Agricoltura biodinamica sì, agricoltura biodinamica no

Oggi è Natale e sono felice di poter fare gli auguri di buone feste a tutti i miei lettori. La divulgazione, però, non si ferma. Da quando ho pubblicato i miei articoli sul biologico e la biodinamica (li potete leggere qui, qui, qui e qui) e, assieme ad Enrico Bucci, le 7 domande ai firmatari della lettera sulla libertà della scienza (qui) a cui non abbiamo mai ricevuto risposta, ho ricevuto tutta una serie di attacchi ad personam che cercavano di screditare la mia serietà scientifica invece di entrare direttamente nel merito delle questioni che ponevo. Ne volete qualche esempio?

Un certo Gary Ricupero (nome falso, ovviamente, come falso è l’indirizzo e-mail, da cui manda il messaggio, che si rifà al noto attore Gary Cooper) scrive in risposta al post in cui invito a leggere la lettera della Professoressa Cattaneo in merito all’agricoltura biologica le seguenti parole:

>Intanto mi mangio una bella insalata biodinamica e mi prendo un bel farmaco omeopatico contro l’influenza come faccio con successo da 20 anni, alla faccia di Conte<

Un tale che si firma chepalle (anche lui scrive da un indirizzo e-mail falso) scrive in risposta alle 7 domande:

>“…mi sembra, quindi, fuor di dubbio che per poter essere certificati occorre usare pratiche magiche.. “, che coglionate che spara. Perché invece non si occupa di provette e di chimica anziché invadere campi che non le competono e che non può comprendere? Perché non se ne resta a cuccia un po’?<

Come vi dicevo questi sono solo alcuni esempi di persone che io catalogo tra le frotte di imbecilli di echiana memoria e che evidentemente non devono vivere molto bene se sentono la necessità di nascondersi dietro nomi falsi per scrivere idiozie (e forse neanche sanno che quando scrivono nel blog appare l’indirizzo IP del computer che usano, per cui sarebbe anche facile raggiungere le loro vere identità se uno ne avesse voglia e tempo).

Uno che sente il bisogno di scrivere che continuerà a mangiare prodotti da agricoltura biodinamica e ad usare rimedi omeopatici come se a me importasse qualcosa, deve essere veramente un idiota. Uno che dice ad un docente di chimica agraria che l’agricoltura biodinamica non gli compete, deve essere uno che, se è laureato, deve aver seguito un percorso didattico in cui non ci deve essere stato molto spazio per la razionalità.

Come ho sempre detto, il mio scopo col blog e la pagina Facebook non è quello di convincere nessuno. Ognuno è libero di fare tutte le scelte alimentari che vuole. Quello che mi importa, invece, è che queste scelte vengano fatte consapevolmente non sulla base di pseudo-scienza.

La biodinamica secondo l’Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie

Perché sto scrivendo questo post? Certamente non per informarvi sui retroscena di quanto scrivo ma per farvi conoscere il documento ufficiale in merito all’agricoltura biologica stilato dalla Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie (AISSA), l’unica associazione scientifica di area agraria accreditata presso il Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR). Si tratta di una associazione che riunisce tutte le società che a diverso titolo si occupano di agraria, incluse la Società Italiana di Chimica Agraria (SICA) di cui sono membro e la Società Italiana di Scienze del Suolo (SISS) di cui, dal primo Gennaio 2019, sarò componente della IV Divisione “Ruolo Ambientale e Sociale del Suolo”.

Il documento a cui faccio riferimento lo potete trovare a questo link oppure cliccando sulla figura qui sotto.

Scrive l’AISSA:

>La comunità scientifica nazionale che si occupa di agricoltura, attraverso l’Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie (AISSA), ritiene che per favorire la conoscenza di un’agricoltura di qualità, per la tutela del territorio, il rispetto dell’ambiente e per un consumo consapevole sia necessario fare chiarezza su questi temi, per contribuire ad una corretta divulgazione scientifica e per far progredire le conoscenze, affinché l’intera società civile ne tragga giovamento, recuperando un po’ di quella consapevolezza del valore della terra e del settore primario andata perduta negli ultimi decenni. Il nostro dovere civico di agire per una corretta divulgazione scientifica e per il trasferimento tecnologico impone anche una precisazione relativa alla distinzione tra tecniche agronomiche basate su risultati sperimentali o su deduzioni di principi scientifici, che fanno parte del patrimonio dei produttori biologici e le pratiche esoteriche che caratterizzano il metodo produttivobiodinamico”. Queste ultime, sebbene suggestive, non hanno trovato ad oggi fondamento scientifico.<

Ho volutamente evidenziato in grassetto e sottolineato l’ultima parte del paragrafo. L’agricoltura biodinamica si basa su pratiche “magiche” che non hanno alcun fondamento scientifico.

