Pensieri in libertà su suolo, agricoltura e altre facezie

Mi scuseranno i miei lettori se pubblico un articolo un po’ noioso. Gli argomenti di cui tratto qui sono un riassunto delle ultime paio di lezioni del mio corso di Chimica dei suoli forestali. Approfitto del mio blog come fonte di dispense di studio.

Cosa è un suolo

Il suolo è un sistema complesso che per definizione è la risultante delle interazioni tra idrosfera, litosfera, atmosfera e biosfera. Questa definizione di carattere generale implica che il suolo non è soltanto composto da sistemi inorganici (tra cui i minerali argillosi giocano un ruolo fondamentale), ma anche da una componente aerea (l’aria tellurica), una componente liquida (la cosiddetta soluzione circolante) ed infine una componente organica che comprende anche gli esseri viventi che, morfologicamente parlando, vanno da una scala micro ad una scala macro.

L’impoverimento del suolo

La produzione alimentare e quella dei tessuti si basa proprio sulla complessa interazione tra le componenti anzidette. Questo vuol dire che quando una pianta viene raccolta per produrre cibo o fibre tessili, il suolo si impoverisce sia delle componenti inorganiche che di quelle organiche utilizzate dalla pianta per passare dallo stadio di seme a quello adulto.

Il depauperamento del suolo, per effetto della riduzione del contenuto di componenti inorganiche facilmente disponibili per le piante e del contenuto di sostanza organica,  implica una riduzione della fertilità intesa come capacità di sostenere la vita. La riduzione della fertilità comporta anche la riduzione della produttività agricola con conseguenze negative sia di tipo economico che di tipo alimentare. In altre parole, a parità di superficie coltivata si riduce la quantità di alimenti e fibre tessili disponibile per soddisfare il fabbisogno di una popolazione in costante crescita.

Quando negli anni del boom economico l’industria chimica scoprì che l’uso di sali inorganici facilmente solubili nella soluzione circolante consentiva il miglioramento della produzione agricola, si pensò di aver trovato la panacea di ogni male. In parole povere, si pensò che l’uso massivo di concimazioni inorganiche potesse consentire guadagni progressivamente crescenti sia in termini economici che in termini di produzione alimentare (necessaria a soddisfare la crescente domanda di cibo da parte della popolazione mondiale) su superfici di suolo sempre più piccole.

Fu dimenticato il ruolo fondamentale ricoperto dalla sostanza organica, sensu lato, nel migliorare le qualità del suolo quali pH, tessitura, struttura, porosità e capacità assorbenti tra cui la ben nota capacità di scambio ionico. L’impoverimento del suolo si associava a fenomeni erosivi che sfociavano in quella che oggi è nota come desertificazione (Fonte). La conseguenza di tutto ciò fu la progressiva contaminazione ambientale.

L’agricoltura sostenibile

Quando ci si rese conto del ruolo che tutte le componenti del suolo, nessuna esclusa, avevano nello sviluppo della cosiddetta fertilità, si cominciarono a mettere in atto tutte quelle pratiche che nel 1992, nella conferenza mondiale sull’ambiente tenutasi a Rio de Janeiro, furono codificate con l’aggettivo “sostenibile” (qui la Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo). La sostenibilità agricola consiste, quindi, nella possibilità di usare il suolo per la produzione alimentare e tessile mentre si preservano tutte quelle caratteristiche che sono necessarie alla conservazione della fertilità per le generazioni future.

Attualmente le pratiche agricole sostenibili sono confluite in quella che si chiama agricoltura integrata. Questa tipologia di agricoltura fa largo uso di tutto il sapere scientifico e tecnologico che è in continuo divenire. Per esempio, nella pratica viti-vinicola, e non solo, si fa uso dei droni e delle osservazioni satellitari che consentono interventi mirati, direi di tipo chirurgico, con notevole riduzione dell’impatto ambientale (Fonte).

Lo sviluppo scientifico e tecnologico ha portato anche all’ottenimento di piante resistenti a molte patologie prima estremamente impattanti. Mi riferisco alla tanto demonizzata tecnologia degli organismi geneticamente modificati che consente non solo la riduzione quantitativa degli agrofarmaci potenzialmente tossici per gli esseri viventi, essere umano incluso, ma anche l’ottenimento di cibo arricchito di nutrienti essenziali per la lotta alle conseguenze fisiche della povertà alimentare (mi riferisco, per esempio, al tanto demonizzato Golden rise®). Sugli OGM ho scritto già un articolo qualche tempo fa:

Gli OGM per le biodiversità

Sulla terminologia scientifica e sull’uguaglianza naturale=buono

Da scienziati dobbiamo avere la sensibilità di usare i termini nel modo giusto e secondo le accezioni che vengono date in ambito scientifico. Se per primi noi stessi non facciamo questo esercizio, non possiamo, poi, pretendere che le persone che non hanno la medesima formazione culturale utilizzino le parole per il significato che esse hanno realmente.

Mi riferisco, in modo particolare, alle locuzioni “prodotti chimici”, “concimazione chimica”, “fertilizzanti chimici”, etc. che vengono riproposte ogni qual volta si parla di agricoltura.

L’aggettivo “chimico” è ridondante quando è associato a termini come “prodotti”, “concimazione” e “fertilizzanti”. La predetta ridondanza, che rientra, purtroppo, nel linguaggio comune, dà adito alla dilagante chemofobia secondo la quale tutto ciò che è chimico è “cattivo”, tutto ciò che è naturale è buono. Come ho scritto nel mio libro “Frammenti di Chimica”, l’uguaglianza naturale=buono non tiene conto del fatto che i veleni più devastanti sono proprio di origine naturale. Alcuni esempi sono le piretrine – insetticidi ed antiparassitari – presenti in alcune specie di crisantemi (Fonte),  il curaro – dall’attività neurotossica – fatto da principi attivi prevalentemente di origine vegetale (Fonte),  le bufotossine prodotte da certe specie di rospi (Fonte) e potrei continuare. Le succitate sostanze, però, se usate nelle dosi opportune hanno attività farmacologica consentendo di curare alcune patologie anche mortali per l’essere umano.

