Anche agli scienziati piace scherzare: il caso “Get me off Your Fucking Mailing List”

Mailing list: chi è impegnato in attività di ricerca conosce bene il problema. Ogni giorno riceviamo decine di e-mails con le quali veniamo invitati a sottoporre i nostri ultimi risultati a riviste open access dalle caratteristiche più improbabili. Per esempio io ricevo quasi ogni giorno inviti da Journal of Research Analytica, International journal of scientific and technical research in engineering, o addirittura da riviste del tipo BAOJ Diabetes che è una rivista medica. Cosa c’entri la mia attività con il diabete non è dato sapere, ma tant’è.

Come regola generale, la mattina, appena apro il mio programma di posta elettronica, perdo 5-10 min solo per selezionare e cancellare senza leggere tutta questa paccottiglia di posta eletronica. Questa posta è solo apparentemente innocua: occupa spazio di memoria che, per gli account istituzionali, è molto limitata, di conseguenza molto preziosa.

La cosa che colpisce molto in tutte le lettere è che tutte le riviste riportano su “otto colonne” l’informazione che esse sono soggette a peer review, ovvero revisione tra pari.

Per chi è poco informato, la procedura per la pubblicazione consiste nello scrivere ed inviare lo studio alla rivista prescelta; gli editor della rivista valutano la congruenza dello studio con gli obiettivi della rivista stessa; se il lavoro centra gli obiettivi, viene inviato a revisori anonimi che hanno il compito di valutare la congruenza tra i dati sperimentali e la loro interpretazione; i revisori possono suggerire la pubblicazione senza modifiche se i dati e la loro interpretazione sono congruenti tra loro; possono chiedere delle modifiche (che possono essere minor o major a seconda del livello di approfondimento richiesto); possono rifiutare il lavoro se dati ed interpretazione non sono congruenti.
Una volta che il lavoro è stato accettato per la pubblicazione, l’editor lo invia al comitato editoriale che ha il compito di formattare il lavoro secondo gli standard della rivista.

Adesso viene il bello.

La stragrande maggioranza delle riviste non chiede alcuna tassa di pubblicazione. Si tratta di riviste chiuse il cui accesso è garantito solo a chi paga un abbonamento annuale.

Esistono delle riviste, però, che consentono a tutti di poter accedere ai lavori pubblicati. Si tratta di riviste indicate semplicemente come open access. Tutte le riviste open access chiedono una tassa agli autori. Questa tassa serve per pagare le spese sostenute dal comitato editoriale che si occupa della formattazione dei lavori e della pubblicazione della rivista. La tassa di pubblicazione non è piccola. Si può andare dai 100 euro in su. Per esempio alcune riviste chiedono anche 1000 euro. Ne viene che se un ricercatore non ha fondi, si guarda bene dal pubblicare su riviste del genere.

Tutto bene, vero? Non c’è nulla di strano. Ognuno può scegliere come e dove pubblicare. Tuttavia, il sospetto che molte riviste open access siano solo uno specchietto per acchiappare soldi dai gonzi o per consentire la pubblicazione di sciocchezze è abbastanza forte.

Ciò che voglio evidenziare è che lo standard qualitativo delle riviste open access può essere abbastanza basso. I lavori possono essere accettati senza una seria revisione tra pari. Non tutte le riviste open access sono così. Ci sono riviste open access che, invece, sono molto serie: PlosOne, Scientific Reports, Agriculture etc etc etc (non faccio un elenco completo perché non è questo lo scopo del post).

Veniamo al punto.

Nel 2005, David Mazieres e Eddie Kohler, due ricercatori Statunitensi, scrissero un articolo dal titolo “Get me off Your Fucking Mailing List” (ho bisogno di tradurre?) [1].

Questo il titolo. Come ogni buon articolo scientifico, anche questo aveva un abstract, una introduzione e diversi altri paragrafi. A parte abstract ed introduzione che avevano i titoli canonici, tutti gli altri paragrafi erano intitolati “Get me off Your Fucking Mailing List” (ho sempre bisogno di tradurre?).

Ed il testo? Beh, tutto il testo di ogni singolo paragrafo e di ogni figura era solo ed esclusivamente “Get me off Your Fucking Mailing List” (a questo punto sono sicuro che non c’è bisogno di tradurre).

Peter Vamplew, un ricercatore dell’Università di Vittoria in Australia [2], pensò bene di inviare, per scherzo, il lavoro di questi due suoi colleghi alla rivista open access International Journal of Advanced Computer Technology, particolarmente molesta in quanto a spam. Con enorme sorpresa, dopo qualche tempo, arrivò la lettera di accettazione del lavoro con la richiesta della tassa di pubblicazione (qualcosa come 150$) come contributo per la pubblicazione open del lavoro accettato.

Siete curiosi vero? Volete conoscere il giudizio espresso dal revisore? Sì, perché pare che il lavoro sia stato inviato ad un solo revisore, piuttosto che ai 3-5 delle riviste più quotate. Ebbene la reviewer form la trovate nel riferimento [3]. In sintensi è scritto:

Accuracy: Excellent
Innovation: Very Good
Relevance: Very Good
Presentation: Good
Quality of writing: Very Good

Divertente, vero? Qualità del testo “molto buona”. Non c’è che dire; l’editor prima, il revisore, poi, hanno avuto un ottimo senso dell’umorismo. Ma l’hanno mai letto questo lavoro? Ne dubito fortemente così come dubito che esso sia mai stato inviato ad un qualsiasi revisore.

Inutile dire che lo scherzo ha fatto il giro del mondo ed è finito su molte testate giornalistiche [4-6] (basta cercare in Google e si trovano “vagonate” di pagine che riportano la notizia).

Morale della favola. Uno scherzo nato per caso e per fare un “dispetto” all’editor di una rivista open access particolarmente molesto nell’inviare posta indesiderata acchiappa-gonzi, ha smascherato un punto molto debole delle riviste open access: alcune di esse non effettuano alcuna peer review; sarebbe meglio dire che non solo non assicurano la peer review, ma i lavori possono passare i diversi filtri pre-pubblicazione senza nemmeno essere letti.

Questa storia è del 2005. Pensate che sia servita a qualcosa? Ebbene, no. Nel 2009, un articolo bufala sulla catastrofe del 11 Settembre 2001 fu pubblicato proprio su una rivista open access che oggi è chiusa e non pubblica più nulla [7]. Sulla validità di questo lavoro tornerò in un altro post. Stasera (sono in Canada in questo momento e qui sono solo le 20:25) sono stato fin troppo logorroico 🙂

Riferimenti

[1] http://www.scs.stanford.edu/~dm/home/papers/remove.pdf
[2] http://federation.edu.au/
[3] https://scholarlyoa.files.wordpress.com/…/11/review-form.pdf
[4] https://www.theguardian.com/…/journal-accepts-paper-request…
[5] http://www.skeptical-science.com/…/fucking-mailing-list-pe…/
[6] http://mobile.businessinsider.com/scientific-journal-accept…
[7] http://www.911research.wtc7.net/…/ActiveThermitic_Harrit_Be…

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