Badate bene, sebbene io ne abbia scritto in passato e continuerò a riportarlo, quanto indicato nel documento di cui ho messo il link è stato scritto dall’Associazione delle Società che si occupano di Agraria. Questo significa che la comunità scientifica che si occupa a qualsiasi titolo di agraria è unanime. Non ci sono divisioni o controversie. Quando i biodinamici insistono nel dire che anche la comunità scientifica è divisa in merito alla pratica biodinamica, stanno affermando il falso e la prova è proprio nel documento che avete appena letto. Certo, ci può essere qualche pseudo-scienziato nella comunità di coloro che si occupano di agraria, ma – appunto – si tratta di qualche poveraccio che probabilmente vuole avere visibilità.

Aspetto ora che le frotte di imbecilli scrivano che i componenti della AISSA debbano dedicarsi a campi di cui sono competenti. Sono sicuro che qualche imbecille affetto dalla sindrome di Dunning-Kruger lo possa veramente pensare e verosimilmente scrivere da qualche parte.

L’AISSA e l’agricoltura biologica

Nello stesso documento l’Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie evidenzia tutti i limiti dell’agricoltura biologica: 1. minore produttività che implica prezzi più alti e uso di una maggiore quantità di suolo per produrre lo stesso ammontare di alimenti (la riduzione della produttività agricola comporterebbe di concerto maggiori importazioni con impatto notevole sull’economia nazionale); 2. “biologico” non è sinonimo di sostenibilità dal momento che, per esempio, si può verificare un accumulo pericoloso di metalli tossici, come il rame, nei suoli sottoposti a certe particolari coltivazioni come i vigneti; 3. le pratiche biologiche possono essere utili in alcuni settori, ma non in altri come, per esempio, la coltivazione dei cereali che sono prodotti che, se non adeguatamente protetti da attacchi di funghi e batteri, sono assolutamente inutilizzabili per l’alimentazione umana a causa della presenza di micotossine.
In altre parole, l’AISSA auspica una maggiore attenzione per la ricerca scientifica che deve aiutare a superare i problemi anzidetti. In particolare,

>anche l’agricoltura biologica dovrà […] utilizzare al meglio le potenzialità che il miglioramento genetico sta offrendo, senza rifiuti preconcetti, e impiegare genotipi di varietà vegetali e razze animali più produttivi, rustici, resistenti e resilienti.<

Fate attenzione a quanto evidenziato in grassetto e sottolineato: l’AISSA non è contro gli OGM in agricoltura e non esiste alcuna controversia nel mondo scientifico in merito alla pericolosità degli OGM. Del resto che i lavori che descrivono la pericolosità degli OGM siano opinabili lo ha già evidenziato Enrico Bucci in uno dei suoi post (qui).

Conclusioni

Cosa aggiungere? Niente oltre che la coesistenza di attività agricole differenti sia possibile ed auspicabile dopo aver valutato opportunamente il rapporto costi/benefici di ognuna di esse. In altre parole, non si può pensare al biologico come alla panacea di ogni male, ma bisogna applicare attività integrate che, in qualche modo, mettano insieme tutti i vantaggi delle varie pratiche agricole (che è quanto auspicato anche dai firmatari della lettera al Parlamento italiano di cui ho parlato qui).

Fonte dell’immagine di copertina (qui)

Il futuro dell’agricoltura non è nel bio

 

Per una volta uso il mio blog per dar voce ad un documento che un certo numero di imprenditori agricoli e colleghi accademici, alcuni dei quali conosco personalmente, ha sottoposto all’attenzione dei nostri rappresentanti nel Parlamento della Repubblica. Si tratta di un documento che evidenzia tutti i limiti della cosiddetta agricoltura biologica, in cui ricade anche quella pratica esoterica che viene indicata come agricoltura biodinamica di cui ho parlato anche qui nelle famose sette domande ai firmatari della lettera aperta sulla libertà della scienza, alle quali Enrico Bucci ed io attendiamo ancora risposta.