Come per l’uguaglianza naturale=buono, il medesimo discorso si applica a quella chimico=cattivo, dove per “chimico”, nell’accezione “popolana”, si intende la chimica di sintesi, quella, cioè, deputata alla sintesi di composti aventi proprietà chimico-fisiche-biologiche di interesse per tutti gli esseri viventi. Alcuni esempi? La nitroglicerina è il composto di sintesi usato per fabbricare la dinamite (Fonte). Si tratta di un potente esplosivo che diede inizio all’industria degli esplosivi usati ancora oggi in tante battaglie e guerre. Ebbene, l’attività esplosiva di questa molecola è dovuta alla presenza di tre gruppi nitro (-NO3) che conferiscono una certa instabilità chimica al prodotto. Quando la molecola è sottoposta a forte agitazione o a variazioni termiche dà luogo a una reazione che può essere descritta dalla seguente equazione:

3C3H5N3O9  → 12CO2 + 6N2 + O2 + 10H2O + ΔH (-1.5 MJ mol-1)

Si sviluppano gas e una quantità enorme di energia termica che sono responsabili della deflagrazione quando la molecola è inserita in un contenitore chiuso.

Quando la nitroglicerina viene assunta per via orale – in concentrazioni farmacologiche, il processo di degradazione segue altre vie dando luogo alla formazione di monossido di azoto (NO) che è un potente vasodilatatore. Si tratta del vasodilatatore che è in grado di rimediare ai dolori dell’angina pectoris (Fonte). Altri esempi di prodotti di sintesi che vengono usati nella comune pratica medica sono l’insulina – prodotta in laboratorio grazie all’azione di microrganismi geneticamente modificati, l’aspirina – che si ottiene per acetilazione dell’acido salicilico, l’ibuprofene – che si può ottenere sia mediante il processo Hoechts che il processo Boot, etc. etc.

Da questi pochi esempi si capisce come non tutto quello che è naturale faccia bene alla salute e non tutto ciò che è prodotto in laboratorio sia nocivo. In definitiva le uguaglianze naturale=buono e chimico=cattivo sono solo delle trovate pubblicitarie per super-semplificare problemi complessi a persone che non sono abituate al ragionamento controintuitivo (io le chiamo “menti semplici”).

Sul consumo dei suoli

Fatta questa osservazione che mi consente di dire di essere in costante disaccordo con chiunque usi in modo ridondante o sbagliato termini che appartengono alla disciplina chimica, bisogna avere dati alla mano per capire come venga praticata l’agricoltura nei diversi territori del nostro Paese e di come il suolo venga sfruttato. I dati ci sono forniti dall’ISPRA (Fonte).

 

Regione Suolo consumato 2020 [%] Suolo consumato 2020 [ettari] Incremento 2019-2020 [consumo di suolo annuale netto in ettari]
Lombardia 12.1 288504 765
Veneto 11.9 217744 682
Campania 10.4 141343 211
Emilia-Romagna 8.9 200404 425
Puglia 8.1 157718 493
Lazio 8.1 139508 431
Friuli-Venezia Giulia 8.0 63267 65
Liguria 7.2 39260 33
Marche 6.9 64887 145
Piemonte 6.7 169393 439
Sicilia 6.5 166920 400
Toscana 6.2 141722 214
Umbria 5.3 44427 48
Calabria 5.0 76116 86
Abruzzo 5.0 53768 247
Molise 3.9 17317 64
Sardegna 3.3 79545 251
Basilicata 3.2 31600 83
Trentino-Alto Adige 3.1 42772 76
Valle d’Aosta 2.1 6993 14
Italia 7.1 2143209 5175

Fonte della tabella

Dalla tabella si evince come le diverse regioni Italiane si comportino diversamente nei confronti della risorsa non rinnovabile “suolo”. Le Regioni meno virtuose nel 2020 sono state Lombardia, Veneto e Campania con un consumo di suolo maggiore del 10%. Questo numero significa che fatta 100 la superficie delle regioni, nel 2020 le tre Regioni hanno perduto più del 10% della loro superficie rispetto all’anno precedente. Perdere una superficie vuol dire che essa viene sottratta alla produzione alimentare e delle fibre tessili per esigenze di tipo insediativo (Fonte).

Sugli effetti del consumo di suolo sull’attività agricola e l’uso dei fitofarmaci

Usando la logica comune ne viene che se una parte della superficie di un Paese viene sottratta alla produzione alimentare, ciò che ne rimane deve subire uno stress maggiore per soddisfare le esigenze nutritive di una popolazione in costante aumento. Come conseguenza, sembrerebbe chiara la veridicità del sentire comune secondo il quale la pratica agricola fa sempre più largo uso di fitofarmaci contribuendo alla progressiva contaminazione ambientale.

Ancora una volta bisogna ribadire che affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie. Le nostre prove vengono sempre dall’ISPRA e, in particolare, dall’ultimo rapporto pubblicato nel 2019 e relativo alla “Distribuzione per uso agricolo dei prodotti fitosanitari (erbicidi, fungicidi, insetticidi, acaricidi e vari)”. In tale rapporto si riporta chiaramente che:

Nel 2016 sono stati immessi in commercio circa 124 mila t di prodotti fitosanitari (p.f.), con una diminuzione dell’ 8,8% rispetto al 2015 (Tabella 1). Di questi il 49,2% è costituito da fungicidi, il 17,6% da insetticidi e acaricidi, il 18,2 % da erbicidi e il 15% dai vari. Per quanto riguarda il contenuto in principi attivi (p.a.) si registra un calo complessivo del 4,8 %, pari a 3.063 t. Il 60,6% del totale di p.a. è costituito dai fungicidi, seguono, nell’ordine, i vari (16,7%), gli erbicidi (12,4%), gli insetticidi e gli acaricidi (9,6%) e i biologici (0,7%). Nel periodo 2006–2016, la distribuzione dei p.f. presenta una contrazione del 16,7% (24.884 t). Cala il quantitativo di tutte le categorie: fungicidi (-19,6%), insetticidi e acaricidi (-19,2%), erbicidi (- 14,7%) e dei vari (-3%). Anche nel 2016, in linea con le due annate precedenti, i consumi di p.a. biologici aumentano (+15,5 % rispetto al 2015), confermando un’inversione di tendenza. La distribuzione delle trappole, anch’essa associata a criteri di difesa innovativi e a minor impatto sull’ambiente, subisce un crollo passando da poco più di 583 mila a poco più di 191 mila unità. Considerando anche le classi di tossicità previste prima della definitiva entrata in vigore del nuovo sistema di classificazione introdotto dal Regolamento (CE) n.1272/2008, nel 2016 i p.f. molto tossici e tossici rappresentano il 3,9% del totale, i nocivi il 25,7% e i non classificabili il restante 70,3%. Rispetto al 2015 si rileva una decisa riduzione in tutte le categorie: molto tossici e tossici (-29,7%), nocivi (-10,4%), non classificabili (-6,6%). Nel lungo periodo (2006-2016) i molto tossici e tossici registrano una riduzione del 41,9%. I nocivi, che alternano aumenti e diminuzioni, presentano invece un sostanziale aumento (+38%). La distribuzione dei p.f. non classificabili, anch’essa con andamenti fluttuanti, risulta decisamente minore (-25,7%). Nel periodo 2006–2016 si assiste, nel complesso, a un’accentuata contrazione dei consumi in p.a. (-26%), con dinamiche diverse e talora irregolari per le varie categorie. Diminuiscono notevolmente i p.a. di tutte le categorie (insetticidi e acaricidi -47,3%, fungicidi – 28,1 %, erbicidi – 16,1%, vari -5,9%) ad esclusione dei biologici, che continuano ad aumentare (+252%). In valore assoluto essi si attestano, nel 2016, intorno alle 409 t, superiore rispetto a tutti gli anni precedenti. Tutti i p.a. dimostrano un andamento complessivamente in diminuzione, ma fluttuante. Ciò si verifica in modo più evidente per i fungicidi. Tale andamento rispecchia in modo particolare scelte e necessità di natura tecnica ed agronomica (andamento climatico), ma non si possono escludere anche strategie commerciali delle industrie produttrici”.

