Il ruolo dell’acqua nelle reazioni foto-catalitiche

Notizie dal mondo scientifico. Il ruolo dell’acqua nelle reazioni foto-catalitiche

Sapete cos’è il biossido di titanio? Non è un materiale che esce da un film di fantascienza, sebbene le sue proprietà lo rendano veramente particolare. Lo si trova un po’ dappertutto, anche nei dentifrici e funziona da sbiancante. Lo trovate anche come eccipiente in alcuni farmaci in compressa.

La sua funzione è veramente notevole perché il biossido di titanio viene utilizzato come catalizzatore per reazioni foto-catalitiche nella chimica verde.

Catalizzatore? chimica verde? fotocatalitico?

La chimica verde è quella branca della chimica che si occupa delle reazioni nelle quali non si fa uso di solventi organici. Questi ultimi, infatti, sono per lo più tossici per l’uomo oltre che dannosi per l’ambiente. Il solvente di elezione nei processi legati alla chimica verde è l’acqua. Questa molecola, infatti, non “distrugge” la biomassa microbica presente nei suoli, nelle acque e nei sedimenti come, invece, fanno i solventi organici. Inoltre, maneggiare acqua, piuttosto che solventi organici, in laboratorio è più “salutare” per gli operatori che non inalano, così, sostanze potenzialmente cancerogene.

Un catalizzatore è un materiale che è in grado di velocizzare una reazione chimica. In altre parole, una reazione che avviene in un tempo lungo – per esempio qualche giorno – può subire una accelerazione in presenza di certi particolari sistemi come il biossido di titanio. Questo è molto conveniente, per esempio, sotto l’aspetto produttivo perché consente alle aziende di produrre nuove molecole o nuovi materiali in tempi non biblici. Ma è conveniente anche sotto l’aspetto ambientale perché il biossido di titanio può essere utilizzato per accelerare la decomposizione di contaminanti organici tossici per l’uomo e dannosi per l’ambiente.

Una reazione foto-catalitica è una reazione la cui velocità viene influenzata dalla interazione tra la luce ed un catalizzatore come il biossido di titanio.

Come funziona il biossido di titanio?

Proprio recentemente, il secondo [1] di due studi [1, 2] sul ruolo dell’acqua nell’attività catalitica del biossido di titanio è apparso sul Journal of Physical Chemistry C (lo so…sono vanesio…entrambi gli studi sono miei).

E’ stato evidenziato che l’acqua legata alla superficie del biossido di titanio forma dei radicali ossidrilici (OH) che sono direttamente coinvolti nei processi catalitici dei contaminanti organici. La velocità con cui la reazione può avvenire dipende dal tempo durante il quale l’acqua resta a contatto con la superficie del biossido di titanio. In pratica, l’acqua e la molecola che deve essere degradata competono tra loro per raggiungere la superficie del biossido di titanio. Una volta che l’acqua è arrivata si possono realizzare due condizioni: l’affinità tra il biossido di titanio e l’acqua è alta; l’affinità tra biossido di titanio e acqua è bassa. Nel primo caso, l’acqua resta più tempo attaccata al biossido di titanio ed ha una maggiore opportunità di produrre i radicali che, poi, serviranno per decomporre il contaminante organico. Nel secondo caso, invece, l’acqua non ha il tempo materiale di decomporsi e la velocità con cui il contaminante si decompone è più lenta.

Lo studio appena pubblicato [1] apporta quelle prove sperimentali che fino ad ora mancavano in merito all’ipotesi sulla competizione acqua/substrato per la superficie del biossido di titanio.

Riferimenti
[1] http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acs.jpcc.6b11945
[2] http://pubs.acs.org/doi/10.1021/jp400298m

Su fallacia e omeopatia. Una riflessione ragionevole.

Proviamo a fare una riflessione sul concetto di fallacia e omeopatia.

Quante volte ho dovuto leggere “su di me funziona” da parte dei fautori dell’omeopatia come risposta ai miei ripetuti post sull’argomento omeopatia? I vari interventi si trovano nei riferimenti [1-6]Adesso cerco di spiegare perché questa affermazione non ha alcuna validità e denota solo ignoranza scientifica da parte di chi la sostiene. A tale scopo faccio un esempio banale considerando che ognuno di noi è in grado di rispondere in un determinato modo alla somministrazione di una particolare sostanza o un alimento.

