Come è fatto e come si ottiene l’olio di palma

Come è fatto e come si ottiene l’olio di palma

L’olio di palma è ottenuto dai frutti delle palme da olio che si presentano a grappoli. Questi frutti vengono raccolti e poi sottoposti all’azione del vapore in modo da disattivare la lipasi (1) e separare la polpa dai semi. La polpa così ottenuta viene pressata e l’olio opportunamente recuperato. L’olio ottenuto dalla pressatura della polpa viene chiarificato (2) per centrifugazione, quindi lavato con acqua calda e poi seccato. Il prodotto così ottenuto contiene un elevato ammontare di beta-carotene ed il suo colore varia dal giallo scuro al rosso. Durante la raffinazione (3) il colore giallo/rosso dell’olio di palma viene perso ed il prodotto finale si presenta di un colore giallo chiaro.
La composizione percentuale media in acidi grassi (4) dell’olio di palma è:

14:0 – 1%
16:0 – 43.8%
16:1 – 0.5%
18:0 – 5%
18:1 (9) – 39%
18:2 (9, 12) – 10%
18:3 (9, 12, 15) – 0.2%
20:0 – 0.5%

Come si evince dalla tabella, l’olio di palma è, per lo più, costituito da acidi grassi saturi e contiene un acido grasso monoinsaturo a 18 atomi di carbonio in quantità vicine al 40% in peso del totale.

L’olio di palma fa male? non più di tanti altri oli alimentari. Come per ogni alimento, è la dose che fa il veleno. Un consumo oculato di olio di palma (negli alimenti che lo contengono) non comporta assolutamente nulla, esattamente come un consumo oculato di un qualsiasi altro tipo di olio.

E la Nutella che contiene olio di palma? La Nutella fa male solo se ne viene ingurgitata una quantità notevole. Ma non è l’olio di palma a creare problemi quanto, piuttosto, l’elevato contenuto in zuccheri che può sfociare nel diabete

Note
(1) Lipasi – si tratta di un enzima che ha la funzione di degradare gli acidi grassi
(2) La chiarificazione di un olio consiste nella separazione dall’olio di tutte quelle componenti che ne possono compromettere la qualità nel corso del tempo. In altre parole vengono allontanate le sostanze che possono favorire fenomeni di ossidazione, idrolisi e fermentazione
(3) La raffinazione di un olio viene effettuata ogni qual volta esso non viene ottenuto attraverso la semplice spremitura dei semi (come nel caso dell’olio extra vergine di oliva). Questa procedura consiste nell’allontanamento di sostanze che possono essere pericolose o alterare il sapore del prodotto. Per esempio la raffinazione degli oli, in generale, serve per la rimozione della lecitina, degli acidi grassi liberi, per la decolorazione, il degommaggio e la rimozione di odori sgradevoli
(4) Un acido grasso viene indicato con due numeri separati dal segno “:” come per esempio x:y. Il primo numero (la x) indica il numero di atomi di carbonio; il secondo numero, la y, indica quanti doppi legami ci sono. Se y=0 si ha un acido grasso saturo. Se y è diverso da zero si ha un acido grasso insaturo, ovvero con uno o più doppi legami. Se è necessario individuare la posizione del doppio legame, la coppia di numeri viene fatta seguire da un numero tra parentesi tonda che indica l’atomo di carbonio dove si trova il doppio legame. Per esempio, 18:2 (9, 12) sta ad indicare un acido grasso a 18 atomi di carbonio con due doppi legami, uno in posizione 9 e l’altro in posizione 12.

Per saperne di più:

Belitz, Grosch e Schieberle Food Chemistry, Springer (2009)

Olio di palma, qualche precisazione in più

Fortuna o bravura? osservazioni inusuali sul metodo scientifico.

Fortuna o bravura?

Si sa come funziona il metodo scientifico. Si osserva un fenomeno; si fanno delle ipotesi; si eseguono esperimenti; se l’ipotesi è verificata, si rifanno esperimenti cercando di invalidare le ipotesi fatte; se l’ipotesi non viene falsificata, allora può essere considerata come un utile modello della realtà, fino a quando un nuovo modello più completo non sostituisca quello vecchio.