Andando al 2020, invece, l’ISPRA ha pubblicato il “Rapporto nazionale pesticidi nelle acque” relativo al biennio 2018-2019 dal quale si evince che:

dove il monitoraggio viene eseguito in modo più capillare, tanto più vengono riscontrate presenze di agrofarmaci nelle acque. Tuttavia, questo aumento dei punti che presentano tracce di agrofarmaci non dovrebbe essere confuso con un peggioramento generale della gestione degli agrofarmaci. In ogni caso dal rapporto appare anche che il monitoraggio delle acque superficiali e delle acque profonde, mostra segni di miglioramento rispetto al rapporto precedente. Difatti, per le acque superficiali il 79% dei campioni ha presentato concentrazioni di agrofarmaci inferiori agli SQA (Standard di Qualità Ambientale, nel 2016 erano il 76,1%), mentre per le acque sotterranee i punti di monitoraggio al di sotto degli SQA sono stati quasi il 95% (nel 2016 erano il 91,7%). Anche la vendita di prodotti fitosanitari, come visto, sta mostrando da tempo dei trend in diminuzione sia in termini di quantità assolute che di quantità per ettaro di SAU: i prodotti fitosanitari sono diminuiti del 22,4%, mentre i principi attivi del 27%” (Fonte).

In altre parole, le opinioni personali, le sensazioni soggettive, l’idea che “quando eravamo piccoli si stava meglio” oppure i casi particolari limitati a pochi ettari di suolo (rispetto alla superficie nazionale) in cui gli agricoltori si comportano come criminali, non contano ai fini di una demonizzazione di una agricoltura che sta assumendo sempre più un aspetto sostenibile e, di conseguenza, rispettoso dell’unico pianeta sul quale, per il momento, siamo in grado di vivere.

Sull’agricoltura biologica

Ritorniamo per un momento all’uguaglianza naturale=buono di cui si argomentava più su. Questa associazione del tutto arbitraria e fuorviante viene, in realtà, diffusa – per semplicità argomentativa e per la facilità con cui riesce a penetrare le menti già predisposte a credere che tutto ciò che è presente in natura sia buono e salutare – dagli organismi istituzionali che governano le nostre società. L’esempio si trova in un sito web della Comunità Europea (qui) in cui si riporta:

L’agricoltura biologica è un metodo agricolo volto a produrre alimenti con sostanze e processi naturali”.

A questa affermazione che non definisce in modo puntuale il significato di “naturale” e di cosa siano le sostanze ed i processi naturali – sebbene esista tutta una branca della chimica che prenda il nome di Chimica delle sostanze naturali e che si occupa del comportamento chimico, fisico e biologico dei metaboliti secondari di origine vegetale – si aggiunge anche:

incoraggia a:

  • usare l’energia e le risorse naturali in modo responsabile
  • mantenere la biodiversità
  • conservare gli equilibri ecologici regionali
  • migliorare la fertilità del suolo
  • mantenere la qualità delle acque”.

che, tutto sommato, non è altro che un decalogo della pratica agricola sostenibile che va sotto il nome di agricoltura integrata di cui ho già parlato in precedenza. In altre parole, l’agricoltura biologica è una tipologia di agricoltura integrata che in più offre una certificazione che documenta – o dovrebbe farlo – il basso impatto ambientale dell’attività che viene svolta sotto il cappello del termine “biologico”.

La certificazione “biologica” impone anche l’uso di prodotti fitosanitari opportunamente elencati in liste di prodotti consentiti. Una di queste liste aggiornate al 2020 è presente sul sito del Ministero della Salute (qui), un’altra, meno recente, su quello della Feder-Bio (qui). Per chi è abituato a leggere numeri e tabelle salta subito all’occhio che tra i prodotti fitosanitari ammessi in agricoltura biologica sono presenti numerosi composti a base di rame (Cu). Il rame tutto è tranne che “naturale” e, inoltre, ha una forte attività tossica per tanti organismi viventi, tra cui l’uomo (Fonte). Ma questa è solo una delle tante contraddizioni dell’agricoltura biologica. Un’altra, meno evidente, è legata alla bassa produttività di questa pratica agricola (Fonte). Questo vuol dire che per produrre quanto pratiche agricole non biologiche c’è bisogno di superfici molto estese, ovvero è necessario disboscare con conseguente incremento di gas serra (in particolare anidride carbonica) e tutto ciò che segue in termini di cambiamenti climatici. Di agricoltura biologica dei suoi limiti e vantaggi si parla anche sulla pagina del SeTA (Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura) a questo Link.

Sull’illusione dei residui dei fitofarmaci

Molto spesso i no-tutto (di cui ho accennato in una intervista qui) hanno paura anche dell’aria che respirano e si impressionano solo a leggere nomi IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) di composti che non sono per nulla pericolosi. Conoscete la beffa del monossido di diidrogeno? No? Bene, la potete leggere qui.

La chemofobia si alimenta anche grazie alle notizie allarmistiche sulla presenza di residui di fitofarmaci che attenterebbero alla salute pubblica. Non molto tempo fa è stata data ampia diffusione a delle analisi fatte da una associazione di produttori su spaghetti di brand piuttosto famosi (qui).