Supponiamo che due persone prese a caso assumano del latte. Si possono verificare le seguenti condizioni:
1. Entrambe le persone vivono senza problemi di sorta la loro vita (ok, ok)
2. Una delle due persone vive normalmente, l’altra ha problemi di meteorismo, dolori di stomaco, gonfiore e tutto quanto si può associare ad una intolleranza all’alimento che gli è stato somministrato (ok, no)
3. Entrambe le persone hanno problemi (no, no)

Se ci limitassimo all’analisi della sola condizione 1. saremmo tentati di dire che il latte è un alimento che fa bene a tutti. In altre parole estenderemmo all’intera popolazione umana quelle che sono le osservazioni fatte su soli due individui. In questo modo non terremmo conto di ciò che accade nella condizione 2., ovvero che la scelta casuale di due persone per condurre un esperimento sulla salubrità del latte potrebbe portare ad una situazione in cui non sappiamo se il latte fa bene oppure no alla salute umana. Infatti uno dei due individui non ha conseguenze, l’altro, invece, mostra intolleranz. Non terremmo conto neanche della condizione 3., per la quale, scelte due persone a caso, entrambe risultano intolleranti.

Per dirimere la questione dobbiamo introdurre una terza persona. Dobbiamo, cioè, scegliere un terzo individuo in modo casuale e osservare l’effetto del latte sul suo organismo. Anche in questa situazione si possono verificare due condizioni:

A. L’individuo non mostra sintomi di intolleranza (ok)
B. L’individuo mostra sintomi di intolleranza (no)

Le condizioni 1., 2. e 3. si possono combinare con le condizioni A. e B. nel seguente modo:
1A, 1B, 2A e 2B, 3A e 3B.

Dalla condizione 1A (cioè ok, ok, ok) potremmo concludere che il latte non dà alcun problema. Dalle situazioni 1B e 2A (ovvero ok, ok, no) potremmo, invece, concludere che il latte fa bene ai 2/3 della popolazione umana. Le situazioni 2B e 3A (corrispondenti a ok, no, no ) ci conducono alla conclusione opposta, ovvero che il latte fa male ai 2/3 della popolazione umana. La condizione 3B (no, no, no) ci porta a concludere che l’intera popolazione umana è intollerante al latte.

In definitiva, prendendo prima due e poi tre individui a caso, non abbiamo risposto alla domanda: qual è l’effetto del latte sulla salute umana? Il latte offre vantaggi o svantaggi? In effetti, il numero limitato di casi presi in considerazione non ci permette di dare una risposta definitiva al nostro problema.

Cosa fare allora? Bisogna estendere l’indagine ad un numero statisticamente significativo di individui umani, differenziandoli per età, sesso, origine etnica e condizioni di salute.

Per “numero statisticamente significativo” si intende un numero di individui che sia, nel suo insieme, rappresentativo della totalità degli individui di una popolazione. Alla luce dei risultati osservati si può fare una statistica e dire che su tanti individui , indichiamoli con 100, un certo numero, indichiamolo Z con Z<100, è tollerante al latte, mentre un numero pari a 100-Z è intollerante. All’interno del campione Z ci può essere un numero, M, di maschi ed un numero, F, di femmine (M+F=Z) ed all’interno delle singole popolazioni ci può essere un certo numero di Italiani, Svizzeri, Danesi e così via di seguito. Lo stesso si applica al numero di individui pari a 100-Z.

Grazie a questa impostazione sperimentale, la variabilità comportamentale dei singoli individui viene inglobata in una casistica che consente di dire che in media il latte fa bene, ma che un certo numero di persone possono mostrare delle intolleranze che si possono spiegare – in uno stadio successivo dell’indagine – alla luce dell’attività pastorizia che ha luogo in un certo ambiente e della diffusione genetica di certe caratteristiche di tolleranza/intolleranza.

Chi afferma che qualcosa funziona sul suo organismo per cui quel qualcosa, in base alla sua opinione, ha un certo tipo di attività, palesemente dichiara, senza alcuna vergogna -perché dimostra solo che le lezioni avute a scuola sono state del tutto inutili, di non conoscere il metodo scientifico e di come esso si applichi alle indagini sugli esseri viventi. I casi soggettivi non sono utili. Devono sempre essere inglobati in una moltitudine di casi che, tutti insieme, consentono di estrapolare il comportamento medio di fronte alla somministrazione di un preparato, un farmaco o un alimento che sia.

