Irpinia 1980 – Genova 2018

Impazzano in questi giorni polemiche di ogni tipo in merito al crollo del ponte Morandi di Genova. Non entro nel merito delle questioni politiche. Non è questo il fine di questa pagina. Voglio solo rendere omaggio alla popolazione di Genova attraverso il racconto di un adolescente che ha vissuto le ore terribili del terremoto dell’Irpinia nel 1980. Tragedia diversa, è vero, ma, per molti versi, simile a ciò che è accaduto a Genova per quanto riguarda i drammi personali e le polemiche che seguono. Vi siete mai chiesti cosa prova un ragazzino che ha vissuto un dramma di questo tipo? Che magari ha subito una e perdita? Ecco qui una cronaca di una tragedia vista con gli occhi di un adolescente

_______________________________________________

23 Novembre 1980.
Paura e rabbia. Sembra morta anche la speranza. Paura: siamo davanti ad un fenomeno naturale, il terremoto, di cui non si conosce nulla e da cui non ci si può difendere. Rabbia: dalle prime convulse notizie si intravede la grande entità della tragedia e le responsabilità, dirette ed indirette, di chi ha da sempre dimenticato il Sud; di chi pensava che Avellino fosse un paese in provincia di Napoli.
Alba del 24 Novembre.
Le telecamere delle reti nazionali portano nelle nostre case, fortunatamente solo sfiorate dalla distruzione, immagini di paesi totalmente rasi al suolo, di persone che non hanno nemmeno la forza di piangere, di soccorsi che arrivano, quando arrivano, tardi e male.
Add’à passà a nuttata.
Sono passati anni, trentacinque, e si chiamano Polesine, Vajont, Firenze, Belice, Friuli, Valnerina, Lucania ed Irpinia.
La nostra situazione, quella dei paesi solamente sfiorati dall’onda sismica, è schizofrenica: siamo in piena emergenza per le scosse di assestamento che si susseguono a breve distanza temporale le une dalle altre; sentiamo, sotto la spinta emozionale delle notizie che ci arrivano, di non poter restare con le mani in mano; in qualche modo dobbiamo aiutare i nostri fratelli irpini e lucani. Ed eccoci qui, noi giovani del paese: ci ritroviamo, senza coordinamento e senza alcun segnale preciso, a raccogliere cibo ed indumenti; alcuni, quelli più grandi, sono partiti per il centro del “cratere”.
Nei primi giorni dalla prima grande scossa, al terremoto si oppone un contro-terremoto fatto di solidarietà. Viene soprattutto dal Nord. Un Nord che, probabilmente, è travolto da uno storico senso di colpa verso il Sud.
Tutte le sensazioni provate in quei giorni, di paura, di angoscia, di solidarietà, di immagini dirette e testimonianze indirette si riassumono nel pianto che troppe volte ha risolto le mie nottate passate all’addiaccio. Un pianto indefinibile che assomma in sé non tanto la paura della morte e l’angoscia di un futuro incerto, quanto la gioia – ebbene sì, proprio la gioia – che finalmente gli esseri umani fanno qualcosa di spontaneo, non dettato dall’interesse egoistico, che finalmente i “terroni” vengono aiutati e non sfruttati dai fratelli del Nord.
Tutto ciò sembra una favola. Una favola nata da una tragedia, quindi una favola assurda. Una favola che non può resistere a lungo. Ed infatti viene il tempo delle incomprensioni e delle polemiche; noi tutti paghiamo il triste tributo che ci siamo procurati da soli: lotta tra i partiti per il potere, crisi di governo, riforme rimaste lettera morta, leggi anacronistiche, ignoranza, ingiustizia, corruzione, confusione, terrorismo, camorra, droga, assenteismo, disoccupazione, scandali.
Troppe volte la solidarietà arriva agli incroci sbagliati e non si incontra con un’intelligenza dei soccorsi. Soldi sviati, pratiche chiuse nei cassetti sbagliati, tir fermi su strade chiuse col loro carico inutile.
Ed allora? È inutile riportare le cifre che la solidarietà europea e del Nord Italia ha convogliato verso il Sud. È noto che nessun paese al mondo ha lesinato aiuti materiali per far fronte alla prima emergenza; come è arcinoto che enti di molti paesi stanno ancora lavorando nei luoghi del “cratere”, che molte amministrazioni del Nord sono ancora in prima linea nella delicata fase della ricostruzione e della ripresa economica dei paesi terremotati: il comune di Firenze sta operando a Sant’Angelo dei Lombardi nel settore dei beni culturali; a Solofra, la provincia di Brescia sta operando per la realizzazione di un migliaio di alloggi nella “167”; a San Michele di Serino stanno ancora operando I volontari della città e della provincia di Cremona; a Montoro Superiore i tecnici della provincia di Varese stanno lavorando per lo sviluppo della cooperazione; e si potrebbe continuare all’infinito.
Ciò che è da sottolineare è lo scontro culturale tra i soccorritori del Nord e dei paesi europei, soprattutto giovani, e le popolazioni locali. Più volte i primi hanno espresso meraviglia per la passività degli irpini, per il loro stare a guardare mentre essi scavano tra le macerie, abbattono mura pericolanti e cercano di ricostruire un minimo di vita civile. Questi giovani sono venuti al Sud conoscendo solo qualche luogo di villeggiatura, credendo che il modo di vita delle genti irpine fosse quello letto o visto in libri e film di successo. Invece si sono trovati davanti ad una realtà ben diversa. Non capiscono come quella gente sia così abbandonata spiritualmente, come e perché si rifiutino di andare nelle case sulla costa. Si aspettavano una terra più aiutabile, più disponibile, meno drammatica, non così complicata dalle contraddizioni e dalle lacerazioni provocate dal cattivo governo di secoli.
Ed allora? Allora, sotto tutti i punti di vista il terremoto del 23 Novembre 1980 deve essere inteso come una forza eversiva, come una grande calamità che deve, però, segnare un’inversione di tendenza: basta con le discussioni sui fenomeni di accaparramento e di piccola speculazione che pure ci sono, inevitabilmente, in una società disgregata. Il fine ultimo, quello vero, deve essere un altro: individuare le linee di una politica di autentico rinnovamento che non riguarda solo il Sud, ma l’intera Italia. Perché ci si dimentica troppo spesso che il Mezzogiorno, così com’è, con le sue contraddizioni ed I suoi vittimismi, non è una parte della lontana Papuasia, ma è figlio di questo Paese, figlio legittimo della madre Italia.
_______________________________________________

