carattere didattico cliccare qui.

(Fonte)

La spettroscopia di risonanza magnetica nucleare è la tecnica usata per sfatare un mito in base al quale più grande è la molecola contenente 4n+2 elettroni π e più facilmente essa è in grado di deformarsi così da allontanarsi dalle condizioni strutturali che soddisfano la regola di Hückel.

Nel 2016 è stato pubblicato un lavoro (qui) in cui viene descritta una molecola aromatica contenente fino a 62 elettroni π (ovvero n=15 nella regola del 4n+2):

Come mai una molecola così grande, la più grande sintetizzata fino al 2016, si comporta come un sistema aromatico rispettando la regola di Hückel? Gli autori dell’articolo ipotizzano che l’enorme flessibilità della molecola consenta la coesistenza di tanti conformeri. Tra questi possono sussistere dei conformeri in cui le nuvole elettroniche di tipo π interagiscano tra loro in modo da portare ad una delocalizzazione elettronica in grado di soddisfare la regola di Hückel. Questa stessa spiegazione è stata usata per giustificare il comportamento aromatico di una molecola sintetizzata più recentemente (il lavoro è stato pubblicato il 20 Gennaio 2020, qui) contenente ben 162 elettroni π (ovvero n=40 nella regola del 4n+2). Si tratta di una vera e propria ruota gigantesca in cui coesistono 12 anelli porfirinici.

(Fonte)
Conclusioni

A questo punto mi potreste chiedere: ok. Bella tutta ‘sta storia, ma a che serve? Voglio evidenziare che la sintesi di molecole così grandi consente di mettere a punto protocolli che possono essere usati per la sintesi di molecole diverse e con attività biochimiche da sfruttare per l’elaborazione di nuovi farmaci. Per poter “vedere” queste molecole è necessario spingersi ai limiti delle tecniche analitiche più utilizzate in chimica. Questo vuol dire che vengono migliorate le caratteristiche di tecniche che possono diventare di applicazione sempre più ampia e consentire di arrivare a limiti finora inesplorati. Infine, queste molecole aromatiche giganti possono essere utilizzate per studiare gli effetti quantistici a livello nanoscopico ben oltre i limiti imposti dalle dimensioni della costante di Planck.

Quando leggo queste notizie, che per me sono affascinanti perché mi consentono di immergermi in un mondo tutto mio, mi ricordo perché mi sono innamorato della chimica ed ho fatto del mio hobby il mio lavoro.

Letture consigliate

Even Huge Molecules Follow the Quantum World’s Bizarre Rules

Quantum superposition of molecules beyond 25 kDa

Porphyrin wheel sets record as largest aromatic ring

[62]Tetradecaphyrin and Its Mono- and Bis-ZnII Complexes

Global aromaticity at the nanoscale

Fonte dell’immagine di copertina

Le figure di Chladni e la pseudoscienza definita “cimatica”

Avete mai visto figure geometriche come quelle rappresentate in Figura 1 che vengono chiamate figure di Chladni? Belle, vero? Sapete quante volte mi sono trovato a leggere in rete delle elucubrazioni mentali (per non chiamarle in altro modo) in merito all’origine di queste figure? Addirittura c’è chi dice che sono delle rappresentazioni fisiche degli orbitali (SIC!).
Ma andiamo con ordine
Gli effetti scenografici delle figure di cui mi accingo a parlare sono oggetto di una particolare branca della pseudoscienza che va sotto il nome di cimatica. La cimatica nasce piuttosto recentemente. Nel 1967 un tale Hans Jenny, affascinato dagli esperimenti di Chladni del 1787 in merito alla propagazione delle onde nei mezzi solidi, trae delle conclusioni abbastanza arbitrarie sulla natura delle figure geometriche riportate in Figura 1 e chiamate “figure di Chladni” in onore di colui che per primo le ha studiate. Per non andare troppo per le lunghe, Jenny asseriva che le vibrazioni di tutti i materiali (fino ad arrivare alle vibrazioni atomiche) sono in grado di modellare la materia. In pratica, le frequenze delle vibrazioni sono responsabili delle forme materiali che noi conosciamo. Anche le cellule sono soggette a specifiche vibrazioni con determinate frequenze a seconda delle quali predomina una forma animale piuttosto che un’altra. Da qui è facile lo sviluppo di tutta una serie di pseudo teorie sulle vibrazioni energetiche che determinerebbero l’origine delle malattie o, in generale, dello stato di salute degli organismi viventi (un esempio di queste pseudo teorie è riportato qui  e qui).

