Università per tutti. Considerazioni “qualunquiste”

L’università non fa la felicità

Mi è appena capitato sotto gli occhi un articolo su Linkiesta dal titolo: Avviso ai maturandi: l’università non fa la felicità, anzi [qui].

Leggendolo mi sono venute in mente un po’ di cose, tante considerazioni anche sul mio ruolo di docente e di quello che sono stato prima di esserlo.

E’ vero. Le differenze sociali si possono appianare se il figlio dell’operario è in grado di competere, a livello culturale, col figlio della Contessa o del Dottore.

pezzo di carta

A parità di “pezzo di carta” vale il “merito”. Se il figlio della Contessa o quello del Dottore non sono capaci, ben venga il figlio dell’operario che, invece, quella capacità la ha.

Ciò che non viene considerato nell’articolo de Linkiesta è che “università aperta a tutti” è una locuzione monca. L’università non deve essere aperta a tutti. Cosa manca? Manca un pezzo. Manca la considerazione che l’università deve essere aperta “a tutti coloro che vogliono migliorare”.

Sacrifici

Adesso parlo da docente universitario che ha a che fare con tanti giovani studenti. Lo sono stato anche io. Sono stato studente anche io, intendo. Avevo un sogno: fare il professore universitario; volevo studiare per soddisfare la mia curiosità interna e, poi, condividere con gli altri le cose che mi sembrava di aver compreso. Ho fatto tanti sacrifici e con me anche tutti quelli che, a vario titolo, mi hanno circondato e mi circondano di affetto. Avevo deciso il mio obiettivo e l’ho raggiunto. Oggi sono dall’altro lato della cattedra, ma a quanto ho dovuto rinunciare? A tanto. Anche ad essere una persona diversa da quella che sono oggi.

Motivazione

Ma il punto non è questo. Il punto è che vedo studenti senza motivazione. Vedo studenti che dicono di studiare – e non posso fare altro che prenderne atto – ma che non rendono per quanto dicono di aver studiato. Non si tratta solo di non aver capito un concetto, un passaggio di un libro o una dimostrazione. Si tratta di qualcosa di diverso. Si tratta della consapevolezza di non avere un sogno, un obiettivo da raggiungere. Prendo la laurea. E poi? Cosa faccio? Perché devo dare tanto per raccogliere poco dalla vita se la vita mi riserva un lavoro da centralinista, commesso o “schiavo” sottopagato?

Mancano i sogni. Mancano le motivazioni. Mancano gli obiettivi.

Conclusioni

La laurea, il famoso “foglio di carta”, ha perso di significato non perché sia vuota. Il contenuto lo diamo noi ad un pezzo di carta. Se riesco a prendere la laurea, ma il mio percorso di studi è stato men che mediocre perché mi sono accontentato del minimo ogni volta che ho “tentato” un esame, sarò una persona che nella vita “tenterà” la fortuna davanti ad ogni difficoltà e non avrò alcun obiettivo da raggiungere se non la mera sopravvivenza. Se questi sono i presupposti, allora meglio, molto meglio, essere onesti con se stessi e rinunciare all’università. Un percorso di studi men che mediocre non serve a nulla se non ad alimentare i propri sensi di frustrazione. Lasciamo l’università a chi ha veramente voglia di migliorare se stesso; a chi ha veramente voglia di perseguire un obiettivo nella propria vita. Questo non necessariamente deve essere rappresentato da un lavoro adeguato al proprio piano di studi; l’obiettivo deve essere quello di poter diventare una persona che ha desiderio di migliorare non solo se stessa, ma anche la società in cui si trova a vivere, fornendo il proprio contributo – al meglio delle proprie forze e conoscenze – a tutti coloro che vogliono migliorare a loro volta.

L’immagine di copertina è da qui: http://arte.sky.it/2017/01/il-nord-america-celebra-rodin-a-cento-anni-dalla-scomparsa/

Bustine di scienza. La creatività

Questa Bustina è dedicata ad una concezione errata che molti – che non hanno familiarità con la scienza – hanno in merito alla creatività in ambito scientifico.

Molte volte leggo o sento dire che gli scienziati non hanno creatività perché sono abituati al pensiero analitico. Il pensiero analitico si sviluppa grazie al fatto che, durante i propri studi, gli scienziati imparano a leggere i numeri ed a ragionare in modo estremamente logico, senza alcuno spazio per voli pindarici.

In realtà questa è una concezione errata che si ha del pensiero scientifico.

In generale, si associa la creatività con il pensiero artistico o quello sportivo, per esempio. Ma pensate veramente che un individuo possa diventare un virtuoso del pianoforte o un eccezionale calciatore senza anni passati ad esercitarsi in noiosi e ripetitivi esercizi musicali o allenamenti? Allo stesso modo, uno scienziato spende la prima parte della sua vita imparando ed esercitando la mente con noiosissimi esercizi analitici. Solo dopo aver creato la base mentale, uno scienziato può dare sfogo alla sua creatività proponendo modi nuovi ed eccitanti di investigare la realtà che ci circonda.

Einstein, che tanto affascina chi la scienza non la vive, non è stato un genio nato dal nulla. Le sue teorie estremamente affascinanti nascono da anni di studi e di esercizi mentali.

Creatività non vuol dire elaborare una teoria attraverso la prima cosa che passa per la testa. Creatività vuol dire proporre soluzioni innovative sulla base di una conoscenza condivisa. La creatività è fondamentale per la scienza. Per esercitarla nel modo corretto, occorre saper leggere le note, saper fare le scale, saper usare la tecnica. Solo dopo aver imparato le basi, ci si può dilettare nella composizione musicale e suonare il jazz.

Omeopatia e fantasia. Parte II

Qualche settimana fa ho dedicato una nota dal titolo “Omeopatia e fantasia” (clicca qui) ai risultati di Benveniste e Montagnier in merito ad uno dei cavalli di battaglia più incisivi di quelli che io definisco gli “amici dell’omeopatia”, ovvero la memoria dell’acqua. Ho messo in evidenza come il lavoro di Benveniste sia stato smentito dagli editor di Nature (rivista su cui il concetto di memoria dell’acqua fu pubblicato per la prima volta nel 1988) così come il lavoro di Montagnier sia risultato affetto da limiti sperimentali che hanno reso le conclusioni ivi contenute del tutto inaffidabili.

Tuttavia ho anche concluso che una anomalia chimica come la memoria dell’acqua non è passata inosservata e, dopo le pubblicazioni di Benveniste e Montagnier – nonostante tutti i limiti di cui ho discusso, il mondo scientifico non se ne è stato con le mani in mano.