Tutto quanto detto, comunque, non è sufficiente alle conclusioni di cui ho discusso. Infatti, è possibile che tra gli individui scelti a caso ci siano degli ipocondriaci a cui il latte non dà fastidio ma che, per partito preso, perché non gli piace o quant’altro, affermano che la somministrazione di latte ha portato loro dei problemi. Per ovviare a questa situazione, ovvero per evitare che i risultati dell’indagine siano influenzati dai propri atteggiamenti ipocondriaci, le indagini sulla popolazione di individui statisticamente significativa deve essere condotta in modo tale che a un certo numero di individui venga somministrato latte, ad un altro numero un materiale simile al latte ma che latte non è.

Sia gli individui soggetti all’esperimento che gli sperimentatori non sanno cosa viene somministrato in modo tale da evitare che anche involontariamente le caratteristiche dell’alimento somministrato possano essere rese note. Questo esperimento, che si chiama “in doppio cieco”, assicura che convinzioni soggettive in merito alla somministrazione di latte (o qualunque altra cosa) possano non alterare i risultati dello studio.

Una breve disanima sul metodo scientifico usato nel settore biologico/biochimico/medico la si trova nel riferimento [7], mentre nel riferimento [8] si trova un interessante lavoro sul perché la procedura omeopatica deve essere rigettata anche solo a livello logico-filosofico.

Nel caso particolare dell’omeopatia si è verificato che:
1. gli esperimenti per valutare l’effetto dei preparati omeopatici sono condotti in grandissima parte senza alcun controllo rispetto a placebo e farmaci reali [9, 10]
2. Nei casi in cui il controllo è stato condotto e gli esperimenti fatti in doppio cieco, i preparati omeopatici non sono risultati migliori dei placebo [11-13]
3. Sia negli esperimenti su bambini che in quelli su animali condotti con i crismi del metodo scientifico sommariamente illustrato sopra, i preparati omeopatici hanno dimostrato solo effetto placebo [14]

In definitiva, quando i fautori dell’omeopatia affermano che un certo preparato funziona perché a loro sembra di trarne benefici, bisogna prendere atto che si sta interloquendo con delle persone che hanno problemi di tipo non biochimico e che hanno principalmente bisogno di attenzione; quella attenzione che pagano a caro prezzo affidandosi ad imbonitori che, attraverso parole bonarie e finta empatia, prescrivono preparati inutili sotto l’aspetto farmacologico.

Riferimenti
1. https://www.facebook.com/RinoConte1967/posts/1937902003097993:0
2. https://www.facebook.com/notes/rino-conte/la-memoria-dellacqua-lomeopatia-ed-i-pregiudizi-di-conferma/1919125418308985
3. https://www.facebook.com/RinoConte1967/posts/1915078438713683
4. https://www.facebook.com/RinoConte1967/photos/a.1652785024943027.1073741829.1652784858276377/1909420659279461/?type=3
5. http://www.laputa.it/omeopatia/
6. https://www.facebook.com/RinoConte1967/posts/1798823550339173:0
7. https://www.scienzeascuola.it/lezioni/biologia-generale/il-metodo-scientifico-o-sperimentale
8. http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1365-2753.2010.01384.x/full
9. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1668980/pdf/bmj00112-0022.pdf
10. http://www.dcscience.net/Smith-response.pdf
11. http://www.homeopathonline.net/library/Are%20the%20clinical%20effects%20of%20homoeopathy%20placebo%20effects.pdf
12. http://jamanetwork.com/journals/jamasurgery/fullarticle/211818?wptouch_preview_theme=enabled
13. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11055773
14. http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1751-0813.2007.00174.x/full

 

Contraddizioni culturali e paradossi cognitivi. Naturale / buono = chimico / tossico

Contraddizioni culturali e paradossi cognitivi (Parte I)

Naturale : buono = chimico : tossico

Leggiamola così: naturale sta a buono come chimico sta a cattivo.

È la classica associazione di termini che i seguaci new age di un certo ambientalismo distorto invocano per giustificare scelte personali in merito a pratiche pseudo scientifiche che hanno deciso di utilizzare. La prima che mi viene in mente è quella che si basa sull’omeopatia ritenuta valida perché “su di me funziona” oppure perché “sono trenta anni che mi curo con l’omeopatia e funziona”, oppure ancora “l’omeopatia è naturale e come tale non fa male”.