Una parte importante di tutto questo è la pubblicazione dei risultati. Uno studioso che segue il metodo scientifico, ad un certo punto della sua attività, mette assieme quello che ha fatto in uno scritto (una volta si chiamava manoscritto) e lo sottopone all’attenzione della comunità internazionale di riferimento. L’intento è l’avanzamento delle conoscenze, ovvero mettere a disposizione i propri risultati in modo tale che chiunque voglia possa riprodurre gli stessi risultati, formulare nuove ipotesi e sostituire il vecchio modello.

Quanto di ciò che viene pubblicato e diventa noto al grande pubblico è dovuto a reale bravura dello studioso e quanto a pura fortuna? Oggi uno studio “scientifico” ce lo dice. Science, nella sezione News [1], riporta che è vero che uno studioso deve avere una grande preparazione per poter affrontare un problema più o meno complesso, ma è anche vero che la “comunicazione” gioca un ruolo importante. Non basta essere bravi, ma bisogna anche saper comunicare quello che si fa. Bastano bravura e comunicatività? No. Serve anche la fortuna. Devo dire che non mi aspetavo di veder sdoganato il fattore “C” [2] sotto l’aspetto scientifico…Va bene…diciamo sotto l’aspetto statistico che è meglio. In ogni caso l’articolo nelle News di Science è abbastanza divertente. Ne raccomando la lettura 🙂

Riferimenti:

[1] http://www.sciencemag.org/…/hey-scientists-how-much-your-pu…

[2] fattore “C”. C’è bisogno di definirlo? 😀

Le piante a l’anidride carbonica di origine antropica

Le piante e l’anidride carbonica di origine antropica

Una interessante sorpresa è riportata in un recente lavoro apparso on line ieri 8 Nov 2016 su Nature Communications.

Gli autori hanno evidenziato che sembra esserci una “pausa” nell’incremento di anidride carbonica atomosferica ed un decremento nella frazione antropogenica della stessa, sebbene le emissioni di CO2 di origine antropica non solo non sono diminuite, ma, addirittura, aumentate. Questa pausa viene attribuita ad un effetto a lungo termine delle corrette pratiche agronomiche che privilegiano l’ecosistema terrestre come carbon sink (ovvero serbatoio per immagazzinare il carbonio impedendone la degradazione a CO2) e all’effetto che sia le grosse quantità di CO2 che le temperature in aumento hanno sul metabolismo vegetale.

La domesticazione del tacchino

La domesticazione del tacchino

E’ un po’ di tempo che non scrivo. Ho avuto problemi che mi hanno impedito di dedicarmi all’attività divulgativa. Ora riprendo e torno alla normalità con una notizia sul tacchino, cibo preferito dagli Statunitensi nel thanksgiving day.

Sapete che il tacchino è un animale domesticato piuttosto recentemente? Beh…un lavoro archeologico fatto su raccolte di ossa di tacchino in Messico ha dimostrato che questo animale è stato domesticato intorno al 400-500 d.C., ovvero circa 1500 anni fa. Rispetto al momento in cui è nata l’agricoltura (circa 10000 anni fa) si tratta di un processo di domesticazione avvenuto veramente in epoche recenti. Devo dire che la storia dell’agrticoltura è sempre molto affascinante

Le vaccinazioni

Le vaccinazioni

In questa sede faccio divulgazione scientifica. Mi diverto nella divulgazione delle notizie che più mi incuriosiscono o mi appassionano, sperando che la stessa curiosità e passione coinvolgano i lettori che accedono a questa pagina. Devo notare, con enorme dispiacere, che aumenta di giorno in giorno il numero di persone che, in nome di uno scetticismo mal riposto, si oppongono alle vaccinazioni.