Tutti noi lavoriamo per scrivere i nostri nomi nei libri di storia della scienza. Se “annusiamo l’affare”, ci buttiamo a pesce per essere tra i primi, se non i primi, a descrivere il modello più adatto per spiegare certi fenomeni strani. La conseguenza è che la letteratura è piena di studi i cui autori descrivono i loro infruttuosi tentativi di trovare la “pietra filosofale”. E’ quanto accaduto anche per la memoria dell’acqua. Ma andiamo con ordine ed applichiamo il metodo scientifico di cui ho già scritto qui, qui e qui.

La domanda

Alla luce dei risultati di Benveniste, immaginiamo che  un principio attivo lasci la sua impronta all’interno del solvente che lo contiene e che tale impronta permanga nel sistema dopo una sequenza di succussioni e diluizioni successive. Questa impronta deve essere fatta da molecole di acqua che si muovono a velocità differenti, ovvero ci si deve aspettare che le molecole di acqua  sui bordi dell’impronta debbano essere meno mobili di quelle più lontane dall’impronta.

Supponiamo ora che sia valido  quanto affermato da Montagnier in merito alla presenza di nano-strutture di acqua tenute assieme da radiazioni elettromagnetiche. Ci dovremmo aspettare anche in questo caso la presenza di acqua che si muove a differenti velocità. Infatti le molecole di acqua impegnate nella formazione di nano-strutture, trovandosi in domini chimici piuttosto ingombranti rispetto alle dimensioni di una singola molecola di acqua, si devono muovere più lentamente di quelle che sono posizionate in zone più lontane dalle predette nano-strutture.

E’ possibile trovare delle evidenze sperimentali che possano validare le ipotesi suddette formulate sulla base di studi ritenuti in ogni caso inaffidabili dalla comunità scientifica?

Gli esperimenti in risonanza magnetica nucleare

La risonanza magnetica nucleare (NMR) permette di studiare il comportamento della materia in presenza di campi magnetici ad intensità differente. Non è questa la sede per entrare nei dettagli della tecnica che possono essere trovati altrove [1].

In modo molto semplicistico possiamo dire che al variare dell’intensità del campo magnetico è possibile misurare la velocità con cui si muovono le molecole di acqua confinate in specifici intorni chimici. In particolare, per intensità basse del campo magnetico applicato, si possono monitorare le velocità di molecole di acqua che si muovono lentamente. Man mano che aumenta l’intensità del campo magnetico applicato si può monitorare la velocità di molecole di acqua che si muovono con velocità progressivamente più elevata.

Nel 1999, Rolland Conte et al. [2] pubblicano una “Theory of high dilutions and experimental aspects” dove vengono riportati dati sperimentali a supporto di una teoria delle “impronte” che sembra validare la presunta efficacia dell’omeopatia. Tuttavia, le evidenze sperimentali riportate in quel libro sono state completamente smentite dai lavori di Milgrom et al. [3] e Demangeat et al. [4]. Questi autori, infatti, hanno evidenziato, mediante applicazione della tecnica NMR, che i risultati di Rolland Conte e collaboratori sono ascrivibili ad artefatti derivanti da impurezze rilasciate dalle pareti dei recipienti di vetro usati per gli esperimenti. Nessuna “impronta” rilasciata dal soluto nel solvente e presente anche dopo un certo numero di diluizioni e succussioni, è stata  rilevata da Aabel et al. [5] che scrivono:

there is no experimental evidence that homeopathic remedies make any kind of imprint on their solvent, which can be detected with nuclear magnetic resonance”.

Alle stesse conclusioni giunge anche Anick [6] che riporta:

no discrete signals suggesting a difference between remedies and controls were seen, via high sensitivity 1H-NMR spectroscopy. The results failed to support a hypothesis that remedies made in water contain long-lived non-dynamic alterations of the H-bonding pattern of the solvent”.

Le evidenze di Milgrom et al., Demangeat et al., Aabel et al. e Anick, sono state recentemente confermate anche da Baumgartner et al. [7] che riportano:

No clear pattern emerged with respect to a difference between homeopathic preparations and controls or between homeopathic preparations”.

Da quanto appena riportato, si comprende che l’ipotesi sulla memoria dell’acqua è stata falsificata in senso popperiano. In altre parole l’uso di tale ipotesi consente di fare delle previsioni che, poi, non sono confermate dalla realtà sperimentale.

Quale conclusione si può trarre da questa lezione? La memoria dell’acqua semplicemente non esiste.

Andiamo oltre

Altre realtà sperimentali

Concentriamoci ora sul fenomeno della succussione ovvero dell’agitazione meccanica e violenta che, secondo Hannhemann, dinaminizzerebbe l’acqua rendendola capace di accumulare e potenziare l’essenza del principio attivo rendendolo efficace anche alle estreme diluizioni omeopatiche.

Tra le tecniche utilizzate per lo studio degli effetti della succussione sulla struttura dell’acqua sono da annoverare conduttimetria e calorimetria. La conduttimetria è un tipo di analisi attraverso cui si valuta la capacità dell’acqua di condurre la corrente elettrica. La conduttimetria, per esempio, consente di misurare l’effetto Grotthus di cui ho parlato qui. La calorimetria è una tecnica che consente la misura della quantità di energia coinvolta nei processi chimici. In altre parole,  l’idea alla base di queste misure è che i processi di diluizione e succussione che portano alla formazione di “impronte”, modificano la rete di legami a idrogeno in cui le molecole di acqua sono coinvolte. Queste modifiche sono individuabili sia attraverso la misura dell’energia (ovvero calore) coinvolta durante le trasformazioni che attraverso le alterazioni temporali delle proprietà conduttimetriche [8].

Sia le indagini conduttimetriche che quelle calorimetriche in cui si conclude che la succussione permette la formazione di strutture acquose coinvolte nelle proprietà dei rimedi omeopatici, sono state smentite in lavori apparsi recentemente in letteratura. Per esempio, Horatio Corti [9] riporta che tutti i lavori in cui si fa uso di conduttimetria soffrono di fallacie metodologiche. Per esempio, quando si descrive la succussione si scrive “violent agitaton”. Cosa vuol dire “agitazione violenta”? Ciò che è “violento” per me potrebbe non esserlo per altri. Sotto il profilo metodologico è sempre – e ribadisco sempre – necessario riportare le condizioni esatte con cui vengono preparati i campioni per le analisi. La base del metodo scientifico è quella di consentire a tutti i ricercatori interessati, di ripetere, se necessario, gli esperimenti fatti dai propri colleghi. Se mancano informazioni, gli esperimenti sono irripetibili ed irriproducibili; i fenomeni di cui si tenta di dare una spiegazione non sono osservabili; quei fenomeni non possono essere descritti e ricadono nell’ambito della pseudo scienza.