Di agricoltura biologica, nel mio piccolo, ho discusso anche io in due documenti (qui e qui), uno dei quali era la lettera della Professoressa Cattaneo in risposta alle farneticazioni scritte da Michele Serra, noto giornalista italiano.

Nel documento inviato ai parlamentari, i firmatari (a cui mi sono appena aggiunto anche io) evidenziano come la migliore pratica agricola sia quella ottenuta dall’integrazione di tutte le migliori tecnologie al momento disponibili. Non voglio fare lo spoiler di questo documento che invito a leggere e firmare qui o cliccando sulla figura sottostante.

 

Lettera dalla Professoressa e Senatrice Elena Cattaneo

Quando scrivo nel blog cerco di fare chiarezza su argomenti di cui penso di capire qualcosa. Non mi aspetto di avere successo. In genere non so a quante persone arrivi il mio messaggio e se esso sia più o meno chiaro. Ho il polso della situazione solo se c’è un contatto diretto attraverso lo scambio di messaggi che sostituiscono l’interazione faccia a faccia che normalmente ho con gli studenti nella mia attività didattica. Molte volte mi scrivono persone che sono più esperte di me in un dato argomento e mi correggono. A queste persone sono molto grato perché non faccio altro che imparare cose nuove, esattamente come imparo, anno dopo anno, in che modo insegnare le mie materie dal confronto diretto con gli studenti.

Non mi sarei mai aspettato che il breve articolo in cui ho confutato alcune sciocchezze scritte dal Sig. Serra, giornalista votato alla difesa dell’agricoltura biologica e biodinamica ma senza avere basi scientifiche, sarebbe stato letto addirittura dalla Professoressa e Senatrice della Repubblica Elena Cattaneo.

Questa l’immagine della lettera arrivatami dal Senato della Repubblica

La risposta molto articolata della Professoressa Cattaneo è una lezione utilissima per comprendere in che cosa consista il lavoro di uno scienziato.

Uno scienziato non dice cose a caso inseguendo la pancia delle persone come fa il giornalista Serra.

Uno scienziato serio prima di scrivere/parlare studia e si documenta. Ogni sua affermazione è seguita da uno o più riferimenti così da fare in modo che il lettore possa rifarsi alle fonti originali e verificare per proprio conto le argomentazioni di chi scrive.

Serra, approfittando della sua posizione dominante in seno al giornalismo italiano, si permette di scrivere in modo superficiale tutto quello che gli passa per la testa usando affermazioni generaliste e parole prese dalla comunicazione scientifica da cui sottrae ogni possibile significato.

Come riportavo nel mio articolo (qui), non ci vuole molto a scrivere sciocchezze in poche righe. Ci vuole molto lavoro, dedizione e fatica per confutare le sciocchezze scritte da chi intende essere il “masaniello” della pancia dell’opinione pubblica.

La risposta della Professoressa Cattaneo alle argomentazioni di Serra è la prova di quali siano i sacrifici  che uno scienziato deve affrontare quando una persona  senza  alcuna autorevolezza  scientifica afferma delle corbellerie.

Al link qui (o anche cliccando sull’immagine sotto) le argomentazioni dettagliate della Professoressa Cattaneo al giornalista Serra.

Invito tutti a leggerle e diffonderle.

Fonte dell’immagine di copertina: archivio personale

 

L’agricoltura secondo Michele Serra

 

Nei giorni scorsi Michele Serra, noto giornalista ed autore della rubrica “L’amaca” su La Repubblica ha dato (nuovamente, perché già nel 2016 aveva pubblicato in merito come si vede dalla Figura 1) il meglio di sé in difesa di tutte le forme di agricoltura biologica, inclusa la biodinamica, rispondendo alle argomentazioni, molto razionali, della Professoressa, nonché Senatrice della Repubblica, Elena Cattaneo. Qui un link che riporta l’intera storia e qui un altro link da cui, secondo me, è più facile capire la questione.

Figura 1. Screenshot dalla pagina pubblica L’amaca di Michele Serra

Il giornalista Serra, che non mi pare un esperto del settore agricolo né uno che possa vantare una qualche esperienza in un qualche settore scientifico come appare da una sua biografia on-line (qui), accusa la professoressa Cattaneo di posizioni ideologiche quando parla del ruolo dell’agricoltura biologica nella sostenibilità ambientale usando dei termini che a me non paiono non ideologici.