Oggi sembra andare di moda lo scetticismo. Mi sento di dire che la parola “scetticismo” sembra entrata preponderantemente nel vocabolario di tante persone che si reputano intelligenti e soprattutto amano fare i radical chic. Nel caso dei vaccini lo scetticismo consiste nel ritenere che questi siano inutili perché si pensa che le malattie contro le quali essi ci difendono siano state debellate. Ed, invece, notizie recenti evidenziano come non solo esse non siano state debellate, ma ritornano in auge nel momento in cui la copertura vaccinale non assicura più la cosiddetta immunità di gregge [1, 2, 3].

Bisogna evidenziare che ognuno è libero di agire come vuole. Questo concetto di libertà, tuttavia, non è estensibile in maniera indefinita perché la libertà di ognuno finisce laddove comincia la libertà degli altri. Nel caso specifico dei vaccini, il non vaccinare (alla luce di un presunto diritto a salvaguardare la salute individuale dal pericolo vaccini assolutamente non documentato) espone individui, che per diversi motivi non possono essere vaccinati [4], a patologie da cui ci si potrebbe difendere solo attraverso l’immunità di gregge [3]. Ben vengano, quindi, le norme che impongono la vaccinazione obbligatoria in età prescolare per poter ammettere i bambini alla frequenza scolastica [5].

Non sono un medico, pur occupandomi di scienza. Per questo motivo, rimando a pagine pubbliche gestite da persone più preparate di me per comprendere l’utilità dei vaccini:

Qui la pagina del Dr. Roberto Burioni:
https://www.facebook.com/robertoburioniMD/?fref=ts

Qui la pagina Vaccinarsi di Ulrike Schmidleithner: https://www.facebook.com/VaccinarSI.Vaccinfo/?fref=ts

Qui il blog di Ulrike Schmidleithner: http://vaccinarsi.blogspot.it/

Riferimenti
[1] http://www.lastampa.it/…/allarme-per-il-ritorno…/pagina.html
[2] http://bologna.repubblica.it/…/bimba_di_un_mese_muore_di_p…/
[3] http://vaccinarsi.blogspot.it/…/limmunita-di-gregge-esiste-…
[4] http://www.salute.gov.it/…/c_17_opuscoliposter_133_allegato…
[5] http://www.truenumbers.it/bambini-non-vaccinati/

L’inquinamento atmosferico

L’attività antropica, di qualsiasi natura, non è ad impatto nullo sull’ambiente. Questo vuol dire che qualsiasi cosa noi facciamo produciamo rifiuti che vanno ad influenzare gli equilibri tra biosfera, idrosfera, pedosfera ed atmosfera. In questa nota descrivo brevemente in cosa consiste l’inquinamento atmosferico. Si tratta di Uno dei problemi ambientali attualnente maggiormente al centro dell’attenzione mediatica. Questo non vuol dire che l’inquinamento di suoli, sedimenti ed acque sia meno importante; vuol dire solo che, al momento, sembra fare più notizia l’inquinamento atmosferico probabilmente perché fa una certa impressione, sul senso comune, pensare che l’immissione in atmosfera di gas apparentemente innocui possa provocare alterazioni notevoli sotto l’aspetto climatico.

In effetti è noto che tutte le molecole gassose che hanno un momento dipolare diverso da zero [1] sono in grado di assorbire la radiazione elettromagnetica che proviene dalla Terra così da passare da uno stato (vibrazionale/rotazionale) fondamentale ad uno eccitato. La transizione spontanea dallo stato eccitato a quello fondamentale può avvenire con emissione di calore portando ad un aumento globale della temperatura del pianeta, fenomeno che prende il nome di “effetto serra” [2].

Cerco di tradurre per i non tecnici. La radiazione solare è fatta da onde elettromagnetiche con lunghezza d’onda piuttosto corta (parte a destra della figura di copertina). Le molecole come anidride carbonica, metano ed acqua (sotto forma di vapore) risultano “trasparenti” alle lunghezze d’onda sopra citate. Per questo motivo le radiazioni suddette provenienti dal sole sono in grado di arrivare alla superficie della Terra.

Alcune di queste radiazioni sono comunque intercettate dall’ozono atmosferico e giungono “attenuate” sulla superficie terrestre come già spiegato nella nota al riferimento [3].