Si potrebbe argomentare che in alcuni lavori sia stato indicato che la succussione consiste:

in a single succussion process, 50–500 vertical strokes are given at the frequency of 0.83 Hz to the vessel containing the solution. In the case of the vortex, the time the vortex was present varied from 20 to 120 s” [10].

In altre parole, la succussione può essere effettuata in due modi. Una prima modalità consiste nell’agitare da 50 a 500 volte dall’alto verso il basso (ovvero in verticale) con una frequenza di 0.83 Hz il contenitore in cui vengono effettuate le diluizioni. Una seconda modalità consiste nell’usare un miscelatore “vortex” per un intervallo di tempo variabile da 20 a 120 s.

Sebbene quanto riportato possa sembrare ineccepibile sotto l’aspetto scientifico, in realtà le informazioni non sono sufficienti affinché la preparazione dei campioni possa essere considerata riproducibile. Infatti, manca l’indicazione relativa alla quantità di energia meccanica coinvolta nel processo di succussione.

In altri studi sui processi di succussione e diluizione, vengono prese in considerazione miscele acqua/biossido di silicio [8]. Ebbene, il biossido di silicio è un composto chimico, presente anche nel vetro, del tutto insolubile in acqua. In funzione delle dimensioni delle particelle di biossido di silicio, si può parlare di dispersione colloidale (particelle di dimensione compresa tra 2 x 10-9 e 2 x 10-6 m, ovvero tra 2 nm e 2 micron) o di sospensione (particelle con dimensione > 2 x 10-6 m, ovvero > 2 micron). È evidente, quindi, che le miscele biossido di silicio/acqua non sono “soluzioni” propriamente dette.

Non essendo delle soluzioni, ma delle dispersioni colloidali o addirittura delle sospensioni, le miscele acqua/biossido di silicio non possono essere campionate in modo riproducibile dal momento che la distribuzione del particolato solido nell’intera miscela dipende fortemente dalla turbolenza del sistema. Si tratta, in definitiva, anche in questo caso di un sistema irriproducibile che non consente ad altri ricercatori di poter controllare la validità delle osservazioni fatte da chi “esalta” la capacità “dinamizzatrice” della succussione.

Cosa dire poi dell’uso di bottiglie scure usate per la conservazione dei campioni? [11]  Il colore delle bottiglie è dovuto a composti contenenti nickel, ferro o altri ossidi di metalli di transizione che possono essere rilasciati nelle soluzioni. Queste impurezze, della cui presenza è stato già discusso nel paragrafo precedente in merito ai risultati NMR, possono inficiare sia le misure conduttimetriche che quelle calorimetriche.

Non si può, poi, non ricordare anche che  le “agitazioni violente” incrementano la solubilità dei gas in acqua portando alla formazione di nanobolle la cui presenza inficia ogni possibile tipo di analisi si decida di effettuare.

Non è un caso, quindi, che Verdel e Bukovec [12] affermino che quando tutte le possibili fonti di errori sono sotto controllo:

we found no differences in conductivities of aged mechanically treated solutions and aged untreated solutions

ovvero la succussione non produce effetti rispetto a soluzioni controllo.

Verdel e Bukovec evidenziano anche che le modifiche temporali nelle misure conduttimetriche dell’acqua possono essere ricondotti ad una proprietà anomala della stessa indicata come tissotropia. La tissotropia è una particolare caratteristica fisica di alcuni gel o liquidi per la quale la viscosità è più elevata in condizioni di riposo, mentre diventa via via più bassa man mano che aumenta l’agitazione meccanica.

Conclusioni I

Questa breve disamina sulle realtà sperimentali in merito all’omeopatia, ha evidenziato che non è vero quanto dicono gli amici dell’omeopatia in merito al mondo scientifico chiuso e sordo alle novità. Si tratta di fantasie di ignoranti che non hanno alcuna idea di come ci si muove nel mondo scientifico. Queste persone, che non hanno idea di cosa sia la Scienza, hanno in mente solo le biografie romanzate di grandi scienziati del passato e pensano che queste biografie romantiche riflettano esattamente il mondo nel quale io stesso mi muovo da circa 25 anni.

Conclusioni II

Anche sotto l’aspetto chimico, l’omeopatia altro non è che una vera e propria scemenza. C’è bisogno di prove per affermarlo? Secondo me, sì. Quando si fanno delle affermazioni in ambito scientifico bisogna sempre parlare con cognizione di causa. Bene hanno fatto i colleghi a fare esperimenti per individuare la validità della cosiddetta memoria dell’acqua. I risultati hanno dimostrato in modo ineccepibile che s tratta di una idea affascinante che, tuttavia, non ha alcun riscontro sperimentale. Si può accantonare senza alcuna difficoltà.

Conclusioni III

Ci sarà sicuramente qualcuno che penserà: “va bene. La memoria dell’acqua non è verificata e quindi non si può considerare. Ma l’omeopatia su di me funziona. Ci sarà qualche altro motivo”.

Il funzionamento dell’omeopatia è legato all’effetto placebo, un effetto non biochimico che si realizza solo in alcune condizioni e che, comunque, non consente di risolvere problemi seri. Ma questo sarà l’oggetto di un’altra nota.

Riferimenti e note

[1] D. Goldenberg (2016) Principles of NMR Spectoscopy, University Science Books; R. Kimmich (2011) NMR: Tomography, Diffusometry, Relaxometry. Springer 2nd ed.

[2] R.R. Conte et al. (1999) Theory of high dilutions and experimental aspects. Paris: Polytechnica. Tradotto e pubblicato da Dynsol Ltd, Huddersfield

[3] LR Milgrom et al. (2001) On the investigation of homeopathic potencies using low resolution NMR T2 relaxation times: an experimental and critical survey of the work of Rolland Conte et al. British Homeopathic Journal, 90: 5-12

[4] JL Demangeat et al. (2004) Low-field NMR water proton longitudinal relaxation in ultrahigh diluted aqueous solutions of silica-lactose prepared in glass material for pharmaceutical use. Applied Magnetic Resonance. 26: 465-481

[5] S Aabel et al. (2001) Nuclear magnetic resonance (NMR) studies of homeopathic solutions. British Homeopathic Journal, 90: 14-20

[6] DJ Anick (2004) High sensitivity 1H-NMR spectroscopy of homeopathic remedies made in water.  BMC Complementary and Alternative Medicine, 4: 15 DOI: 10.1186/1472-6882-4-15

[7] S. Baumgartner et al. (2009) High-field 1H T1 and T2 NMR relaxation time measurements of H2O in homeopathic preparations of quarrtz, sulfur, and copper sulfate. Naturwissenschaften, 96: 1079-1089