Riprendiamo una frase che Serra ha scritto e che mi ha colpito particolarmente:

L’impoverimento dei suoli dovuto alle monocolture è conclamato, e la perdita di biodiversità irrimediabile: se per migliaia di ettari hai solo soia, magari per produrre biocarburanti, quella fetta di terra è morta a ogni altra specie

Le monocolture

Ecco, non capisco. Serra parla di monoculture per migliaia di ettari. Apriamo il dizionario e leggiamo il significato di monocoltura (qui):

monocoltura Tipo particolare di sfruttamento del suolo agrario, che consiste nel coltivare il terreno con una sola specie o varietà di piante per più anni.

Bene. Ora mi chiedo: i produttori di vino biologico o quelli di olio extravergine di oliva biologico (solo per citarne alcuni) – lasciando perdere la biodinamica  fino a che i firmatari della lettera aperta sulla libertà della scienza non risponderanno alle 7 facili domande che Enrico Bucci ed io abbiamo fatto altrove (qui sotto il link alle 7 domande) – quando producono vino e olio non fanno forse uso di monocolture?

7 domande ai firmatari della “Lettera aperta sulla libertà della scienza”

Se ci atteniamo al dizionario, leggiamo ancora (qui):

In linea di massima la m. non comporta i vantaggi, colturali ed economici, che si hanno invece con l’avvicendamento delle colture; maggiore sarebbe il danno, inoltre, che deriverebbe nel caso di calamità naturali e di crisi del mercato

Con quanto scrive, Serra forse vuole dire che gli olivicoltori ed i viticoltori che applicano il biologico praticano la rotazione colturale espiantando olivi secolari o vitigni pluriennali per far posto a colture diverse che non danno la stessa resa in termini economici? Non mi pare che gli olivicoltori siano molto propensi ad espiantare i propri olivi, come il caso della Xylella in Puglia ci insegna (qui).

Ed allora mi chiedo: di cosa parla Serra? Cosa intende quando usa la parola “monocoltura” privandola del suo significato?

Le monocolture per la produzione non alimentare

Continuando la lettura del dizionario si apprende che (qui):

A livello macroeconomico, sono caratterizzati da condizioni di m. quei paesi che presentano un’economia prevalentemente basata sull’apporto di uno o due prodotti agricoli. Tali caratteristiche individuano tipicamente le economie dislocate in Asia, Africa e America Latina in cui prevale una situazione di sottosviluppo. Nel determinarle hanno certo influito fattori climatici e ambientali particolari, ma va soprattutto evidenziato il ruolo di fattori di ordine storico che hanno reso l’economia dei paesi considerati del tutto dipendente da interessi estranei a quelli interni ai paesi stessi. I governi coloniali, infatti, hanno imposto a tali paesi, in forme dirette o indirette, specializzazioni produttive che, sulla base delle condizioni naturali in essi esistenti, ponessero le loro economie in condizioni di ‘complementarità’ rispetto a quelle dei paesi dominanti.

Ora…non sono un economista, ma mi sembra di capire, da quanto leggo, che l’uso di monocolture sia una pratica tipica dei paesi sottosviluppati che sono stati (o sono) soggetti al colonialismo, ovvero alla dipendenza politica e/o economica da altri paesi. Serra parla di migliaia di ettari di suolo destinati alla produzione di biocarburanti attraverso la coltivazione, per esempio, della soia. Forse l’Italia è da catalogare tra i paesi sottosviluppati? Forse in Italia esistono queste coltivazioni non destinate alla produzione alimentare e che si estendono per migliaia di ettari? Aggiungo anche che Serra, molto probabilmente, non è molto bene informato su quale sia il tipo di biomassa che oggi viene usata per la produzione di biocarburanti. A questo punto do un po’ di riferimenti scientifici (cosa che Serra si guarda sempre bene dal fare, fornendo sempre e solo argomentazioni generaliste del tipo “la scienza dimostra che…”):

Conte et al. J. Agric. Food Chem (2009) 57, 8748–8752

Butera et al. Cellulose (2011)  18: 1499–1507

(questi due lavori servono solo per evidenziare che anche io mi sono occupato anni fa dello sviluppo di una tecnologia per la produzione di biocarburanti prima di passare ad altro, per cui so di cosa sto parlando)

Zhu et al. Appl Microbiol Biotechnol (2010) 87: 847. 