La superficie terrestre “restituisce” allo spazio aperto le radiazioni elettromagnetiche ma con lunghezza d’onda maggiore (parte a sinistra della figura di copertina) rispetto a quelle provenienti dall’esterno della Terra.

Le molecole come anidride carbonica, vapor d’acqua e metano (ovvero molecole a momento dipolare non nullo, sebbene questo momento dipolare risulti non nullo per la CO2 solo quando essa è nella conformazione non lineare) non sono “trasparenti” a queste lunghezze d’onda assorbendo, così, la radiazione proveniente dalla Terra. Il processo di assorbimento provoca delle “oscillazioni” molecolari (ovvero stiramenti e piegamenti dei legami chimici all’interno delle molecole) che a loro volta “restituiscono” energia termica (ovvero calore) alla superficie terrestre. Il risultato finale è molto simile a quello che si ottiene in una serra, ovvero un aumento della temperatura globale del pianeta.

Ci si potrebbe chiedere: ma come mai, invece, sembra che faccia sempre più freddo? dove è il riscaldamento? Chi chiede queste cose, in genere, non ha ben chiaro come funziona il riscaldamento globale. Faccio un esempio banale (didattico, oserei dire): supponiamo che si verifichi un aumento di 1 °C sulla superficie degli oceani a seguito dell’aumento di CO2 atmosferica. Questo aumento comporta un incremento della velocità di evaporazione dalla superficie degli oceani con immissione in atmosfera di quantità di vapor d’acqua più grandi rispetto a quelle che si avrebbero in assenza del riscaldamento anzidetto. Le correnti aeree trasportano queste enormi masse di vapor d’acqua sul continente dove, a contatto con aria più fredda, possono condensare e dar luogo a piogge più o meno torrenziali (le famose bombe d’acqua di cui parlano molto scenograficamente i giornalisti). La conseguenza di queste piogge è una temperatura più bassa sul continente. Tuttavia, a livello globale, la temperatura non è più bassa, ma più alta. E’ il riscaldamento globale la causa del clima simil-tropicale che oggi abbiamo nella parte Sud dell’Europa.

E’ stata data notizia [4] che uno scienziato che ha vissuto per una ventina di anni in Cina (uno dei paesi più contaminati della Terra) ha inventato un software per monitorare la contaminazione atmosferica terrestre ed essere informati minuto-per-minuto sulla quantità di particolato solido (quello che viene indicato come PM2.5) che si muove in atmosfera.

Se volete divertirvi a monitorare i flussi di corrente che trasportano questi PM2.5 basta cliccare su questo link: http://airvisual.com/earth, aspettare che la pagina si carichi e divertirsi a guardare momento per momento cosa accade nell’aria intorno a noi. Se poi si vuole conoscere la quantità di PM2.5 in un luogo particolare, basta cliccare sul luogo di interesse

Buon divertimento

Riferimenti
[1] https://www.scienzeascuola.it/…/legami-…/il-momento-dipolare
[2] http://www.castfvg.it/zzz/ids/effserra.html
[3] https://www.facebook.com/notes/rino-conte/pillole-di-scienza-il-buco-nellozono/1856401444581383
[4] http://www.sciencemag.org/…/watch-air-pollution-flow-across…

Perché non siamo vegetariani e men che meno vegani

Perché non siamo vegetariani e men che meno vegani

Oggi va di moda il veganesimo, ovvero quella filosofia di vita che impone a chi fa questa scelta di evitare l’assunzione di qualsiasi cibo che abbia una qualsiasi origine animale. Come evidenziato, si tratta di una scelta dettata da motivazioni culturali di tipo anti specista; in altre parole si ritiene che tutti gli animali abbiano dignità pari a quella dell’uomo per cui quest’ultimo non deve uccidere animali di ogni specie, sebbene per scopi nutrizionali, perché, in questo modo, si configurerebbe un vero e proprio omicidio del tutto paragonabile a quello umano.

Non voglio discutere in questa sede dell’opportunità di questa scelta anti specista. Ognuno è libero di fare le scelte nutrizionali che preferisce e lascio a nutrizionisti esperti l’opportunità di valutare la dieta che ognuno di noi decide di seguire.