[8] V. Elia et al. (2004) New physico-chemical properties of extremely diluted aqueous solutions. A calorimetric and conductivity study at 25°C, Journal of Thermal Analysis and Calorimetry, 78: 331–342; V. Elia et al. (2005) Hydrohysteretic phenomena of “Extremely Diluted Solutions” induced by mechanical treatments: a calorimetric and conductometric study at 25 °C. Journal of Solution Chemistry, 34: 947-960; V. Elia et al. (2007) The “Memory of Water”: an almost deciphered enigma. Dissipative structures in extremely dilute aqueous solutions. Homeophaty 96: 163–169; V. Elia et al. (2008) New physico-chemical properties of extremely dilute solutions. A conductivity study at 25 °C in relation to ageing. Journal of Solution Chemistry, 37: 85–96

[9] H.R. Corti (2008) Comments on “New Physico-Chemical Properties of Extremely Dilute Solutions. A Conductivity Study at 25 °C in Relation to Ageing”, Journal of Solution Chemistry 37: 1819–1824

[10] V. Elia et al. (2005) Hydrohysteretic phenomena of “Extremely Diluted Solutions” induced by mechanical treatments: a calorimetric and conductometric study at 25 °C. Journal of Solution Chemistry, 34: 947-960

[11] V. Elia et al. (2004) New physico-chemical properties of extremely diluted aqueous solutions. A calorimetric and conductivity study at 25°C, Journal of Thermal Analysis and Calorimetry, 78: 331–342

[12] N. Verdel e P. Bukovec (2014) Possible further evidence for the thixotropic phenomenon of water, Entropy 16: 2146-2160

Fonte dell’immagine di copertinaultimi studi

Meccanismo di Grotthuss

Avete mai sentito parlare del meccanismo di Grotthuss? In genere, sono pochi a conoscere questa locuzione, anche tra i chimici. A cosa ci si riferisce?

Si parla di acqua e del modo con cui diffondono gli ioni ioni H+ (ione idrogeno o idrogenione) e OH (ione ossidrile o ossidrilione) all’interno del sistema acqua.

E’ noto che un acido in acqua dà luogo al seguente equilibrio:

che può essere spostato verso i reagenti o verso i prodotti a seconda della forza dell’acido stesso.

Allo stesso modo una base in acqua dà un equilibrio descrivibile secondo la seguente equazione chimica:

anche esso spostato a destra (verso i prodotti) o a sinistra (verso i reagenti) a seconda della forza della base.

La stessa acqua dà luogo ad un equilibrio di autoprotolisi che può essere descritto così:

Ciò che in genere si insegna agli studenti del primo anno dei corsi di laurea scientifici in cui si studia la chimica è che tutti gli ioni in soluzione acquosa sono solvatati, ovvero sono circondati da un certo numero di molecole di acqua. Anche gli ioni H+ e OH sono solvatati.

La struttura contenente il minimo numero di molecole di acqua per l’idrogenione e l’ossidrilione è:

In altre parole, lo ione H ha formula minima  H9O4+ mentre lo ione OH ha formula minima H7O4 .

I legami tratteggiati indicano interazioni di carattere elettrostastico. Sono i legami a idrogeno.

Quando si parla di interazioni elettriche si pensa sempre ad interazioni che si realizzano tra cariche dello stesso segno che si respingono o cariche di segno opposto che si attraggono. Nel caso specifico delle interazioni tra l’idrogenione e le molecole di acqua o l’ossidrilione e le molecole di acqua, l’interazione si stabilisce tra la carica positiva dell’idrogenione e le cariche negative presenti sugli atomi di ossigeno delle molecole di acqua; tra la carica negativa dell’ossidrilione e le cariche positive localizzate sugli atomi di idrogeno delle molecole di acqua.

I legami a idrogeno anzidetti, in realtà, non sono esclusivamente di natura elettrostatica. Esiste un altro modo per descriverli. Si possono prendere in considerazione gli orbitali molecolari. In altre aprole, si può dire che uno degli orbitali contenenti gli elettroni di non legame (ovvero una coppia solitaria) dell’atomo di ossigeno di una molecola di acqua, si combina con l’orbitale povero di elettroni dello ione idrogeno per la formazione della specie chimica  H3O+ . Quest’ultima a sua volta è caratterizzata da una vacanza elettronica (ovvero una carica positiva) delocalizzata sull’intera struttura, o meglio sui tre atomi di idrogeno legati all’ossigeno centrale. Una seconda molecola di acqua può interagire con la specie H3O+ attraverso la combinazione di un orbitale molecolare che contiene una delle coppie elettroniche solitarie dell’atomo di ossigeno con l’orbitale vuoto di uno degli atomi di idrogeno dello ione H3O+ . Queste interazioni, di natura covalente, si realizzano anche con gli altri atomi di idrogeno dello ione H3O+ .

Un discorso analogo va fatto per quanto riguarda l’interazione tra lo ione ossidrile e le molecole di acqua. La differenza rispetto a quanto accade tra acqua ed H3O+ è che nel caso dell’ossidrilione, l’orbitale ricco di elettroni è quello dello ione OH mentre quello povero di elettroni è l’orbitale presente negli atomi di idrogeno delle molecole di acqua.

Considerando quanto appena detto, ne viene che nel legame

può avvenire lo scambio

Ovvero quello che prima era un legame covalente diventa legame a idrogeno; quello che prima era un legame a idrogeno diventa legame covalente.

Quando lo scambio predetto si realizza sull’intera rete di legami a idrogeno del sistema acquoso, si ottiene la diffusione della carica positiva all’interno dell’acqua. La figura qui sotto chiarisce il movimento della carica elettrica come conseguenza dello scambio di cui si è parlato fino ad ora.

 

Un discorso analogo si può fare per la diffusione dello ione ossidrile all’interno della rete dei legami a idrogeno con le molecole di acqua:

Conclusioni I

Alla luce di quanto indicato, si evince che la diffusione degli ossidrili e degli idrogenioni in acqua non segue solo un meccanismo basato sul gradiente di concentrazione, ma anche quello fondato sullo scambio chimico conosciuto come meccanismo di Grotthus, dal nome del chimico Tedesco che per primo descrisse questo fenomeno che può essere valutato sperimentalmente attraverso tecniche di spettroscopia e conduttimetria.

Conclusioni II

Come si legge in questa “pillola di scienza”, la chimica può risultare veramente complessa se non si possiede padronanza con un certo tipo di linguaggio e con un certo modo di pensare. Nel rileggere questa nota mi sono reso conto di non aver utilizzato un linguaggio elementare. Me ne scuso con i miei lettori meno addentro al linguaggio chimico. Non sempre è facile fare lo “storytelling” di argomenti scientifici, specialmente quando questi necessitano di conoscenze di base non proprio banali.