Figura 1. Esempi di figure di Chladni
Come stanno davvero le cose?
La storia completa è che Jenny era un medico, non un fisico. Evidentemente le sue conoscenze di fisica elementare erano piuttosto povere. Inoltre, era anche un seguace delle pseudo teorie scientifiche di un tal Rudolf Steiner vissuto a cavallo tra il XIX ed il XX secolo ed autore delle teorie sull’agricoltura biodinamica di cui mi riservo di dare informazioni in un nuovo post.
Le “figure di Chladni” sono generate dal processo di vibrazione di una placca metallica su cui è disposta della sabbia. Immaginate la lastra in due sole dimensioni come nella Figura 2 (l’esempio in due dimensioni è quello della corda vibrante. Quando si pensa alla piastra metallica, si passa alle tre dimensioni).

Figura 2. Propagazione di un’onda in una corda vibrante (fonte: Wikipedia)
Se fate vibrare la lastra tra i punti 0 e 1 otterrete un’onda con una certa frequenza. Se disponete la sabbia sulla lastra, questa andrà a cadere nei punti di minima ampiezza dell’onda che sono i nodi indicati con 0 e 1 nella rappresentazione più in alto. Se bloccate la lastra a metà, ovvero mettete un dito proprio in mezzo, l’oscillazione cambia frequenza e la sabbia si disporrà nei tre nodi: i due agli estremi e quello centrale. Se provate ad inserire due altri nodi dividendo la lastra in tre, la sabbia si disporrà lungo tutti i nodi e così via di seguito. Più elevato è il numero di nodi, più complesse saranno le figure geometriche generate dalla sabbia che si dispone in queste zone in cui l’ampiezza dell’onda è nulla.
Note conclusive
La cimatica con tutte le sue teorie è una vera e propria scemenza. Non c’è nulla di sovrannaturale o di esoterico nella disposizione della sabbia su una lastra soggetta a vibrazioni a diversa intensità. Di certo le vibrazioni non hanno alcuna capacità di modellare la materia o di influenzare lo stato di salute degli individui.
A questo link un bell’esperimento che mostra le figure di Chladni: https://www.youtube.com/watch?v=1ya… (avvertenza: abbassate il volume delle cuffie o degli altoparlanti. I suoni che sentirete possono essere molto fastidiosi)
Per approfondimenti:

Anche i Nobel sbagliano? Il caso della ferroelettricità

Nei giorni passati è apparsa sui quotidiani nazionali una notizia che è stata ripresa anche da diverse testate di divulgazione scientifica (qui, qui e qui, per esempio). In questa estate torrida e piuttosto noiosa, è stata data enfasi ad una comunicazione apparsa sulla rivista Nature firmata da un gruppo di ricerca, tra cui alcuni Italiani (qui). Questi colleghi hanno parzialmente smentito quanto riportato in un articolo su Nature del 2012 (qui) di cui uno degli autori è il famoso J. Frazer Stoddart che nel 2016 è stato insignito del premio Nobel per la sintesi delle macchine molecolari (ne ho parlato qui).

Cerchiamo di vederci chiaro.

Il principio di autorità

Innanzitutto, voglio evidenziare che nel mondo scientifico non si applica alcun principio di autorità; ciò che viene affermato da ognuno è messo sotto la lente di ingrandimento ed analizzato da tutti quanti sono interessati a quel determinato settore. La conseguenza è che, con una adeguata preparazione scientifica, è possibile confutare anche i modelli elaborati da scienziati che sono insigniti del famosissimo premio Nobel.

Un esempio delle strane ipotesi messe a punto da premi Nobel e smentite dalla comunità scientifica è la memoria dell’acqua di Montagnier di cui ho già discusso qui, qui, qui e qui.

La ferroelettricità

Sapete cos’è la ferroelettricità?