Qui voglio solo sfatare un mito di natura pseudo scientifica utilizzato dalle frange vegane oltranziste in base al quale gli uomini discendono dalle scimmie che sono erbivore e non hanno bisogno di proteine animali per sviluppare la forza di cui sono dotate. Per questo motivo l’uso che l’uomo fa della carne sarebbe una deviazione alimentare occorsa in un certo momento dell’evoluzione e priva di ogni validità scientifica.

Chi afferma una cosa del genere non fa altro che dimostrare la propria crassa ignoranza in fatto di conoscenze evolutive e di biologia animale. Cerca, in altre parole, di dare una giustificazione scientifica alle proprie remore morali che gli/le fanno immaginare gli animali come esseri “pucciosi” del tutto simili a quelli descritti nei fumetti Disney.

Veniamo al punto.

Tutti noi esseri umani, come del resto tutti gli esseri viventi, siamo caratterizzati da tratti vestigiali che sono prova inconfutabile dei processi evolutivi cui siamo stati, ed ancora siamo, sottoposti. Uno dei caratteri vestigiali più famosi è l’appendice vermiforme che rappresenta il tratto terminale dell’intestino cieco e si trova alla congiunzione tra l’intestino crasso e l’intestino tenue. Le dimensioni dell’appendice variano da essere umano a essere umano potendo raggiungere una lunghezza variabile da qualche centimetro a 30 centimetri e potendo essere assente in alcuni esseri umani. L’appendice vermiforme sembra essere del tutto inutile, tanto è vero che possiamo farne a meno senza che la qualità della nostra vita ne sia influenzata. Tuttavia, come tutti i tratti vestigiali, anche l’appendice, oggi inutile, aveva una funzione ben precisa. Infatti, quando ancora ci cibavamo in prevalenza di piante, avevamo non solo un intestino cieco molto più voluminoso di adesso, ma anche una appendice vermiforme più sviluppata di quanto non sia ora. La maggiore voluminosità di intestino cieco ed appendice assicurava agli individui dalla dieta vegetariana la presenza di una camera di fermentazione corredata da batteri in grado di degradare la cellulosa in glucosio, zucchero più facilmente assimilabile.

Quando, per effetto di una qualche mutazione casuale, il volume di intestino cieco ed appendice si è ridotto, abbiamo cominciato ad avere maggiori difficoltà nella degradazione della cellulosa (oggi noi umani non siamo più in grado di idrolizzare il legame beta 1-4 glicosidico che tiene unite le unità di glucosio nella cellulosa perché non abbiamo più una flora batterica in grado di sintetizzare gli enzimi deputati a questo scopo), la nostra alimentazione è cominciata a cambiare perché ci siamo dovuti adattare alle mutazioni anzidette: siamo passati da una alimentazione vegetariana a base di foglie ad una alimentazione a base di carne. In altre parole, indagini biologiche hanno dimostrato che nel corso dei processi evolutivi, gli animali che possedevano intestini più voluminosi erano in grado di digerire la cellulosa, quelli con intestini meno voluminosi non erano in grado di mangiare foglie. I processi evolutivi, insomma, ci hanno “imposto” di essere carnivori in quanto ad un certo punto del nostro percorso evolutivo, non siamo più stati in grado di digerire le foglie (base alimentare dei nostri progenitori) ed assimilare nutrienti da una alimentazione esclusivamente vegetariana.

Altro che vegani…
La nostra dieta è il risultato degli adattamenti evolutivi.

Per saperne di più:

Jerry A. Coyne, Perché l’evoluzione è vera (2011), codice edizioni

La vitamina C (acido ascorbico) e l’evoluzione

Sapete cos’è la L – gulonolattone ossidasi? Devo dire che letta così, sembra una parolaccia. In realtà, dal solo nome, come chimico, io capisco che si tratta di un enzima. Tuttavia non essendo un biochimico ed avendo sostenuto l’esame di biochimica nel purtroppo lontano 1988 (accidenti… già tutto sto tempo è passato?), mi ricordo ben poco, se non nulla, in merito alla sua funzione. Ho dovuto studiare per scrivere questa pillola e renderla digeribile non solo a me, ma anche ai non addetti ai lavori. Spero di esserci riuscito.