La tabella qui sotto riporta nella prima colonna le aziende prese in considerazione; nella seconda il contenuto di glifosate trovato, espresso come milligrammi (mg) di principio attivo per chilogrammo (kg) di pasta; nella terza la percentuale di glifosato rispetto al limite di legge di 10 mg/kg; nella quarta la quantità di pasta in chilogrammi che contiene la dose di 10 mg/kg indicata come limite massimo di residuo. Infine, nella quinta colonna si riporta la quantità di pasta in chilogrammi che un individuo di 80 kg dovrebbe assumere in un solo giorno per raggiungere il limite di 0.3 mg/kg/d previsto dalla Comunità Europea (ne ho già parlato qui).

È facile capire che le quantità di residui individuati non solo sono ben al di sotto dei limiti di legge, ma sono anche molto al di sotto dei limiti che potrebbero portarci a problemi di salute. Nel XXI secolo è ancora valido il principio stabilito da Paracelso nel XVI secolo in base al quale è la dose che fa il veleno. In altre parole, la presenza di un sistema chimico tossico non vuol dire che esso lo sia veramente perché ciò che importa è quanto di quel sistema è presente in un dato alimento.

Marca degli spaghetti Contenuto in glifosate (mg/kg) Percentuale rispetto al limite di legge (10 mg/kg) Quantità di pasta necessaria per raggiungere il limite di legge (kg) Quantità di pasta che un individuo di 80 kg deve assumere per raggiungere il limite di 0.3 mg/kg/d previsto dalla EU
Riscossa 0.146 1.46 68 164
Divella 0.068 0.68 147 353
Garofalo 0.03 0.3 333 800
De Cecco 0.017 0.17 588 1412
Rummo 0.016 0.16 625 1500
Barilla 0.013 0.13 769 1846

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Parlo di biodinamica con la Senatrice Cattaneo e Gianluca Nicoletti

Oggi sono stato nella trasmissione di Gianluca Nicoletti (Melog) a parlare della biodinamica. Ho preceduto il bellissimo intervento della Senatrice Elena Cattaneo. Per ascoltare il podcast basta cliccare sull’immagine qui sotto per aprire la pagina dei podcast di Radio24 e da lì cliccare sul tastino “play”. Buon ascolto.

Il podcast si può ascoltare anche sulla pagina Facebook di Melog, qui sotto

Fonte dell’immagine di copertina

 

Parliamo di agricoltura biodinamica

“Parliamo ancora di agricoltura biodinamica?”, chiederete voi. “Ma non ti stanchi mai?”, aggiungerete. Il fatto è che se non si alza la voce, maghi e fattucchiere hanno la meglio sulla ragione e la logica.

Purtroppo è di queste ore la notizia che il Senato della Repubblica ha approvato un disegno di legge sull’agricoltura biologica (qui). Fin qui niente di strano, potrete dire. Il problema è che gli appassionati di esoterismo, che evidentemente non mancano tra quelli che siedono nei banchi del Senato, hanno approvato una legge in cui l’agricoltura biodinamica viene equiparata in tutto e per tutto all’agricoltura biologica. Quali sono le conseguenze di tutto ciò? Una tra tutte è che pagheremo con le nostre tasse gli incentivi all’agricoltura biodinamica esattamente come paghiamo quelli all’agricoltura biologica che, però, ha fondamenta scientifiche che la prima non ha.

Di questo e di altro parleremo in diretta streaming su YouTube e Twich e il 25 Maggio alle ore 20:30 assieme a Daniel Puente, che gestisce un interessantissimo canale YouTube (qui), e Valentino Riva.

Per la diretta YouTube basta cliccare qui: https://youtu.be/L26PJauNcfs

Per la diretta Twich basta cliccare qui: https://www.twitch.tv/biologic_twitch

Vi aspettiamo!

Su agricoltura biodinamica: riflessioni scientifiche

Circa un mese fa è comparsa una mia intervista su www.VinOsa.it in merito all’agricoltura biodinamica.

[…] È una pratica agricola che non ha nulla di scientifico, ma si basa su riti e superstizioni inventati da Rudolph Steiner all’inizio del ’900. Steiner era un visionario, ma non nel senso positivo del termine. Non va accomunato con gente del calibro di Newton, Galileo Galilei, Giordano Bruno – solo per mantenerci nel passato, citando persone a cui gli pseudo scienziati tendono sempre a confrontarsi – o Einstein, Planck, Dirac, Pauling – per andare a persone a noi più vicine nel tempo – che erano scienziati nel senso compiuto del termine. Il modo di essere visionari delle persone appena citate ha permesso lo sviluppo verticale della scienza, ovvero del corpo di conoscenze che oggi ci consente di usare i social network, di andare sulla Luna, su Marte o di aver superato le colonne d’Ercole del nostro sistema solare. Le visioni di Steiner sono quelle tipiche di una persona che non ha alcuna idea di come si possa fare scienza e basa le sue conoscenze sulla superstizione e sull’esoterismo […]

Se non avete ancora letto l’intervista ed avete voglia di divertirvi con delle valutazioni scientifiche su questa pratica agricola potete cliccare sull’immagine qui sotto. Quello sono io, stanco per le continue battaglie contro la pseudoscienza, mentre mi riposo per riprendere la lotta.

Grazie e buona lettura

Fonte dell’immagine di copertina

Perché i termini “scienza” e “biodinamica” nella stessa frase sono un ossimoro

Ogni tanto ritorno alla carica con l’agricoltura biodinamica. Ne ho parlato a varie riprese qui, qui, qui, qui, e qui. Mi chiederete voi: ma allora perché parlarne ancora una volta? Semplicemente perché ancora una volta delle Istituzioni pubbliche come un Ministero della Repubblica, una Università pubblica, una Regione ed un Comune hanno concesso il patrocinio per un convegno sulla biodinamica che si terrà a Firenze dal 26 al 29 Febbraio (qui).

Cosa vuol dire patrocinio?

Dalla Treccani on line possiamo leggere che il patrocinio è un “sostegno da parte di un’istituzione“. E quando si concede un sostegno? Quando si condividono i contenuti di una certa attività. Non c’è molto da aggiungere. Se io, Ministro o Rettore o Sindaco o altro rappresentante Istituzionale concedo un patrocinio è perché sono convinto della validità di certe attività e voglio legare la mia Istituzione alle predette attività. Cosa pensare, quindi? È possibile che un Ministero, una Università, una Regione e un Comune, attraverso la concessione del patrocinio, condividano i contenuti del convegno e, più in generale, approvino l’esoterismo alla base dell’agricoltura biodinamica? Secondo me no. Probabilmente, la concessione del patrocinio è avvenuta automaticamente senza che qualcuno si sia veramente reso conto di ciò che concedere il patrocinio ad un convegno del genere avrebbe potuto significare.