Il lettore più curioso potrebbe chiedersi se questo meccanismo abbia una qualche utilità pratica oltre al piacere intellettuale di aver apportato una conoscenza di base al nostro bagaglio culturale. Ebbene sì. Questo meccanismo può spiegare la cinetica degli ioni (in questo caso H+ e OH ) nelle matrici ambientali come suoli ed acque. La dinamica degli ioni nei suoli è direttamente correlata alla fertilità. Come conseguenza, approfondire i meccanismi con cui le specie chimiche si “muovono” all’interno del suolo può aiutare a comprendere in che modo possiamo agire non solo per migliorare la fertilità dei suoli, ma anche per il recupero di ecosistemi stressati da attività agricole intensive necessarie alla nostra produzione alimentare.

Note e considerazioni

Gli orbitali molecolari che contengono le coppie solitarie degli atomi di ossigeno dell’acqua sono indicati come HOMO, ovvero “Highest Occupied Molecular Orbital”, orbitale molecolare a più alta energia occupato. Quelli non occupati presenti sugli atomi di idrogeno sono indicati come LUMO, ovvero “Lowest Unoccupied Molecular Orbital”, orbitale molecolare a più bassa energia non occupato.

Per saperne di più

La conduttanza ed il meccanismo di Grotthuss

La chimica dello ione idrogeno

Fonte dell’immagine di copertinahttp://www.chimica-online.it/download/legame-a-idrogeno.htm

Bustine di scienza. La popolarità

Inizio una nuova “rubrica” in questo blog dal titolo “Bustine di scienza”. L’idea nasce sulla falsariga delle “Bustine di Minerva” che Umberto Eco scriveva su L’Espresso. L’intento  delle “Bustine di scienza” è quello di fornire delle brevi e semplici informazioni sul metodo scientifico in modo da consentire a quante più persone possibile, principalmente studenti delle scuole inferiori e superiori, di avvicinarsi al fantastico mondo scientifico che ci consente di spiegare come avvengono i fenomeni intorno a noi.

Questa prima bustiona è dedicata alla fallacia secondo cui le teorie scientifiche sarebbero accettate dalla maggioranza della comunità scientifica in base alla loro popolarità.

Non è così.

Sebbene sia possibile leggere ovunque che “la maggioranza degli scienziati è d’accordo che…” non vuol dire che gli scienziati si riuniscano annualmente e decidano per alzata di mano quale debba essere il modello scientifico in voga per quell’anno.

I modelli scientifici non sono approvati in base alla loro popolarità, quanto piuttosto in base alle evidenze in grado di supportarli o di contraddirli.

Una teoria scientifica viene considerata valida dopo anni, talvolta anche dopo decine di anni, una volta che le diverse evidenze che la supportano hanno passato il vaglio critico dell’intera comunità scientifica.

Dire che una teoria è accettata dalla maggioranza degli scienziati, non vuol dire che esiste una comunità che a maggioranza accetta il modello teorico sulla base di gusti personali; vuol dire, al contrario, che la maggioranza degli scienziati ritiene che la teoria descriva accuratamente i fatti osservati.

E la minoranza della comunità scientifica? Semplicemente ritiene che le evidenze a supporto del modello teorico non siano sufficientemente accurate da poter suggerire quella determinata teoria.

Gli scienziati che appartengono a questa minoranza propongono teorie alternative ma sempre partendo dall’osservazione degli stessi fatti.

Vi dice qualcosa la contrapposizione tra i modelli cosmologici in voga qualche secolo fa?

Accanto al modello geocentrico fu sviluppato quello eliocentrico e quello elio-geo-centrico. Tutti i modelli avevano un impianto matematico di tutto rispetto e tutti descrivevano in egual modo gli stessi fatti osservati. Il modello geocentrico e quello elio-geo-centrico furono abbandonati quando nuove osservazioni (quelle di Galileo Galilei) consentirono di dimostrare che la Terra non era il centro di nulla.

Da tutto questo si conclude che i fantomatici ricercatori indipendenti, pseudo-emuli di Galileo Galilei, che propongono teorie alternative per spiegare fenomeni che vedono solo loro (lettura del pensiero, rabdomanzia, telecinesi, fantasmi, paranormale in genere) non sono altro che degli imbonitori che sfruttano l’ingenuità di persone che non hanno strumenti per distinguere fenomeni reali da pura fantasia.

Antivaccinisti ed immunità di gregge

Antivaccinisti

Molte volte si sente dire da parte degli antivaccinisti: “ma se una persona è vaccinata contro una patologia, perché dovrebbe temere i non vaccinati? Questi non possono trasmettere la patologia ai vaccinati”.

Sembra intuitivo, vero? Ma quante volte ho dovuto evidenziare che la scienza è contro intuitiva?

Sebbene quanto affermato dagli antivaccinisti sembri logico, in realtà denota solo una scarsa conoscenza della biochimica di base.

Batteri e virus sono in grado di moltiplicarsi molto velocemente, più velocemente di quanto facciano gli esseri umani ed in numero nettamente superiore a noi.

Durante le fasi della crescita batterica o della replicazione dei virus, tra i miliardi di batteri e virus che si producono, se ne otterrà sempre un piccolo numero che ha subito delle mutazioni genetiche.

Queste ultime sono tali da non consentire la “sopravvivenza” di questo sparuto numero di mutanti nelle condizioni ambientali in cui essi si trovano. Tuttavia, se le condizioni cambiano, saranno proprio questi pochi mutanti a sopravvivere e a produrre la popolazione in grado di resistere alle mutate condizioni ambientali.

Ognuno di noi è portatore di batteri e virus. Il nostro organismo è un vero e proprio laboratorio chimico in cui questi minuscoli “esserini” prosperano e si moltiplicano.

Il compito dei vaccini è quello di permettere al nostro organismo di sviluppare delle squadre di sorveglianza in grado di riconoscere tra i miliardi di esserini anzidetti quelli che possono portare a delle patologie serie. Una volta individuati i “cattivi”, le squadre di sorveglianza (ovvero i carabinieri all’interno del nostro organismo) procedono all’isolamento ed alla neutralizzazione di questi portatori di patologie.

In altre parole quando ci vacciniamo è come se dotassimo le squadre di carabinieri che controllano lo stato di salute del nostro corpo delle foto segnaletiche dei “cattivi”.

Quando i “cattivi” penetrano dentro di noi, vengono individuati  dai carabinieri grazie alle foto segnaletiche  che abbiamo fornito tramite i vaccini. I carabinieri, quindi, si muovono e  provvedono all’isolamento ed alla neutralizzazione dei “cattivi”.