Se interroghiamo l’Enciclopedia Britannica (famosa enciclopedia molto in uso quando ero piccolo), si legge:

la ferroelettricità è una proprietà di certi cristalli non conduttori, o dielettrici, che esibiscono una polarizzazione elettrica spontanea (separazione tra il centro delle cariche positive e quello delle cariche negative tale che una faccia del cristallo è caricata positivamente mentre l’altra negativamente) la cui direzione può essere invertita mediante l’applicazione di un appropriato campo elettrico. […] I materiali ferroelettrici, come il titanato di Bario ed i sali di Rochelle, sono fatti da cristalli in cui le unità strutturali sono piccoli dipoli elettrici; in altre parole, in ogni unità, il centro delle cariche negative è separato da quello delle cariche positive. In alcuni cristalli, questi dipoli elettrici si allineano a formare dei cluster indicati come domìni. Questi ultimi sono orientati predominantemente in una data direzione sotto l’azione di un intenso campo elettrico. L’inversione della direzione del campo elettrico inverte anche l’orientazione preferenziale dei domìni anzidetti. Tuttavia, il cambiamento di direzione dei domìni avviene con ritardo rispetto al cambiamento della direzione del campo elettrico applicato. Questo ritardo è anche indicato come isteresi ferroelettrica.

Se masticate l’Inglese e volete sapere più in dettaglio qualcosa sui materiali dielettrici e sulla loro interazione con i campi elettrici, potete seguire la lezione del Prof. Lewin famoso per le scenografie delle sue lezioni di fisica:

Il corso completo di fisica del Prof. Lewin è qui.

Ma torniamo a noi.

I materiali ferroelettrici ed il lavoro del premio Nobel Stoddard e collaboratori

I materiali ferroelettrici sono molto interessanti perché possono essere utilizzati per la costruzione di sensori, banchi di memoria e nella fotonica.

Nel 2012 appare su Nature un articolo (in realtà una Letter) dal titolo: “Room-temperature ferroelectricity in supramolecular networks of charge-transfer complexes“. Tra gli autori J. Frazer Stoddart che, come già evidenziato, nel 2016 è stato insignito del premio Nobel per la sintesi delle macchine molecolari. In effetti le macchine molecolari non sono altro che un tipo particolare di sistemi supramolecolari esattamente come i “supramolecular networks” di cui si parla nell’articolo sulla ferroelettricità del 2012.

Cosa hanno fatto questi autori?

Hanno sintetizzato dei complessi organici a trasferimento di carica [1] combinando a due a due i composti indicati da 1 a 4 in Figura 1 attraverso la tecnica conosciuta come Lock-Arm Supramolecular Ordering (LASO) [2].

Figura 1. Complessi molecolari con proprietà ferroelettriche: 1-2, 1-3 e 1-4 (Fonte della figura a questo link)

I complessi ottenuti e designati con le sigle  1-2, 1-3 ed 1-4 di Figura 1 hanno presentato delle eccezionali proprietà ferroelettriche a temperatura ambiente.

Tutto normale. Un gruppo di studiosi ha fatto una scoperta che può avere degli interessanti sviluppi tecnologici ed ha scritto un rapporto che è stato accettato per la pubblicazione su una delle riviste più importanti del panorama scientifico.

Il lavoro degli Italiani

La notizia non è il lavoro di Stoddard e Co. per quanto esso possa essere importante sotto l’aspetto scientifico. La notizia che ha destato l’attenzione dei giornalisti nostrani è che un gruppo di ricercatori, tra cui diversi  Italiani, ha riprodotto le sintesi riportate nello studio di Stoddard (qui). Le analisi hanno mostrato che i complessi ottenuti erano del tutto simili a quelli la cui sintesi era riportata nel lavoro del 2012. Tuttavia, quando sono state misurate le proprietà ferroelettriche dei complessi ottenuti, è stato scoperto che due dei tre complessi a trasferimento di carica non mostravano le proprietà descritte da Stoddard e collaboratori (Figura 2).

Figura 2. Assenza di ferroelettricità (Fonte a questo link)

Naturalmente la non riproducibilità delle proprietà ferroelettriche di prodotti ottenuti da un premio Nobel ha trovato la giusta visibilità sulla stessa rivista che nel 2012 aveva ospitato le proprietà ferroelettriche a temperatura ambiente dei composti anzidetti.