Chandell et al. J Chem Technol Biotechnol (2012) 87: 11–20

Raheem et al. Renewable and Sustainable Energy Reviews (2015) 49: 990–999

Questi sono solo pochi dei tanti lavori scientifici che evidenziano come, sotto l’aspetto tecnico, le biomasse per la produzione di biocarburanti siano ben diverse dalla soia di cui parla Serra. Oggi l’Italia è all’avanguardia per la ricerca e la produzione di biocarburanti di terza generazione senza parlare delle ricerche più innovative che si focalizzano sulla produzione di biocarburanti di quarta generazione (ovvero quelli per la cui produzione non si sfruttano risorse agricole destinate alla produzione alimentare). Ne volete qualche esempio?

Qui trovate un link ad un progetto sulle microalghe sponsorizzato dal Ministero dell’Ambiente; qui il sito dell’ENI che informa come “entro il 2021 la bioraffineria Eni di Venezia sarà in grado di lavorare fino a 560.000 tonnellate di materie prime all’anno, utilizzando in misura crescente oli da cucina usati, oli vegetali e grassi animali. Entro il 2018 sarà completata anche la seconda bioraffineria Eni di Gela, in Sicilia, con un incremento della capacità produttiva di 750.000 tonnellate/anno”; qui un rapporto dell’ENEA in merito all’efficienza dei biocarburanti da microalghe; e, solo per completezza, qui è il link a uno dei più importanti gruppi industriali italiani (il Mossi Ghisolfi group) che da sempre si è occupato della produzione di sistemi bio-sostenibili tra cui il bio-etanolo ed il bio-diesel.

Ed allora ripeto la domanda: di cosa parla Serra quando usa il termine “monocoltura” privandolo del suo significato? Cosa intende dire quando blatera di migliaia di ettari di suolo destinati alla coltivazione non alimentare? In Europa, e quindi anche in Italia, sia la ricerca scientifica che la politica comunitaria sono indirizzate verso i biocombustibili di terza ed ancor più di quarta generazione. Non ci sono le immense distese di cui ciancia Serra.

La biodiversità

A questo punto viene anche da chiedere: cosa intende Serra quando parla di “biodiversità”? Di biodiversità ne ho già discusso anche io altrove un po’ di tempo fa:

Gli OGM per le biodiversità

Solo per rimarcare un po’ di informazioni scientifiche, esistono tre tipologie di biodiversità. 1. biodiverrsità genetica: si intende  la varietà dell’informazione genetica contenuta nei diversi individui di una stessa specie; 2. biodiversità tassonomica: si intende la complessa variabilità delle specie che abitano una certa regione. In altre parole, non ci si riferisce solo alla ricchezza di specie di una regione ma anche alle relazioni tra le diverse specie; 3. biodiversità ecosistemica: si intende la variabilità delle specie viventi nei diversi ambienti in cui la vita è presente: la foresta, la barriera corallina, gli ambienti sotterranei, il deserto, le torbiere etc etc. Per esempio, in quest’ultimo caso, si può parlare di biodiversità forestale quando ci si riferisce ad un bosco oppure di biodiversità agricola quando ci si riferisce a campi coltivati per la produzione alimentare (qui un riferimento molto utile).

L’attività agricola (qualunque forma essa assuma, dalla convenzionale alla biologica) implica necessariamente un impatto sulle diverse tipologie di biodiversità. Se il suolo è adibito al sostentamento di uliveti, ci sarà una biodiversità tipica per quel tipo di coltura; se viene coltivato grano, la biodiversità è quella tipica per quella coltivazione; e posso continuare. Tutto questo è indipendente dalla tipologia di pratica agricola utilizzata, sia essa convenzionale che biologica.

Ormai sono diventato monotono con le mie domande, però non posso fare a meno di chiedere: ma cosa intende Serra quando dice che “la perdita di biodiversità [è]  irrimediabile“? Alla luce di quanto detto, la biodiversità non si perde, ma cambia.

Esempi di problemi legati alla perdita di biodiversità

Il problema della perdita di biodiversità di cui parla Serra si riferisce a pratiche particolari che coinvolgono colture particolari, non certo a quanto accade attualmente in Italia. Per esempio, sapevate che le banane come noi le compriamo al mercato sono prodotti OGM? Sì, proprio quegli OGM che tanti ambientalisti ortodossi (a cui magari piacciono le banane perché sono frutta e la frutta è “naturale”) discriminano perché non naturali.  La Figura 2 mostra come è fatta una banana “naturale”. Come vedete, le banane selvatiche sono immangiabili per la quantità di semi che contengono.