Ma non è finita. Al convegno prendono parte anche docenti universitari. Perché lo fanno? Probabilmente sono seguaci di Steiner oppure, più  probabilmente, hanno una falsa idea del significato di libertà di ricerca e di scienza (ne ho parlato qui). Perché falsa? Faccio un esempio banale: non c’è bisogno di chiedere se chi mi legge conosce la differenza tra astronomia ed astrologia. La prima è una scienza, la seconda una favoletta sulla quale si basa la formulazione degli oroscopi. Si tratta della medesima differenza che esiste tra l’agricoltura attuale, basata sull’uso della scienza e delle tecnologie moderne, e la biodinamica, basata sulle idee di una specie di filosofo vissuto agli inizi del ‘900 e, praticamente, sempre uguale a se stessa.

Invocare libertà di scienza e ricerca pretendendo di dare pari dignità scientifica all’agricoltura moderna ed alla biodinamica è lo stesso che attribuire scientificità all’astrologia.

E’ mia opinione che gli accademici che con la loro attività sdoganano la biodinamica come pratica scientifica non facciano un buon servizio alla Scienza. Ovviamente ognuno è libero di fare ciò che vuole della propria dignità scientifica ed ognuno è libero di fare ricerca su qualsiasi cosa sia di proprio gradimento. Ciò che è importante è che non vengano impegnate risorse pubbliche per attività di ricerca che si fondano sull’esoterismo.

Come componente della Rete Informale Scienza e Tecnologie per l’Agricoltura (SETA), sono anche io tra i firmatari della lettera aperta che potete leggere qui sotto cliccando sulle immagini. In questa sede spieghiamo nei dettagli perché l’agricoltura biodinamica non può essere considerata scienza. Le nostre argomentazioni si basano esclusivamente sulla lettura dei disciplinari che devono seguire tutti coloro che vogliono usare il termine “biodinamica” sull’etichetta dei loro prodotti.

Buona lettura.

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Davide contro Golia

Davide contro Golia. Vi ricordate dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica? Ne ho parlato qualche tempo fa quando ho evidenziato quali fossero le competenze di chi gestisce in Italia una delle più grandi aziende sull’agricoltura che segue i dettami esoterici di quel buontempone di Rudolf Steiner. L’articolo a cui faccio riferimento lo trovate qui sotto.

Agricoltura biodinamica – fatti, misfatti e contraddizioni. Parte I: Competenze

Devo dire che ultimamente la Rete Informale SeTA di cui faccio parte deve fare tanta paura al Dott. Triarico, presidente e responsabile dell’associazione anzidetta, dal momento che ci attacca ogni quando può. Sembra quasi di trovarsi di fronte a qualcuno che cerca in tutti i modi di attaccare briga per litigare. Noi abbiamo dalla nostra la Scienza, quella con la maiuscola, che ci consente di agire in scienza e coscienza.

Vi chiederete adesso perché questo articolo si intitola Davide contro Golia. Ebbene lo potete leggere nella lettera qui sotto. Buona lettura

Fonte dell’immagine di copertina

Agricoltura biodinamica: tra magia e fantasia

Quante volte ho scritto di agricoltura biodinamica? Non si contano più (es. qui). Tra litigate in rete con pseudo scienziati di ogni tipo, persone che invadono senza alcun ritegno campi in cui non sono assolutamente competenti, personaggi che mascherano con la pseudo scienza i loro tornaconti personali, è diventato piuttosto noioso parlare sempre delle stesse cose. Tuttavia, ritengo che tornare di tanto in tanto alla carica sia piuttosto utile per non dimenticare che, nonostante gli sforzi compiuti, ci sono sempre quelli che continuano imperterriti a diffondere le cretinate più assurde.

L’ultima sciocchezza che mi è capitato di leggere è riportata su una rivista on line. Si tratta di WineNews, una rivista del settore enologico che riporta di una nuova tecnica biodinamica per la produzione di uno Champagne.
Riporto qui sotto per comodità il breve articolo che potete leggere anche qui:

Gli appassionati di vino sono sempre a caccia di particolarità e novità. E dovranno aspettare fino al 2021 per poter degustare il primo champagne prodotto con la fermentazione in botti d’oro. A firmarlo, come giù riportato in passato da WineNews, la maison Champagne Leclerc Briant, che ha annunciato la data di rilascio al magazine Uk “The Drink Business”. Lo champagne, annata 2016, sarà prodotto dalla fermentazione nelle botti da 228 litri, fatte di acciaio all’esterno, ma rivestite di oro a 24 carati all’interno, create dall’azienda specializzata GD Industries. E sarà un vino prezioso in assoluto, visto che le uve arrivano dal vigneto La Croisette, una parcella di Chardonnay ad Epernay, che fa parte dei 14 ettari di proprietà della Maison. Vigneto che ha una particolarità, perché se tutta l’azienda è gestita secondo i criteri della biodinamica, nel vigneto La Croisette, spiega l’azienda, non è mai stata toccata da prodotti chimici di sintesi. Una scelta, quella dell’oro, dovuta al fatto che, spiega lo “chef de cave” Hervet Jestin, “l’oro amplifica i livelli dell’attività del sole durante la prima fermentazione, e crea connessioni con l’attività del cosmo”.

Si comprende che la tecnica messa a punto prevede la fermentazione in una botte rivestita all’interno di oro. Perché proprio questo prezioso metallo? È riportato in neretto: l’oro amplifica l’attività del sole e crea connessioni con l’attività del cosmo.

Siamo nel 2019, ovvero siamo nel ventunesimo secolo. Siamo andati più volte sulla Luna; abbiamo inviato nello spazio profondo astronavi alla scoperta di forme di vita simili alla nostra; abbiamo mappato il genoma umano; abbiamo prodotto macchinari avanzatissimi per la diagnostica medica così da essere in grado di scoprire patologie in tempi così rapidi da poter assicurare con ottime probabilità una sopravvivenza un tempo impossibile; stiamo studiando i computer quantistici e tanto altro ancora. È mai possibile che si debbano leggere ancora ed ancora queste enormi stupidaggini sull’influenza del sole e le connessioni col cosmo? Ma è mai possibile che l’autore di questo articolo non abbia provato un minimo di vergogna nel riportare in merito a fantasiosi influssi astrali? Perché non ha commentato in merito? Per quale motivo non ha fatto fare la figura dell’ignorante allo pseudo enologo che si è permesso di dire le sciocchezze che tutti possiamo leggere? Dove si è laureato questo enologo? Ha studiato un minimo di biochimica? Ma c’è qualcuno che veramente crede a queste stupidaggini?