Questo post non è dedicato all’omeopatia, ma ad evidenziare le dissonanze cognitive di tutti coloro che, come i seguaci dell’omeopatia, denigrano la chimica pur facendone ampiamente uso.

“Il colera è un’infezione diarroica acuta causata dal batterio Vibrio cholerae. La sua trasmissione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati [tra cui acqua] e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione” [1].

1817-2017. Sono 200 anni. In questi duecento anni si sono avute ben sette pandemie di colera. L’ultima in ordine di tempo è iniziata nel 1961 e, dopo 56 anni, non si è ancora estinta. Nel 1973 il colera è arrivato anche a Napoli. Avevo sei anni. Mi ricordo il terrore della vaccinazione. In tutti questi anni il colera ha fatto milioni di vittime. Alcune fonti parlano di ben 40 milioni di morti [1, 2].

Nonostante la durata molto più lunga delle precedenti, la settima pandemia ha provocato molti meno morti delle altre. Questi sono principalmente nei paesi del terzo mondo, ovvero in quelli sottosviluppati. Proprio in questi paesi, infatti, ci sono carenze igienico-sanitarie che consentono la diffusione del vibrione del colera.

Se noi oggi possiamo dire di non dover più temere questa malattia, ormai dichiarata anche endemica, è perché facciamo parte di quella piccola parte del globo in cui vengono applicate le misure di prevenzione sanitaria in grado di debellare certi micro organismi patogeni per l’uomo.

L’acqua che noi usiamo come alimento è uno dei principali vettori per la trasmissione del colera – e non solo. L’acqua, tuttavia, è un prodotto naturale. Essa sgorga libera dalle rocce. Come prodotto naturale non può fare che bene. Ed invece non è così. L’acqua trasportata dagli acquedotti può essere contaminata, durante il suo tragitto verso i centri abitati, per ogni ordine di causa. Per esempio, se non vengono rispettati i limiti entro cui gli animali possono stazionare nei pressi dei pozzi di approvvigionamento idrico, si può verificare contaminazione fecale e la trasmissione di patologie come il colera. Per assicurare la potabilità delle acque, la chimica, che NON è sinonimo di tossico, ci viene in aiuto. Sapete come? Attraverso l’uso di un’arma di distruzione di massa. Sí, avete letto bene. Si utilizza un gas che durante la prima guerra mondiale è diventato tristemente famoso per il numero di morti e di invalidi permanenti che ha provocato: il cloro.

Il cloro è una molecola biatomica che si trova nella fase gassosa. Ha un colore giallo-verde dal caratteristico odore pungente. È in grado di provocare lesioni permanenti nei tessuti umani e se l’avvelenamento da cloro non è curato in tempo, provoca la morte. La sua azione si deve al fatto che interagisce con molti dei metaboliti che sono presenti nelle nostre cellule, modificandone la struttura e, di conseguenza, la funzionalità biochimica. Quando viene inserito in acqua reagisce dismutandosi (ovvero si trasforma) portando alla formazione di acido ipocloroso. Questo si dissocia in ipoclorito che a sua volta si decompone a cloruro ed ossigeno molecolare. L’ossigeno è un forte ossidante ed è quello che è in grado di distruggere le cellule dei batteri che possono contaminare l’acqua che arriva nelle nostre case [3]. Il problema del cloro gassoso è che è poco maneggevole. Il suo stoccaggio è reso difficile dalla sua corrosività. Per questo motivo oggi la sanificazione delle acque destinate al consumo umano viene effettuata utilizzando i sali solubili, e facilmente maneggiabili, dell’acido ipocloroso. Uno di questi è l’ipoclorito di sodio più noto come varechina. Sì, quella che trovate comunemente al supermercato.

Morale della favola. L’acqua prodotto naturale, quindi in principio ritenuta buona, non è, in realtà, così buona essendo vettore per patologie mortali se non sanificata. Il cloro, arma di distruzione di massa, quindi, “cattivo” per definizione, in realtà è buono perché ci aiuta a sanificare un prodotto naturale che poi tanto buono non è.

La chimica vi sembra ancora così cattiva?