Figura 2. La banana naturale contiene un quantitativo enorme di semi ed è immangiabile (Fonte)

In che modo l’uomo ha reso le banane più edibili eliminando la scomodità dei semi? Semplice. Abbiamo fatto delle selezioni e, tra tutte le cultivar, in Europa abbiamo preso in considerazione quella chiamata Cavendish, resistente al Fusarium oxysporum. Quest’ultimo è un fungo che attaccava (ed ha estinto) le piante di banana della cultivar Gros Michel molto comune fino agli anni ’50 del XX secolo. Le banane Gros Michel erano tutte cloni, ovvero erano geneticamente tutte identiche. Non essendo geneticamente biodiverse, le Gros Michel si sono estinte perché l’azione del fungo ha operato nello stesso modo su tutti i cloni.

Anche le banane Cavendish sono cloni. E per di più non sono resistenti al Mycosphaerella fijiensis (un altro fungo). Questo vuol dire che se un banano in una qualsiasi parte del mondo venisse attaccato da questo fungo, si potrebbe innescare un processo di estinzione del tutto irreversibile e bye bye banane (qui un interessante riferimento).

Insomma, vi spaventano gli OGM? Bene. Non mangiate banane, perché esse lo sono.

E volete sapere pure un’altra cosa? I semi sono il modo con cui le piante diffondono il proprio DNA (scopo ultimo di tutti gli esseri viventi); questo vuol dire che senza semi i banani non si possono diffondere perché i frutti sono sterili. I banani sono quanto di più antropizzato ci possa venire in mente. Senza l’apporto antropico essi si estinguerebbero nel giro di una sola generazione.

Mi rivolgo ai più naturalisti tra i miei lettori: siete proprio sicuri di voler continuare a mangiare banane?

Conclusioni

A questo punto sono veramente stanco. Ho dovuto scrivere un vero e proprio lavoro scientifico e fare ricerche bibliografiche per confutare tre righe scritte da un giornalista che ha un conflitto di interessi conclamato e, per questo, si sente in dovere di attaccare chiunque parli male o solo si faccia domande sul biodinamico e sul biologico.

Il calendario di Worpress, la piattaforma che uso per questo blog, mi ricorda che ho cominciato a scrivere la confutazione delle tre righe scritte da Serra il 25 Novembre. Nel momento in cui pubblico questo articolo è il 14 Dicembre. Ci sono voluti diciannove giorni per evidenziare le sciocchezze scritte da Serra in sole tre righe. Diciannove giorni in cui ho dovuto svolgere anche il mio lavoro che non è quello di debunker. Quanto tempo mi occorrerebbe per confutare tutto quanto scritto da Serra? Potete capire che dovrei cambiare attività per tener dietro alle sciocchezze che il primo che passa si mette a scrivere sfruttando la sua notorietà tutt’altro che scientifica.

Come vedete scrivere sciocchezze è facile. Molto meno facile è far capire perché esse sono sciocchezze. Cionondimeno, bisogna continuare a farlo. Non è più ammissibile che si dicano/scrivano certe cose senza alcuna cognizione di causa. Oggi, nel XXI secolo, “nell’era dell’informazione, l’ignoranza è una scelta“.

Fonte dell’immagine di copertina: Archivio personale

Frammenti di Chimica è su Georgofili.info

 

L’Accademia dei Georgofili mi onora di una recensione del mio “Frammenti di Chimica. Come smascherare falsi miti e leggende“. Grazie al Dr. Marcello Pagliai per avermi dato la possibilità di diffondere il mio libro sul sito www.georgofili.info. Qui sotto l’incipit e il link alla recensione.

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UN LIBRO CHE PROVA A SMASCHERARE FALSI MITI E LEGGENDE

Nel villaggio globale in cui ci muoviamo oggi è molto facile che le fake news, cioè le false informazioni, si diffondano con estrema facilità. Chi non ha gli strumenti adatti a riconoscerle può diventare, suo malgrado, il mezzo attraverso il quale esse attecchiscono nella società e generano problemi di ogni tipo. Un esempio è il decesso di un bambino morto per le complicazioni legate ad un’otite curata con rimedi omeopatici, un altro è la riduzione delle coperture vaccinali in atto fino ad un paio di anni fa nel nostro Paese.
Contrastare le false informazioni non è facile. Occorre molta dedizione e lo sforzo combinato di molti professionisti appartenenti a settori differenti. Tra questi, la chimica [continua…]

Fonte dell’immagine di copertinahttps://www.ponteproject.eu/press-review/georgofili-info-un-ponte-contro-la-xylella-fastidiosa/

Italian top Scientists

 

Oggi, parlando con un collega che mi permetto di annoverare tra i miei amici, sono stato informato di essere entrato in una speciale classifica di scienziati che hanno superato l’h-index di 30. Non volevo crederci. Poi sono andato a verificare ed effettivamente appaio nella classifica degli Italian Top Scientists nel settore Natural & Environmental Sciences.