Mi verrebbe da dire: se c’è qualcuno che le dice, se c’è qualcuno che le riporta senza battere ciglio, vuol dire che c’è anche qualcuno che evidentemente crede a queste scempiaggini. Del resto le leggi del mercato sono chiare: se c’è una domanda, c’è necessariamente anche un’offerta.

Cosa concludere?
La fermentazione alcolica è un processo ben noto. Se volete averne un’idea dettagliata basta cliccare qui o leggere la figura riportata nell’immagine di copertina.

Come si evince, non c’è alcuna connessione con forze cosmiche e attività solari. Chi ha detto queste cose è indubbiamente uno che di biochimica non capisce assolutamente nulla. Vuole solo giustificare il prezzo sicuramente esoso a cui venderà le sue bottiglie per effetto del fatto che l’oro a 24 kt con cui intende ricoprire la superficie interna delle sue botti è particolarmente costoso.

Ognuno può fare quel che vuole dei propri soldi e del proprio destino, ma almeno non cerchi di prendere per idioti chi li ascolta o legge.

Immagine di copertina: La fermentazione alcolica (Fonte)


Agricoltura biodinamica sì, agricoltura biodinamica no

Oggi è Natale e sono felice di poter fare gli auguri di buone feste a tutti i miei lettori. La divulgazione, però, non si ferma. Da quando ho pubblicato i miei articoli sul biologico e la biodinamica (li potete leggere qui, qui, qui e qui) e, assieme ad Enrico Bucci, le 7 domande ai firmatari della lettera sulla libertà della scienza (qui) a cui non abbiamo mai ricevuto risposta, ho ricevuto tutta una serie di attacchi ad personam che cercavano di screditare la mia serietà scientifica invece di entrare direttamente nel merito delle questioni che ponevo. Ne volete qualche esempio?

Un certo Gary Ricupero (nome falso, ovviamente, come falso è l’indirizzo e-mail, da cui manda il messaggio, che si rifà al noto attore Gary Cooper) scrive in risposta al post in cui invito a leggere la lettera della Professoressa Cattaneo in merito all’agricoltura biologica le seguenti parole:

>Intanto mi mangio una bella insalata biodinamica e mi prendo un bel farmaco omeopatico contro l’influenza come faccio con successo da 20 anni, alla faccia di Conte<

Un tale che si firma chepalle (anche lui scrive da un indirizzo e-mail falso) scrive in risposta alle 7 domande:

>“…mi sembra, quindi, fuor di dubbio che per poter essere certificati occorre usare pratiche magiche.. “, che coglionate che spara. Perché invece non si occupa di provette e di chimica anziché invadere campi che non le competono e che non può comprendere? Perché non se ne resta a cuccia un po’?<

Come vi dicevo questi sono solo alcuni esempi di persone che io catalogo tra le frotte di imbecilli di echiana memoria e che evidentemente non devono vivere molto bene se sentono la necessità di nascondersi dietro nomi falsi per scrivere idiozie (e forse neanche sanno che quando scrivono nel blog appare l’indirizzo IP del computer che usano, per cui sarebbe anche facile raggiungere le loro vere identità se uno ne avesse voglia e tempo).

Uno che sente il bisogno di scrivere che continuerà a mangiare prodotti da agricoltura biodinamica e ad usare rimedi omeopatici come se a me importasse qualcosa, deve essere veramente un idiota. Uno che dice ad un docente di chimica agraria che l’agricoltura biodinamica non gli compete, deve essere uno che, se è laureato, deve aver seguito un percorso didattico in cui non ci deve essere stato molto spazio per la razionalità.

Come ho sempre detto, il mio scopo col blog e la pagina Facebook non è quello di convincere nessuno. Ognuno è libero di fare tutte le scelte alimentari che vuole. Quello che mi importa, invece, è che queste scelte vengano fatte consapevolmente non sulla base di pseudo-scienza.

La biodinamica secondo l’Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie

Perché sto scrivendo questo post? Certamente non per informarvi sui retroscena di quanto scrivo ma per farvi conoscere il documento ufficiale in merito all’agricoltura biologica stilato dalla Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie (AISSA), l’unica associazione scientifica di area agraria accreditata presso il Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR). Si tratta di una associazione che riunisce tutte le società che a diverso titolo si occupano di agraria, incluse la Società Italiana di Chimica Agraria (SICA) di cui sono membro e la Società Italiana di Scienze del Suolo (SISS) di cui, dal primo Gennaio 2019, sarò componente della IV Divisione “Ruolo Ambientale e Sociale del Suolo”.

Il documento a cui faccio riferimento lo potete trovare a questo link oppure cliccando sulla figura qui sotto.

Scrive l’AISSA:

>La comunità scientifica nazionale che si occupa di agricoltura, attraverso l’Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie (AISSA), ritiene che per favorire la conoscenza di un’agricoltura di qualità, per la tutela del territorio, il rispetto dell’ambiente e per un consumo consapevole sia necessario fare chiarezza su questi temi, per contribuire ad una corretta divulgazione scientifica e per far progredire le conoscenze, affinché l’intera società civile ne tragga giovamento, recuperando un po’ di quella consapevolezza del valore della terra e del settore primario andata perduta negli ultimi decenni. Il nostro dovere civico di agire per una corretta divulgazione scientifica e per il trasferimento tecnologico impone anche una precisazione relativa alla distinzione tra tecniche agronomiche basate su risultati sperimentali o su deduzioni di principi scientifici, che fanno parte del patrimonio dei produttori biologici e le pratiche esoteriche che caratterizzano il metodo produttivobiodinamico”. Queste ultime, sebbene suggestive, non hanno trovato ad oggi fondamento scientifico.<

Ho volutamente evidenziato in grassetto e sottolineato l’ultima parte del paragrafo. L’agricoltura biodinamica si basa su pratiche “magiche” che non hanno alcun fondamento scientifico.

Badate bene, sebbene io ne abbia scritto in passato e continuerò a riportarlo, quanto indicato nel documento di cui ho messo il link è stato scritto dall’Associazione delle Società che si occupano di Agraria. Questo significa che la comunità scientifica che si occupa a qualsiasi titolo di agraria è unanime. Non ci sono divisioni o controversie. Quando i biodinamici insistono nel dire che anche la comunità scientifica è divisa in merito alla pratica biodinamica, stanno affermando il falso e la prova è proprio nel documento che avete appena letto. Certo, ci può essere qualche pseudo-scienziato nella comunità di coloro che si occupano di agraria, ma – appunto – si tratta di qualche poveraccio che probabilmente vuole avere visibilità.