La L-gulonolattone ossidasi, chiamiamola per semplicità GLO, è un enzima coinvolto nella biosintesi dell’acido ascorbico che, comunemente, siamo abituati a chiamare vitamina C.

La vitamina C è importantissima per tutti gli esseri viventi. Per i mammiferi come noi è utile a contrastare lo scorbuto, una malattia che nel XIX secolo colpiva soprattutto i marinai che per lunghi periodi di tempo, durante la navigazione, non erano in grado di mangiare frutta fresca. In realtà, nel XIX secolo, anche quando erano a riposo a terra, i marinai evitavano la frutta e la verdura per mangiare principalmente carne, quando potevano, perché ritenuta il cibo dei ricchi. A terra e nei giorni di paga, chi poteva si rimpinzava di carne. Una dieta ricca di proteine e povera di vegetali è comunque deleteria; ma di questo parlerò in un’altra pillola.

Torniamo a noi e al Gulonolattone.

L’enzima GLO serve per sintetizzare la vitamina C, come detto. Quasi tutti i mammiferi riescono a sintetizzarla. Solo alcuni primati, i megachirotteri, ovvero pipistrelli noti come volpi volanti, e le cavie riescono a recuperare la vitamina C dalla loro alimentazione. Seguendo un regime dietetico bilanciato (chiedo perdono ai nutrizionisti che mi leggono se uso un linguaggio inappropriato) i problemi legati alla carenza di vitamina C non si presentano. Anche noi, come accennato, abbiamo bisogno di alimentazione per assumere la vitamina C. Noi, come quei pochi animali citati, non siamo in grado di sintetizzare la GLO. ma…sorpresa sorpresa: dalla mappatura del nostro, come di altri, DNA è venuto fuori che nel nostro genoma possediamo la sequenza genica necessaria per la sintesi dell’enzima citato. Come è posibile? E come mai, pur avendo tutto quanto necessario alla sintesi della vitamina C, abbiamo bisogno di assumerla mangiando?

La sequenza genica deputata alla sintesi del GLO è, purtroppo, disattivata. Fa parte dell’insieme delle informazioni genetiche che compongono il nostro junk DNA, ovvero il DNA spazzatura. La presenza di frammenti di DNA spazzatura è la prova tangibile che i processi evolutivi, che si basano su piccole modifiche di ciò che esiste per il miglioramento adattativo degli esseri viventi, sono un fatto reale e non la mera fantasia di un vecchio signore che, nella parte finale della sua vita, ha scritto una favoletta per far quadrare il cerchio delle sue osservazioni.

Quando, per effetto del cambiamento alimentare al quale ci siamo adattati durante la nostra evoluzione, abbiamo cominciato ad assumere vitamina C dagli alimenti, il nostro metabolismo ha pensato bene di spegnere l’interruttore per la sintesi di GLO per un motivo ben preciso: la via biosintetica per il GLO era troppo dispendiosa in termini energetici, mentre era più conveniente, energeticamente parlando, ricavare la vitamina C dagli alimenti. Il risultato finale è che, pur avendo gli strumenti adatti a fare un certo lavoro (sintesi della vitamina C), non siamo in grado di svolgerlo perché abbiamo perso la chiave che apre la cassetta degli attrezzi.

Per saperne di più:

Jerry A. Coyne, Perché l’evoluzione è vera, Codice edizioni (2011)

Chimica e archeologia

Chimica e archeologia

Sapevate che l’indaco è un colorante conosciuto fin dall’antichità? È la molecola rappresentata nella figura inserita a corredo di questa nota. Si ottiene per fermentazione e successiva ossidazione delle foglie di una pianta [1]. È una molecola dal caratteristico colore blu brillante utilizzata oggi per produrre il colorante usato per i jeans.

È noto che l’uso di questo colorante sia iniziato in Asia circa 4000 anni fa per arrivare poi anche nei paesi del bacino del Mediterraneo [2].