Ed eccomi lì nella tabella in cui compare il mio nome dalla ricerca fatta al link qui sotto:

http://www.topitalianscientists.org/top_italian_scientists.aspx

Come è indicato nel sito, la ‘classifica’ dei Top Italian Scientists (TIS) è un “censimento degli scienziati di maggior impatto, misurato con il valore di h-index, che rappresenta un numero che racchiude sia la produttivita’ che l’impatto della produzione culturale o scientifica di una persona basato sulle citazioni ricevute“.

Inutile dire che sono molto soddisfatto oltre che molto felice di aver raggiunto questo risultato che ho deciso di condividere con tutti i miei lettori di questo blog.

Fonte dell’immagine di copertina

“Frammenti di Chimica” è su “Ristorazione Italiana”

Frammenti di chimica è arrivato alla terza ristampa in tre mesi ed è in testa alle classifiche di vendita della C1Vedizioni per le vendite dei primi tre mesi dalla pubblicazione. Questo risultato è dovuto solo a voi, i miei lettori, che avete avuto fiducia in me ed avete deciso di leggere le cose che ho messo nero su bianco in un libro semi-divulgativo. Devo ringraziare non solo tutti voi, ma anche tutti quanti hanno deciso di farne recensioni e farmi delle interviste per conoscermi più da vicino. Ultima in ordine di tempo, la recensione che Walter Caputo ha scritto su Ristorazione Italiana.

Se avete voglia di leggere il contenuto potete sfogliare la rivista qui sotto ed andare a pagina 38. Iscrivendovi al sito è anche possibile scaricare gratuitamente la rivista e leggerla con comodo sul vostro tablet. Purtroppo, il check che sto facendo tra PC e iPad mi permette di dire che il link non è raggiungibile sull’iPad, ma solo su PC. Non so se esso si apra su Android. Fatemi sapere.

Per quelli che non sono in grado di accedere all’articolo, eccone le immagini:

Fonte dell’immagine di copertina: qui

Scienza e novità – nuove strategie chimiche per l’agricoltura

In questi giorni si leggono tanti soloni discettare di dogmatismo scientifico perché il mondo accademico, almeno una parte consistente di esso, bolla come pseudoscientifiche le elucubrazioni esoteriche di chi cerca di ammantare di scientificità la pratica agricola che va sotto il nome di biodinamica®. Ricordo brevemente che si tratta di una pratica che si basa sulle concezioni filosofiche di Rudolf Steiner, vissuto tra il 1861 ed il 1925, il quale dettò alcune regole per la produzione alimentare che avevano come obiettivo l’equilibrio “spirituale” tra l’uomo e la Terra. Non è questo il momento per evidenziare le sciocchezze di Steiner. Ne ho scritto qualcosa qui e recentemente, assieme ad Enrico Bucci, ne ho parlato anche qui. Voglio, piuttosto, centrare l’attenzione sul fatto che i soliti redivivi Giordano Bruno e Galileo Galilei pensano di essere innovativi e che la scienza ufficiale brutta e cattiva si opponga alle loro novità per motivi economici o di arrivismo carrieristico. Tralasciando queste accuse che qualificano solo chi le fa, è da un po’ di tempo che non racconto di novità in ambito scientifico. Oggi voglio raccontarvi di nuove scoperte che la chimica – sì, proprio quella che produce le tanto vituperate sostanze tossiche (qui, per esempio) – sta facendo per aiutare la produzione agricola.

Chi mi segue sa che qualche volta ho parlato delle grandi scoperte scientifiche. Tra queste bisogna certamente annoverare il processo Haber-Bosch grazie al quale è possibile convertire l’azoto molecolare in ammoniaca.

Vi chiederete: embé?

Da un punto di vista chimico, l’azoto molecolare (N2) è una delle molecole più stabili (ovvero irreattive) che esistano in natura. L’energia di dissociazione della molecola di azoto è di circa 900 kJ mol-1. Ai non chimici questa informazione quantitativa è inutile. Vediamo di trasformarla in qualcosa di più comprensibile.