Se il numero di persone non vaccinate è molto alto, diciamo per comodità al di sotto del 95% che è un numero che in questi giorni abbiamo spesso letto, accade che anche i vaccinati rischiano di essere preda delle patologie dei non vaccinati.

Perché?

Ricordate che ognuno di noi contiene miliardi di esserini? Ebbene più aumenta il numero di individui non vaccinati, più il numero di esserini portatori di patologie aumenta. Più questo numero aumenta più aumenta la possibilità che si sviluppino esserini cattivi mutati. Questi cattivi mutati non corrispondono più alle foto segnaletiche che abbiamo inviato ai carabinieri che controllano lo stato di salute del nostro corpo. La conseguenza è che quando i cattivi mutati penetrano nell’organismo vaccinato, non vengono riconosciuti come “cattivi” e fanno danni.

Capito ora perché è importante portare la percentuale di vaccinati al di sopra di certe soglie? In questo modo impediamo che avvengano le trasformazioni che consentono a batteri e virus cattivi di “mimetizzarsi” e di non essere riconosciuti come tali dal nostro sistema immunitario che è stato “abituato” a riconoscerli senza la maschera dovuta alla mimetizzazione.

Gli antivaccinisti hanno torto. Non è vero che chi è vaccinato non deve preoccuparsi dei non vaccinati. Se il numero dei non vaccinati è molto alto, anche i vaccinati possono cadere preda delle patologie per cui sono state effettuate le vaccinazioni. Infatti virus e batteri mutati, grazie all’elevata percentuale di non vaccinati, non sono più riconoscibili dal sistema immunitario dei vaccinati.

Note, commenti e riferimenti 

  1. Tutto quanto illustrato spiega perché, per esempio, ogni anno bisogna rifare il vaccino anti-influenzale. Pur essendo il virus dell’influenza sempre lo stesso, ogni anno si ripresenta con una “maschera” diversa. Il nostro sistema immunitario, che l’anno precedente era stato abituato a riconoscere una certa “maschera”, non è in grado di riconoscere la nuova “maschera”. La conseguenza è che ogni anno dobbiamo inviare al nostro sistema immunitario le foto segnaletiche relative al nuovo aspetto che il virus dell’influenza ha assunto rispetto all’anno precedente.
  2. La velocità con cui i batteri si moltiplicano e subiscono mutazioni rende conto del motivo per cui abbiamo bisogno di nuovi e più efficaci antibiotici ogni anno che passa. Infatti grazie alla loro rapida crescita, la probabilità che mutazioni casuali producano batteri resistenti agli antibiotici che usiamo è molto alta. La conseguenza è che gli antibiotici attualmente in uso diventano sempre meno utili.
  3. Batteri e virus non fanno altro che attuare le normali strategie per la sopravvivenza contro cui noi dobbiamo opporci con gli strumenti che abbiamo, ovvero le vaccinazioni e formulati farmaceutici sempre più nuovi ed efficaci.
  4. Per approfondire: R. Burioni, Il vaccino non è un’opinione; A. Grignolio, Chi ha paura dei vaccini

Fonte dell’immagine di copertinahttp://www.genitoripiu.it/news/allerta-vaccinazioni-dallistituto-superiore-di-sanita

Libertà di espressione

Libertà di espressione

Ho preso l’immagine di copertina da un post del Prof. Burioni. Si evidenzia come un gruppo, non so quanto ristretto, di antivaccinisti convinti stia cercando di attaccare il libro del Prof. Burioni inserendo commenti negativi nella sezione “Recensioni” di Amazon.com. Se il numero di commenti negativi è molto alto, pare che Amazon chieda conto e ragione a chi ha inserito l’articolo in vendita e, se non vengoni fornite spiegazioni convincenti, si può arrivare anche al ritiro dal sito di Amazon.

Inutile dire che sto partecipando anche io alla discussione avendo letto il libro dopo averlo acquistato in libreria. Il tono medio delle risposte che ricevo è di questo tipo:

Commento tipico di un antivaccinista

in altre parole si invoca libertà di giudizio, libertà di opinione e libertà di espressione contro un non  meglio specificato pensiero unico.

Libertà di giudizio, pensiero, opinione, espressione sono tutte sacrosante. Ci mancherebbe altro. Sono, peraltro anche sancite dalla nostra costituzione oltre che da ogni carta per i diritti dell’uomo. Ed è giusto che sia così. Questa è l’essenza del mondo libero: ognuno può dire la sua su ogni cosa.

Qual è il problema?

Il problema è che quando ci si riferisce alle libertà fondamentali dell’uomo non lo si fa considerando il mondo scientifico.

Cerco di spiegarmi meglio perché detta così  sembrerebbe che il mondo scientifico  sia tutt’altro che libero. Non è così. Il mondo scientifico è quanto di più democratico esista. Chiunque, dal grande luminare al più umile degli uomini sono alla pari. Il punto è che questo è vero solo sulla base di un background comune. Nel mondo scientifico a dati e tabelle si risponde con dati e tabelle.

Se mi dicessero che l’acqua non è H2O, ma SiO2, io porterei innanzitutto le analisi a dimostrazione del fatto che la molecola di acqua contiene 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Pretenderei, inoltre, che il mio interlocutore, sia  grande luminare che umile ciabattino, portasse altrettante analisi per suffragare la sua affermazione secondo cui la molecola di acqua è fatta da un atomo di silicio e 2 di ossigeno. Questo perché? Perché la formula H2O spiega tantissime cose, mentre quella SiO2 andrebbe contro una serie innumerevole di evidenze. È chiaro che mi aspetto che chi fa certe affermazioni, le faccia in modo circostanziato. Se l’unica argomentazione è che la formula dell’acqua è SiO2 perché  è giusto avere un contraddittorio ed evitare il pensiero unico, ebbene io tratto questo soggetto per quello che è: un emerito ignorante.

E’ vero che la scienza è fatta di contraddittorio, ma è anche vero che il contraddittorio si basa su delle conoscenze di base comuni sulle quali si costruisce il confronto.

Io posso dire che il libro del Prof. Burioni non mi piace perché il colore della copertina non incontra i miei gusti; perché trovo che sia poco maneggiabile oppure perché è scritto male ed io non lo capisco. Ma di certo non posso dire che riporta informazioni false perché per farlo ho bisogno di andare a cercare nella letteratura scientifica gli articoli citati, li devo leggere e capire e poi entrare nel merito dei singoli esperimenti lì descritti. Per fare questo non basta la mia laurea in chimica, il mio dottorato in chimica del suolo ed il fatto che io insegni all’università la chimica del suolo dopo aver insegnato vari anni la chimica organica e la chimica generale. Non basta perché le mie specializzazioni non mi consentono di capire i dettagli dei lavori citati, per cui, come il prof. Burioni si affiderebbe a me per avere un’idea sulla dinamica dei nutrienti nel suolo, io mi devo affidare a lui per avere una idea dell’utilità dei vaccini.