Riferimenti
[1] http://www.epicentro.iss.it/problemi/colera/colera.asp
[2] http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs107/en/
[3] http://www.chimicamo.org/…/clorazione-dellacquareazioni-chi…

Scienza patologica. Un altro caso di scorrettezza scientifica

Parliamo di cattiva scienza attraverso un ennesimo caso di frode scientifica.
Il mondo scientifico è molto attraente perché consente una enorme libertà di pensiero. Chiunque abbia voglia e sia sufficientemente curioso può lavorare per rispondere alle proprie domande su ciò che ci circonda [1, 2].
La Scienza – non a caso con la maiuscola – sfrutta poche e semplici regole che vengono identificate sotto il nome di “metodo scientifico” (Figura 1). La forza del metodo è legata al fatto che tutti, ma proprio tutti, possono accedere ai dati sperimentali e confutare o migliorare le ipotesi/teorie che vengono formulate. E’ accaduto con Galileo Galilei, con Newton, con Lavoisier fino ad arrivare ad Einstein, Schoeredinger, Heisenberg, Natta, Rubbia, Gallo etc. etc. etc.

Figura 1. Illustrazione semplificata del metodo scientifico (Fonte)
Nel villaggio globale in cui ci troviamo a vivere ed in cui l’aspirazione predominante sembra essere l’ottenimento del massimo profitto col minimo sforzo, anche la scienza – questa volta con la minuscola – risente di una mentalità commerciale in base alla quale trae beneficio – in termini di “potere” accademico e, quindi, di indirizzo della ricerca presente e futura oltre che della vita e della morte scientifica di tante persone – non chi, in generale, si occupa di far progredire le conoscenze umane con puro spirito di avventura, ma chi riesce a dimostrare in tempi brevi che quanto studia ha applicabilità immediata. In linea di principio, non ci sarebbe nulla di male: si fa ricerca, si pubblica, si riceve gratificazione dal fatto che il proprio lavoro riceve citazioni. Ricevere gratificazioni in tempi brevi non è male considerando quelli che secondo me sono i motivi che spingono ognuno di noi a impelagarci nella ricerca scientifica [2]. Anche se si viene citati perché sono state prese “cantonate” va bene, sebbene non faccia molto bene al proprio ego. Anche le “cantonate” servono per il progresso delle conoscenze [3].
Il corto circuito si ottiene quando l’aspirazione al “potere” fine a se stesso – tipico dei mediocri – conduce i ricercatori ad escamotage non per migliorare la qualità del proprio lavoro, ma per ottenere vantaggi attraverso inganni e sotterfugi, ovvero raggirando quelle che sono le regole basilari di fiducia e cooperazione alla base del metodo scientifico.
Ci sono vari modi in cui i mediocri tentano di aggirare le regole del metodo scientifico. Ne ho descritti alcuni nei riferimenti [4-6]. E’ di queste ore, tuttavia, la notizia di un altro tipo di scorrettezza che è stato indicato come “cartello delle citazioni” (Figura 2) [7].
Figura 2. La cattiva condotta scientifica che ha dato luogo ad un “cartello delle citazioni” denunciato dalla European Geoscience Union (Fonte dell’immagine è il rif. [7])
Come funziona questo “cartello” di cattiva scienza?
Faccio un esempio molto semplice. Conduco una ricerca; ottengo quelli che per me sono risultati innovativi che ritengo degni di essere comunicati alla comunità scientifica di cui faccio parte; scrivo un rapporto in cui descrivo i motivi che mi hanno spinto a studiare ciò che mi accingo a comunicare; riporto il modo con cui ho cercato di rispondere alla mia domanda; traggo le mie conclusioni; invio il mio studio ad una rivista che ritengo più adatta a ricevere la mia comunicazione. A questo punto aspetto comunicazione dall’editor-in-chief della rivista in merito a 1. corretta ricezione dello studio, 2. valutazione del mio lavoro da parte di revisori anonimi che hanno il compito di valutare la congruenza dei dati sperimentali con le ipotesi e le conclusioni che ho descritto, 3. decisione definitiva dell’editor-in-chief con possibilità di pubblicazione dello studio “as it is” (ovvero senza alcuna modifica), “with minor revisions” (ovvero con qualche piccola modifica formale, ma non sostanziale), “with major revisions” (ovvero con modifiche sostanziali perché i revisori anonimi hanno riscontrato delle incongruenze).
FINO AD ORA TUTTO PERFETTO. DOVE È L’INGHIPPO CREATO DA QUESTO ENNESIMO EPISODIO DI CATTIVA SCIENZA?
Uno dei parametri che fanno l’eccellenza di una rivista è il numero di lavori pubblicati sulla stessa e che sono in grado di avere un forte impatto sulla comunità scientifica di riferimento. Questo parametro è quello che viene conosciuto come “impact factor” (IF). Più alto è il valore dell’IF, più elevato è il prestigio scientifico di una certa rivista. L’impact factor della rivista cresce nel tempo abbastanza lentamente. E’ raro che possa “saltare” da un valore basso ad uno elevatissimo. E’ capitato, ma si tratta di casi eccezionali come quello di riviste in cui vengono pubblicati per la prima volta lavori rivoluzionari che lasciano traccia e raggiungono le migliaia di citazioni in pochissimo tempo (Figura 3).