Ma andiamo oltre, perché quasi nessuno ha riportato della risposta di Stoddard e collaboratori.

In coda alla comunicazione dei ricercatori Italiani (qui) è riportata  anche la confutazione scritta dai responsabili del gruppo di ricerca che ha descritto le proprietà ferroelettriche a temperatura ambiente dei materiali 1-2, 1-3 ed 1-4 di Figura 1. Stoddard et al. rispondono che i processi di cristallizzazione descritti da D’avino et al. hanno prodotto dei cristalli con dei difetti ai quali sarebbe imputabile la non osservazione delle proprietà ferroelettriche. La risposta di Stoddard et al . si conclude con un interessantisimo invito:

“We offer to share our materials and devices, and to host the authors of the accompanying Comment at Northwestern University in an effort to clarify all discrepancies in reproducibility”
Conclusioni

Il titolo che ho deciso di dare a questa nota è “anche i Nobel sbagliano?”. In realtà non c’è stato alcun errore. L’episodio che ho descritto in questa nota e che con eccessiva enfasi è stato comunicato dai maggiori quotidiani e siti di divulgazione nostrani, fieri che degli italiani abbiano smentito un premio Nobel, dimostra solo una cosa: il mondo scientifico è estremamente democratico. Chiunque può permettersi di fare uno studio e smentire ciò che è stato detto da qualche nome famoso. Ciò è quanto è sempre accaduto. E’ proprio questo a consentire l’avanzamento delle nostre conoscenze. Tuttavia, non basta buttare lì la prima cosa che passa per la testa oppure ritenere che una qualsiasi maggioranza di persone possa influenzare in qualche modo una evidenza scientifica. Per poter aprire una discussione produttiva come quella riportata nelle pagine di Nature, occorre dedizione allo studio e preparazione. Senza questi ingredienti non è possibile instaurare alcun dialogo con nessuno.  Bravi certamente i colleghi Italiani. Ma bravi tutti quelli che si dedicano con coscienza ed abnegazione allo sviluppo delle nostre conoscenze.

Non si può dialogare con scienziati della domenica o pseudo intellettuali come quelli che popolano le fila di chi è a favore della biodinamica, dell’omeopatia o dell’antivaccinismo. Queste persone non hanno alcuna caratura intellettuale ed una qualsiasi apertura al dialogo le metterebbe sullo stesso piano di chi lavora seriamente in ambito scientifico.

Note ed approfondimenti

[1] Un complesso a trasferimento di carica è un sistema in cui una molecola (o un dominio molecolare) ricca di elettroni interagisce con un sistema chimico (molecola, dominio molecolare o metallo di tansizione) povero di elettroni in modo tale da formare un legame in cui si realizza un trasferimento di carica negativa dal donatore di elettroni all’accettore di elettroni. Per saperne di più potete cliccare qui.

[2] La Lock-Arm Supramolecular Ordering, indicata con l’acronimo LASO, è una procedura per la sintesi di complessi molecolari a trasferimento di carica. Si tratta di un approccio di tipo modulare in cui moduli molecolari ricchi di elettroni vengono fatti co-cristallizzare in presenza di altri moduli molecolari poveri di elettroni. Entrambi i moduli (donatori ed accettori di elettroni) sono costruiti in modo tale da avere delle braccia flessibili attraverso le quali essi sono in grado di interagire mediante legami a idrogeno.  L’efficienza del processo di cristallizzazione è assicurata proprio dalla flessibilità della braccia anzidette che consentono la massima complementarietà tra  i moduli. L’azione cooperativa del legame a trasferimento di carica e dei legami a idrogeno consente di ottenere sistemi binari in cui le proprietà donatore-accettore sono interscambiabili così da ottenere proprietà ferroelettriche migliorate rispetto a complessi ottenuti con strategie sintetiche differenti. Per saperne di più cliccate qui.

Fonte dell’immagine di copertina: https://www.researchgate.net/publication/257972728_Statistical_mechanical_origin_of_hysteresis_in_ferroelectrics

 

Share