La reazione del processo Haber-Bosch (che potete trovare descritta qui) è:

N2 + 3H2 = 2NH3

Per ottenere questa conversione attualmente bisogna operare a 500 °C (contro i 600 °C del processo originario) e 150 bar (contro i 300 bar del processo originario). In altre parole, occorre una temperatura particolarmente alta (voi mettereste la mano nel piombo o nel rame fusi? Ecco…neanche io. 500 °C è una temperatura alla quale sia il rame che il piombo sono in fase liquida) ed una pressione altrettanto drastica (150 bar corrispondono approssimativamente alla pressione esercitata dall’acqua quando scendiamo ad una profondità di circa 1500 m).

L’importanza di questa reazione è legata al fatto che l’aria che noi respiriamo è costituita per l’80 % di azoto molecolare che è, quindi, disponibile a basso costo. La conversione Haber-Bosch consente di ottenere ammoniaca dalla quale poter, poi, sintetizzare molecole quali il solfato di ammonio che vengono usate, tra l’altro, per arricchire di azoto disponibile i suoli. Ricordo che l’azoto è un elemento importantissimo non solo per l’uomo, ma anche per le piante – ed in generale per tutti gli esseri viventi. Il motivo è che esso è presente in molecole come DNA e RNA, e nel nostro corredo proteico. Una carenza di azoto porta le piante a condizioni di stress in quanto esse non sono in grado di sintetizzare le predette molecole. Vi renderete conto, quindi, che l’uso di concimi a base di azoto è estremamente importante per conservare la fertilità dei suoli (che è la capacità di un suolo di sostenere la vita) e consentire la produzione alimentare per fornire sostentamento alla popolazione mondiale attualmente ancora in crescita.

Ebbene, fatta questa lunga premessa su un processo chimico oggi molto importante per le sue implicazioni in agricoltura, veniamo alla novità (l’articolo originale è qui. Se non avete possibilità di accesso a JACS, potete leggerne un riassunto qui).

Ricercatori statunitensi si sono messi a studiare in modo sistematico un fenomeno dall’apparente non riproducibilità.

Circa 75 anni fa si osservò che il biossido di titanio (TiO2), un composto inorganico usato come catalizzatore nella chimica verde, come sbiancante nelle vernici e nei dentifrici, nella forma allotropica indicata come rutilo  (Figura 1) riesce a convertire l’azoto molecolare in ammoniaca secondo lo schema riportato più su in condizioni molto blande, ovvero temperatura e pressione ambiente.

Figura 1. Struttura del rutilo (Fonte)

Il fenomeno veniva osservato solo saltuariamente. Tuttavia, nel tempo un certo numero di ricercatori ha condotto studi computazionali dai quali si è evinto che la non ripetibilità della conversione era legata al fatto che centro dell’attenzione nell’ottenimento del biossido di titanio era un prodotto con elevato grado di purezza. Quando tracce di impurezze carboniose erano presenti sulla superficie del catalizzatore, esso funzionava ottimamente a temperatura e pressione ambiente per convertire azoto molecolare in ammoniaca. Nel lavoro su JACS (una delle riviste più autorevoli della American Chemical Society) sono riportate finalmente le prove sperimentali di quanto ottenuto attraverso la computazione.

Qual è la morale di questa storia. I “bufalari” sono usi opporsi alla scienza perché definiscono gli scienziati chiusi nelle loro posizioni dogmatiche. Questi ignoranti ed arroganti neanche si rendono conto che se un fenomeno non viene osservato, non c’è nessun motivo per studiarlo. Quali ipotesi si dovrebbero formulare se il fenomeno semplicemente non esiste? Invece, la conversione di azoto in ammoniaca, sebbene saltuaria, era evidente. Bisognava solo capire quali fossero le condizioni necessarie a rendere ripetibile e riproducibile il fenomeno. Una volta individuate queste condizioni, si è ottenuta la fissazione dell’azoto in modo più conveniente del processo Haber-Bosch. Si tratta ora solo di replicare lo studio in laboratori indipendenti e ingegnerizzate il tutto in modo da produrre fertilizzanti a costo molto più basso dell’attuale.

Altro che le scemenze sulla biodinamica o sulla agro-omeopatia che esistono solo nella testa dei seguaci di queste pseudoscienze.

Fonte dell’immagine di copertinahttp://www.fritegotto.it/News-Due-moli-di-azoto-e-tre-di-idrogeno/

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