Figura 3. Variazione dell’impact factor di due riviste scientifiche. Si tratta di Nature (in blu) e PlosOne (in arancione). Il valore dell’impact factor è influenzato da pochi lavori molto citati in tempi relativamente brevi. (Fonte)

La Figura 4 mostra la crescita dell’impact factor di una rivista (Land Degradation and Developments) dal 1997 al 2015. I valori dell’IF oscillano di poco e mediamente crescono di poche unità (0.2-0.5 e simili) fino al 2013. Dal 2013 al 2014 c’è un incremento di 1.03, mentre dal 2014 al 2015 l’incremento è di 5.1. E’ possibile che tra il 2012 ed il 2014 (l’IF si calcola sul numero di citazioni dei tre anni precedenti a quello preso in considerazione) sia stato pubblicato un lavoro (o pochi lavori) di carattere eccezionale che ha ricevuto tantissime citazioni. In altre parole, è possibile che uno o più studi pubblicati sulla rivista siano stati così innovativi da aver avuto un fortissimo impatto sulla comunità scientifica di Soil Science che fa capo a tale rivista.
Figura 4. Variazione dell’impact factor di Land Degradation and Developments dal 1997 al 2015 (Fonte dell’immagine è il rif. [8])
A seguito di una denuncia anonima di questo episodio di cattiva scienza in cui un tale “Akhenaten McDonald” (Figura 2) riporta di scorrette pratiche scientifiche, la EGU, la società scientifica a cui fa capo la rivista LDD incriminata, ha effettuato una indagine i cui risultati si possono leggere nei riferimenti [7] e [8]. E’ emerso che l’editor in chief di LDD (ora rimosso per violazione del codice etico) nei tre anni (2013-2016) in cui è stato in carica ha imposto agli autori dei lavori inviati all’attenzione delle riviste di cui egli era in qualche modo responsabile, la citazione di un totale di ben 622 lavori. Questi suggerimenti hanno contribuito non solo all’incremento dell’IF osservato in Figura 4 per l’anno 2015, ma quasi certamente anche all’incremento del suo personale h-index. Quest’ultimo è un parametro personale che quantifica l’impatto del singolo ricercatore sulla sua comunità scientifica di riferimento; è simile all’IF, ma si riferisce alle persone, non alle riviste.
Non ho bisogno di tradurre quanto ricopio dal riferimento [8]:
“The main tool of this “citation cartel” is the “coercive citation”: these editors (sometimes even acting as reviewers) are systematically requesting to authors the addition of some references in their manuscripts. This “recommendation” is targeted to selected journals and selected papers, irrespective of its usefulness”.
CONCLUSIONI
E’ questo atteggiamento furbesco sintomo di cattiva scienza e che elude il rapporto di fiducia tra scienziati e, di conseguenza, tra scienziati e pubblico che innesca quella sfiducia nella scienza di cui, purtroppo, è pregno il web.
Gli individui che si comportano in questo modo NON sono miei colleghi; non sono colleghi di nessuno degli scienziati (per fortuna, sono la maggioranza) che cercano di fare il proprio lavoro con passione ed abnegazione.
AGGIORNAMENTO (10 marzo 2017):
https://www.journals.elsevier.com/geoderma/news/from-the-editors-letter-to-the-geoderma-community
Riferimenti:
  1. https://www.facebook.com/notes/rino…
  2. https://www.facebook.com/RinoConte1…
  3. T. Kuhn, la struttura delle rivoluzioni scientifiche, Piccola biblioteca Einaudi ed. 2009
  4. https://www.facebook.com/RinoConte1…
  5. https://www.facebook.com/RinoConte1…
  6. https://www.facebook.com/RinoConte1…
  7. https://static2.egu.eu/media/filer_…
  8. https://www.scribd.com/document/339…#
Fonte dell’immagine di copertina: https://oggiscienza.it/tag/scienza-…
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