Immaginiamo ora un laureato in giurisprudenza che ha una specializzazione in diritto civile o penale o qualunque altra nel campo legislativo. Immaginiamo anche una persona che, per motivi che non mi interessano, non sia andata a scuola o si sia fermata al diploma superiore. Queste persone sarebbero in grado di giudicare la validità dei dati riportati dal prof. Burioni? Senza una attenta valutazione dei lavori che Burioni cita, l’unica cosa che possono dire è: mi affido alla buona fede ed alla preparazione di Burioni. Invece, queste persone vanno oltre. Il loro malinteso senso della democrazia e della libertà di espressione ed opinione li rende così arroganti da pensare che la loro ignoranza sia del tutto equivalente alla preparazione di chi si esprime nel merito del settore in cui ha passato la vita prima come studente, poi come studioso.

Alla luce di tutto questo posso riaffermare con forza che la scienza è libera e democratica, ma in ambito scientifico il concetto di “democrazia”  o “libertà di espressione” non vuol dire che sono libero di aprire bocca e dire quello che mi pare. Ovvero posso anche farlo, ma devo avere la consapevolezza di poter essere additato come un arrogante ignorante se dico sciocchezze. Se voglio dire la mia liberamente ed essere preso sul serio, lo devo fare con cognizione di causa salendo io sul piano degli esperti e non pretendendo il contrario. Altrimenti meglio stare zitti.

Conclusioni

Quanto ho appena scritto, ai tempi dei miei genitori o dei miei nonni, appariva qualcosa di sensato. Se io non sono esperto di qualche cosa, mi rimetto all’esperto per risolvere un mio problema. Del resto se ho un problema ai tubi di casa chiamo l’idraulico.  Se questi mi dice  che bisogna fare un certo tipo di lavoro, ho due possibilità: accetto quello che mi propone oppure mi rivolgo ad un altro idraulico. Se quest’ultimo mi dà la stessa risposta, prendo atto e confronto i preventivi. Se la risposta è diversa, interpello un terzo idraulico e confronto le risposte. È nel mio pieno diritto stare a sentire più campane e scegliere quella che economicamente è più conveniente. Nel mondo scientifico ed in quello dei vaccini, in particolare, funziona allo stesso modo. Se un insieme di professionisti mi dice che la pericolosità dei vaccini è praticamente nulla e che se si verificasse un inconveniente sarebbe assolutamente sotto controllo, non starei certamente a sentire l’unica voce fuori dal coro che mi dice il contrario. Mi chiederei perché la voce fuori dal coro è tale e lo considererei un ignorante. Questo si chiama buon senso. Purtroppo, però, devo constatare con enorme dispiacere che, al giorno d’oggi, il buon senso è diventato non solo merce rara ma anche un modo di pensare controintuitivo.

 

Omeopatia e fantasia

Omeopatia e fantasia. La proposta di Benveniste
Nel 1988 il gruppo di ricerca gestito dal Professor Benveniste pubblica su Nature un lavoro nel quale si evidenzia come l’attività di certi anticorpi permane anche dopo le diluizioni estreme tipiche dei rimedi omeopatici. L’ipotesi formulata per spiegare questi risultati inattesi è che l’impronta degli anticorpi venga in qualche modo “memorizzata” all’interno della struttura dell’insieme di molecole di acqua. Sarebbe questa “traccia” lasciata dagli anticorpi a indurre gli effetti biochimici dei rimedi omeopatici, secondo i fautori dell’omeopatia. Ipotesi indubbiamente affascinante ma che, essendo basata su affermazioni straordinarie, richiede prove straordinarie.
Ho già avuto modo di spiegare che gli stessi editor di Nature si riservarono la possibilità di verificare la validità delle procedure utilizzate per l’ottenimento di quei risultati che apparentemente avrebbero dovuto consentire la riscrittura completa di tutti i libri di testo di chimica e fisica.
I risultati dell’indagine condotta dal comitato di esperti di Nature non hanno lasciato dubbi: il lavoro del gruppo gestito da Benveniste sopravvaluta gli effetti che gli autori riportano nelle loro conclusioni, manca di riproducibilità, manca di una seria valutazione degli errori sperimentali sia casuali che sistematici (per esempio gli autori non hanno fatto sforzi per eliminare i pregiudizi di conferma) e le condizioni del laboratorio non offrono sufficienti garanzie per una interpretazione oggettiva, e quindi credibile, dei dati
Nonostante la bocciatura, gli amici dell’omeopatia tornano periodicamente alla carica con la memoria dell’acqua.

Omeopatia e fantasia. La proposta di Montagnier
Subito dopo aver vinto il Nobel per la scoperta del virus HIV, quello responsabile dell’AIDS, Luc Montagnier pubblica un lavoro dal titolo “Electromagnetic signals are produced by aqueous nanostructures derived from bacterial DNA sequences”. I risultati di questo lavoro hanno eccitato, e tuttora eccitano, i fautori dei rimedi omeopatici. Infatti, Montagnier riporta che alcune sequenze di DNA sarebbero in grado di emettere delle radiazioni elettromagnetiche a bassa frequenza capaci di produrre degli insiemi nano-strutturati di molecole di acqua che permarrebbero in soluzione anche in assenza delle sequenze di DNA che li hanno prodotti. I nano-aggregati sarebbero a loro volta in grado di emettere le stesse onde elettromagnetiche delle sequenze di DNA. Si ottiene, in definitiva, una trasmissione delle informazioni contenute nelle sequenze di DNA a tutta la soluzione.
La novità del lavoro di Luc Montagnier è legata al fatto che la trasmissione elettromagnetica descritta occorre anche in assenza di soluto. In altre parole, i frammenti di DNA che innescano la trasmissione sembrano lasciare il loro “ricordo” all’interno della soluzione. Questo ricordo è riconducibile alle nano-strutture acquose che contengono l’informazione lasciata dal DNA. Montagnier si spinge anche oltre. Egli, infatti, ipotizza che tutte le patologie possano essere di origine batterica o virale, anche quelle per cui attualmente non sono riconosciute cause di questo tipo, come per esempio l’autismo. Secondo Montagnier, le non determinabili quantità di DNA immerse nel nostro organismo da questi “vettori” trasmetterebbero, attraverso l’acqua presente nel nostro sangue, le informazioni relative alle patologie di cui cadiamo preda.