Ebbene sì. L’adolescente che ha scritto queste cose ero io. Non me lo ricordavo. Mi era completamente passato di mente. Devo ringraziare mio fratello che, rovistando nelle vecchie carte di famiglia, ha trovato, probabilmente nascosta tra le carte di mio padre, questa vecchia digressione che fu all’epoca un “tema” non mi ricordo più se di terza media o di quarta/quinta ginnasio. Nel rileggere ciò che fu scritto ormai quasi quaranta anni fa, non ho potuto che fare un parallelismo con quanto accade in queste ore a Genova. Mi sono messo nei panni di un giovane genovese e ho pensato che se sostituisco “terremoto” con “crollo”, le sensazioni di rabbia ed impotenza, di angoscia e di sollievo sono esattamente le stesse. A distanza di tempo e nonostante la politica, l’Irpinia, bene o male, si è ripresa. Sono sicuro che Genova sarà in grado di fare di più e meglio.
Auguri a Genova

Per saperne di più: http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2015/11/19/terremoto-in-irpinia-quel-23-novembre-di-35-anni-fa-_ee36c97a-de8f-47ee-86e6-f6547f8ac530.html

Fonte dell’immagine di copertina: https://vivicentro.it/nazionale-24h/cronaca/crollo-ponte-morandi-genova-video-dei-primi-soccorsi-si-temono-decine-vittime/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Share