È notizia di qualche ora che un team di studiosi di università Statunitensi ed Europee ha analizzato i tessuti ritrovati in una zona del Nord del Perù scoprendo che essi erano stati colorati di blu usando proprio l’indaco noto da circa quattro millenni in Europa ed Asia [2, 3].

La novità non è il ritrovamento di questi tessuti di per sé già importante per comprendere usi e costumi delle popolazioni locali, né tantomeno il fatto che la colorazione blu è dovuta all’uso di un colorante molto noto. La novità è nel fatto che la radiodatazione al 14C ha mostrato che i tessuti erano databili a circa 6000 anni fa.

In altre parole le indagini chimico fisiche hanno consentito di spostare indietro di 2000 anni l’uso di questo colorante per tessuti la cui applicazione fino ad ora si pensava molto più recente e tipica delle popolazioni Asiatiche e Mediterranee. Invece, a quanto pare i popoli dell’età precolombiana sono stati “chimici” più innovativi rispetto a quelli Asiatici e Mediterranei in quanto erano a conoscenza della tecnologia dell’indaco molto tempo prima di quanto riportato in tutti i libri di chimica dei coloranti.

Direi che la chimica a supporto dell’archeologia lascia venir fuori informazioni veramente intriganti e consente di aprire scenari storici veramente sorprendenti.

Letture consigliate

[1] http://www.chimicare.org/blog/metodi-e-approcci/527/

[2] http://www.sciencemag.org/…/blue-your-blue-jeans-may-have-o…

[3] http://advances.sciencemag.org/con…/…/e1501623.full.pdf+html

Perché ci sono individui che non sanno arrotolare la lingua?

Perché ci sono individui che non sanno arrotolare la lingua?

Quando ero un ragazzino giocavo con i miei amici a chi sapeva arrotolare la lingua. È un giochetto da bambini, ma solo adesso ho scoperto che, in realtà, questo giochetto si basa su delle complesse caratteristiche genetiche.

Alle medie mi fu spiegato dal professore di scienze che questa capacità dipende dalla presenza o dall’assenza di una proteina. Non mi ricordo se mi sia mai stato detto che tipo di proteina. Oggi ci ripensavo e, mentre lo facevo, ho attivato il mio senso critico e ho concluso che se mi è mai stata detta una cosa del genere (sono quasi cinquantenne e le scuole medie le ho frequentate una quarantina di anni fa per cui i ricordi non solo sono lontani, ma sono anche distorti), essa era una sciocchezza. Ho deciso, allora, di togliermi la curiosità e di utilizzare i mezzi che quaranta anni fa non esistevano: il web. L’unica risposta sensata che sono riuscito a trovare è riportata nel riferimento [1] dove si citano studi circostanziati nei quali sono state date delle risposte articolate alla domanda di questa nota.

A quanto pare nei pochi studi pubblicati tra gli anni 40 e 70 del secolo scorso si è evidenziato che non tutti sono capaci di arrotolare la lingua. Questa è un’azione che viene imparata tra i 6 ed i 12 anni. Superato questo intervallo non ci si riesce più se non con grande difficoltà. Gli studi suddetti sembrano dimostrare che la capacità di imparare ad arrotolare la lingua dipenda da una precisa predisposizione genetica che non è legata ad un solo gene ma ad una complessa interazione che coinvolge geni differenti. Inoltre, dall’analisi di questa capacità fatta su gemelli monozigoti, è apparso che oltre a fattori genetici ci siano anche fattori ambientali di cui tenere conto.

Lo studio più recente, in base a quanto riportato in [1], sembra essere del 1971. Da allora sembra non sia stata prodotta altra letteratura in merito per cui al momento non si conoscono i geni coinvolti e non si sa quale tra i due fattori, quello genetico e quello ambientale, sia il più importante nella capacità di arrotolare la lingua.

È importante saper arrotolare la lingua? No, certamente. Ma mi sono tolto una curiosità.

Riferimenti

[1] http://ulisse.sissa.it/chiediAUli…/domanda/…/Ucau091017d001/

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