Bello vero? L’ha detto un premio Nobel. Chi sono io per contraddire uno che è arrivato nell’Olimpo degli scienziati? Devo essere umile ed accettare le parole di Montagnier.

Sapete qual è il problema? Che io non solo non sono umile quando si parla di scienza, ma lo sono ancora meno quando si parla di chimica. Divento veramente antipatico se chi mi dice queste cose è uno che non solo non conosce la chimica, ma si dice pure simpatizzante dell’omeopatia. Se poi è un chimico (o in generale uno scienziato) simpatizzante dell’omeopatia, allora divento un antipatico intransigente e passo a trattare questo scienziato per quello che è: un ignorante assoluto.

Ma vediamo perché.

Cosa non va nel lavoro di Montagnier (parte I)
Se si legge il lavoro di Montagnier si nota subito una cosa. Esso è stato inviato alla rivista il 3 Gennaio, revisionato dopo suggerimenti ricevuti da revisori anonimi il 5 Gennaio e pubblicato in via definitiva il 6 Gennaio 2009. Tre giorni per inviare, revisionare e pubblicare un lavoro scientifico in cui si riportano delle informazioni che possono cambiare radicalmente le nostre conoscenze chimiche e fisiche, è eccezionale. L’ipotesi di Montagnier, infatti, tenderebbe a ridisegnare completamente tutto quanto sappiamo sull’acqua. I modelli che abbiamo usato fino ad ora e che funzionano perfettamente devono essere o rivisti o abbandonati.
Una rivista che pubblica così velocemente è encomiabile. Vuol dire che essa è molto efficiente nella scelta dei revisori anonimi e nel successivo processo di revisione ed editing. I revisori si sono, evidentemente, dichiarati disponibili a leggere e commentare il lavoro di Montagnier in tempi veramente ridotti. Si sono detti disponibili a sottrarre tempo prezioso al loro lavoro di ricerca e didattica per una incombenza che è fondamentale nel mondo scientifico: la peer review o revisione tra pari. Questo va bene. Anche a me capita di fare revisioni solo uno o due giorni dopo aver ricevuto la richiesta da parte delle riviste del mio settore.
Cosa dire, però, del servizio editoriale della rivista? Indubbiamente si è dimostrato particolarmente efficiente. Infatti, poche ore dopo aver ricevuto i commenti dei revisori, l’editore ha contattato gli autori che immediatamente hanno provveduto alle eventuali revisioni suggerite. Infine, nel giro di altre poche ore il lavoro è stato formattato secondo gli schemi della rivista, le bozze inviate agli autori, corrette e restituite alla rivista che ha poi pubblicato immediatamente il lavoro.
Posso dire che sono invidioso? A me è capitato che le uniche volte in cui le informazioni in merito ad un mio lavoro siano arrivate entro 48 ore dall’invio ad una rivista è perché il lavoro non era stato considerato pubblicabile sulla rivista stessa. Ma io non sono un Nobel e devo essere umile.
Peraltro io non sono neanche editor-in-chief né chairman dell’editorial board delle riviste su cui pubblico come, invece, lo è Luc Montagnier. Basta andare sul sito de “Interdisciplinary Sciences: Computational Life Sciences” della Springer e cercare nell’editorial board staff per trovare il nome di Montagnier associato alla carica di Chairman dell’editorial board staff. Non è che l’efficienza precedentemente discussa potrebbe essere dovuta al fatto che il Professor Montagnier abbia agito contemporaneamente come autore, editore e revisore del suo stesso lavoro? Se fosse così, sarebbe un plateale caso di scienza patologica legato ad un comportamento an-etico.
Ma io non sono nessuno e devo essere umile. Soprattutto queste mie elucubrazioni sanno di complottismo. Ed allora entriamo nel merito.

Cosa non va nel lavoro di Montagnier (parte II)
Da una lettura accurata del lavoro si evince che Montagnier fa ampio uso della tecnica PCR (polymerase chain reaction che in Italiano è conosciuta come reazione di amplificazione a catena). Si tratta di una tecnica che consente di amplificare (ovvero ottenere in gran quantità ed in poche ore) una specifica sequenza di DNA. Il limite di questa tecnica risiede nel fatto che occorre molta attenzione perché il rischio di contaminazione dei campioni è molto alto. Per esempio, l’amplificazione del DNA umano risulta facilitata dal fatto che frammenti di pelle sono presenti un po’ ovunque. Essi tendono ad accumularsi, anche se non ce ne accorgiamo, nei tubicini Eppendorf (citati nel lavoro di Montagnier) utilizzati proprio per la reazione di amplificazione a catena. Una volta che il DNA, o suoi residui, sono stati amplificati, non è possibile riconoscere quale parte del campione prodotto viene dal contaminante e quale, invece, dal sistema nucleotidico che si intendeva realmente amplificare. Un altro limite della tecnica è che possono avvenire delle reazioni collaterali tra i reagenti utilizzati che producono delle sequenze di DNA indistinguibili da quelle che realmente interessano. Per poter essere certi che la PCR abbia condotto ai risultati sperati è necessario effettuare dei controlli negativi, ovvero dei test che consentano di escludere senza ombra di dubbio che le reazioni occorse durante l’amplificazione non prodotto contaminazione. Nel lavoro di Montagnier non c’è alcuna descrizione di tali controlli. I suoi risultati possono essere inficiati da ogni possibile tipo di contaminazione. In altre parole tutto ciò che è stato detto in merito al lavoro di Benveniste si può riprendere e ripetere per quello di Montagnier.

Conclusioni
Anche se i lavori cardine cui fanno riferimento gli amici dell’omeopatia sono fallaci sotto l’aspetto metodologico, ci sarà sempre qualcuno che dirà: “va bene. I lavori che hai preso in considerazione hanno dei punti deboli, ma l’omeopatia funziona. Bisogna solo cercare il perché”.
Non è così, mio caro lettore ignorante e seguace della fede omeopatica. L’omeopatia funziona solo nella tua testa. I rimedi omeopatici non hanno alcun effetto se non quello placebo. E quest’ultimo funziona solo se sei in stato di veglia, cosciente e se nessuno ti dice che quanto assumi è solo acqua e zucchero. Insomma, il rimedio omeopatico su di te funziona perché, anche se non lo vuoi ammettere (e chi lo vorrebbe?), sei un ipocondriaco, cioè un malato immaginario. Questa tua condizione, che ti piaccia o no, ti rende facile preda di maghi, fattucchiere, imbonitori e venditori di olio di serpente.

Post-Conclusioni
Il mondo scientifico non è rimasto indifferente all’ipotesi di Montagnier. Esistono un po’ di lavori con i quali gli scienziati hanno cercato di individuare le nano-strutture acquose. Ma questa è storia per un altro post.

 

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