Aspetto ora che le frotte di imbecilli scrivano che i componenti della AISSA debbano dedicarsi a campi di cui sono competenti. Sono sicuro che qualche imbecille affetto dalla sindrome di Dunning-Kruger lo possa veramente pensare e verosimilmente scrivere da qualche parte.

L’AISSA e l’agricoltura biologica

Nello stesso documento l’Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie evidenzia tutti i limiti dell’agricoltura biologica: 1. minore produttività che implica prezzi più alti e uso di una maggiore quantità di suolo per produrre lo stesso ammontare di alimenti (la riduzione della produttività agricola comporterebbe di concerto maggiori importazioni con impatto notevole sull’economia nazionale); 2. “biologico” non è sinonimo di sostenibilità dal momento che, per esempio, si può verificare un accumulo pericoloso di metalli tossici, come il rame, nei suoli sottoposti a certe particolari coltivazioni come i vigneti; 3. le pratiche biologiche possono essere utili in alcuni settori, ma non in altri come, per esempio, la coltivazione dei cereali che sono prodotti che, se non adeguatamente protetti da attacchi di funghi e batteri, sono assolutamente inutilizzabili per l’alimentazione umana a causa della presenza di micotossine.
In altre parole, l’AISSA auspica una maggiore attenzione per la ricerca scientifica che deve aiutare a superare i problemi anzidetti. In particolare,

>anche l’agricoltura biologica dovrà […] utilizzare al meglio le potenzialità che il miglioramento genetico sta offrendo, senza rifiuti preconcetti, e impiegare genotipi di varietà vegetali e razze animali più produttivi, rustici, resistenti e resilienti.<

Fate attenzione a quanto evidenziato in grassetto e sottolineato: l’AISSA non è contro gli OGM in agricoltura e non esiste alcuna controversia nel mondo scientifico in merito alla pericolosità degli OGM. Del resto che i lavori che descrivono la pericolosità degli OGM siano opinabili lo ha già evidenziato Enrico Bucci in uno dei suoi post (qui).

Conclusioni

Cosa aggiungere? Niente oltre che la coesistenza di attività agricole differenti sia possibile ed auspicabile dopo aver valutato opportunamente il rapporto costi/benefici di ognuna di esse. In altre parole, non si può pensare al biologico come alla panacea di ogni male, ma bisogna applicare attività integrate che, in qualche modo, mettano insieme tutti i vantaggi delle varie pratiche agricole (che è quanto auspicato anche dai firmatari della lettera al Parlamento italiano di cui ho parlato qui).

Fonte dell’immagine di copertina (qui)

Omeopatia, agricoltura e biodinamica®

 

È di questi giorni la notizia relativa ad un congresso sulla biodinamica® ospitato (quindi patrocinato) dal Politecnico di Milano che ha visto la senatrice Elena Cattaneo autrice di una lettera aperta al Rettore di detta Istituzione (qui) per paventare i pericoli legati alla sponsorizzazione della pseudo scienza da parte delle Istituzioni Universitarie. Non voglio spendere più di tante parole in merito a questa pratica di carattere esoterico perché ne hanno già parlato professionisti e colleghi molto qualificati. Per esempio Donatello Sandroni ha descritto dell’inconsistenza della fede nella biodinamica® in un bell’articolo qui, mentre Enrico Bucci ed Ernesto Carafoli ne hanno discusso qui. Voglio anche evidenziare che nel momento in cui scrivo questo post, la pagina relativa al predetto convegno, ospitata sul sito dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica®, sembra essere sparita. Se non ci credete, basta andare sul sito, cliccare su “Eventi” e verificare che l’ultimo convegno elencato è quello del 2016 (Figura 1). Il convegno del 2018 non compare. Per averne certezza, ho ripreso la pagina del CICAP in cui si parlava di questo evento (qui) ed ho cercato di raggiungere la locandina del convegno dai link ivi riportati. Il risultato? lo potete vedere cliccando qui.

Figura 1. Finestra in cui non compare il convegno del 2018

Ora il programma del convegno è in “News” (Figura 2).

Figura 2. Dove trovare il programma del Convegno 2

Dalla finestra a tendina di News bisogna cliccare su “Biodinamica News” (Figura 2) e dalla pagina mostrata in Figura 3, selezionare “Un convegno per la libertà degli agricoltori e dei ricercatori”.

Figura 3. Pagina “Biodinamica News”

A questo punto, bisogna scorrere fino in fondo e cliccare su “Clicca qui per visionare il PROGRAMMA COMPLETO” (Figura 4).

Figura 4. Pagina da cui scaricare il programma del convegno sulla biodinamica

Solo dopo tutte queste operazioni compare, finalmente, il programma completo che qualche giorno fa era raggiungibile in modo molto meno macchinoso (per scaricare il programma cliccare qui).

La Naturphilosophie di steiner e la biodinamica

Appare evidente che la sollevazione occorsa in rete da parte del mondo scientifico ha avuto un effetto inaspettato per coloro i quali hanno organizzato questo evento e nonostante tutte le conferme arrivate da diverse associazioni che, a vario titolo, lo patrocinano. Qui si può leggere l’elenco di coloro i quali hanno difeso le proprie scelte nel patrocinare questo famoso convegno. C’è addirittura chi parla di “libertà di ricerca” (per esempio qui e qui) alimentando l’idea che esista una ortodossia scientifica, simile a quella religiosa, che si oppone ai cambiamenti innovativi perché non compresi e temuti dai “santoni” di quella che viene definita “scienza ufficiale”. A parte il fatto che non esiste alcuna “scienza ufficiale”, ma una sola scienza che è quella che fa uso del metodo scientifico di cui ho parlato in diversi articoli (qui), non si capisce di quali innovazioni si dovrebbe aver paura. La biodinamica® nasce all’inizio del XX secolo nella mente di un tal Rudolph Steiner che, di fatto, applica principi esoterici (come per esempio forze cosmiche ed energie astrali) all’agricoltura. Se volete avere un’idea di cosa sia l’agricoltura pensata da Steiner basta leggere qui. È chiaro dai documenti  citati che si tratta di vera e propria fuffa che si basa anche sulle teorie esoteriche di Hannheman pubblicate per la prima volta nel 1810 nel “The organon of medicine”. Devo aggiungere che le idee strampalate di Rudolph Steiner erano abbastanza di moda all’inizio del XX secolo e rientravano nell’ambito della “Naturphilosophie” che fu, poi, abbracciata anche dal nazionalsocialismo tedesco che in ambito pseudoscientifico non si può dire non fosse all’avanguardia (ma di questo parlerò in un altro post). Volete sapere cosa scrive Philip Ball (se volete conoscerlo basta cliccare qui) a proposito di Steiner nel suo “Al servizio del Reich. Come la fisica vendette l’anima a Hitler”  (Einaudi, 2013)? Ecco:

L’entusiasmo del regime nazista per questo tipo di misticismo e pseudoscienza è ben documentato, per quanto forse non si siano ancora approfondite a sufficienza le assonanze tra fascismo, Naturphilosophie, misticismo con tratti da culto di Rudolf Steiner e antroposofia da una parte, e le confortanti certezze di certe credenze New Age dall’altra.

e ancora:

Steiner è stato difeso dall’accusa di avere simpatie naziste, e sicuramente pare non fosse apprezzato dai nazionalsocialisti stessi. Non avrebbero però probabilmente trovato niente da ridire in questo suo commento: «Gli ebrei in quanto tali sono sopravvissuti a se stessi da molto tempo. Non hanno diritto di esistere nella vita moderna delle nazioni. Che siano ugualmente sopravvissuti è un errore da parte della storia del mondo, di cui c’erano da aspettarsi le conseguenze» (R. Steiner, Gesammelte Aufsätze zur Literatur, 1884-1902, Rudolf Steiner Verlag, Basel 1971, p. 152).

Avete capito il tipo? Certo. Nel corso della storia scienziati famosi, che hanno fornito un enorme input all’avanzamento delle conoscenze, non sono stati irreprensibili sotto l’aspetto etico. Ricordiamo Haber per esempio?  Oppure Lennard e Starck? Il primo, dopo aver ottenuto la fissazione dell’azoto molecolare in ammoniaca, fu l’artefice dei primi gas bellici usati nella prima guerra mondiale. Gli altri due, dopo aver dato un contributo alla meccanica quantistica, sposarono il nazismo e le sue tesi antisemite. Almeno, però, i loro nomi sono scritti nella storia della scienza e ricordati solo per il loro contributo ad essa. Steiner, non solo si inseriva a pieno titolo nell’antisemitismo tipico degli inizi del novecento, ma non diede alcun contributo scientifico. Eppure  oggi c’è ancora gente che segue le indicazioni della pseudoscienza di Steiner che ha tutte le caratteristiche di una fede religiosa in cui il Dio canonico è stato sostituito dalla Natura benigna (anche sul significato che l’ortodossia ambientale attribuisce al termine “natura” mi ripropongo di tornare in seguito).

La agro-omeopatia

L’esoterismo biodinamico trova  un forte appoggio nel mondo dell’omeopatia. Non può essere altrimenti dal momento che tutta la filosofia steinariana è permeata dalle idee hannhemaniane. Di queste idee ne ho già discusso altrove (qui trovate tutta la serie di articoli che ho scritto al riguardo). L’applicazione dei principi omeopatici all’agricoltura ha dato vita a un nuovo filone che alcuni definiscono scientifico che prende il nome di agro-omeopatia.  Quali sono i principi dell’agro-omeopatia? Li potete leggere in una intervista sul sito web di lifegate, qui.

Il mio non vuole essere un attacco a nessuno, ma solo una valutazione critica di quanto scritto in una intervista accessibile a tutti. A chi è privo di conoscenze scientifiche, ciò che è riportato nell’intervista può sembrare plausibile e, di conseguenza, indurre a pensare che l’ortodossia scientifica, la stessa di cui parlavo prima ma che – di fatto – non esiste, si oppone alla libertà di ricerca ed impedisce ai novelli Giordano Bruno ed ai sempiterni Galileo Galilei di non esprimere il loro genio.

L’effetto placebo

Andiamo con ordine e vediamo quali sono i limiti di ciò che è scritto nell’intervista.

le piante, non avendo un sistema nervoso, non sono influenzabili da un punto di vista psichico, dunque sono immuni dall’effetto placebo. L’obiezione che viene sempre fatta da coloro i quali non credono nell’efficacia dell’omeopatia è proprio che agisca sull’onda dell’effetto placebo, anche quando viene applicata agli animali oltre che alle persone.

Il primo punto su cui mi preme centrare l’attenzione è proprio il concetto di effetto placebo. In pratica si sta affermando che esso si osservi solo su organismi viventi dotati di “coscienza” o “consapevolezza”. Le piante, in quanto prive di sistema nervoso, non hanno né l’una né l’altra e, di conseguenza, non è possibile parlare di effetto placebo.

Cos’è l’effetto placebo?

Ne ho parlato già diverse volte e ne ho discusso anche nel mio “Frammenti di chimica. Come smascherare falsi miti e leggende”. L’effetto placebo è uno dei due effetti che si osservano quando si assume un farmaco. Il primo è un effetto curativo vero e proprio legato all’azione del principio attivo che influenza, da un punto di vista chimico, i nostri processi metabolici. Il secondo è un effetto curativo, di tipo psicologico, legato all’idea di assumere un rimedio con effetti curativi. È proprio quest’ultimo che viene indicato come effetto placebo. Nella comune pratica clinica, la sperimentazione viene sempre effettuata contro un rimedio placebo, ovvero un rimedio che non ha effetti curativi di tipo biochimico, ma che induce solo un effetto curativo di tipo psicologico. Questo allo scopo di distinguere la reale efficacia biochimica e verificare che un principio attivo sia più efficiente del solo placebo. Se questa condizione non si verifica, ovvero se il principio attivo funziona esattamente come il placebo,  esso viene definito come “non migliore del placebo”. Perché un placebo possa avere un qualche effetto è necessario che l’individuo sia cosciente ed in stato di veglia. Inoltre, il soggetto deve essere sottoposto ad inganno, ovvero non deve sapere che sta assumendo il placebo. In realtà le cose sono molto più complicate di così. Come sottolineavo in un altro post (qui), uno studio recente (questo) pare abbia dimostrato che l’effetto placebo possa aver luogo anche quando il paziente non viene ingannato. Mentre sono chiari i meccanismi dell’effetto placebo che si ottiene quando un paziente cosciente ed in stato di veglia viene “ingannato” (invito a tal proposito a leggere il bellissimo libro divulgativo del Prof. Dobrilla dal titolo “Cinquemila anni di effetto placebo”), non si sa ancora bene cosa accada quando, invece, non c’è inganno.

“Ma stai divagando e stai dando ragione a quanto scritto nell’intervista”, direte voi. Non è esattamente così. Ho solo, per ora, evidenziato che i meccanismi di tale effetto sono complessi e non basta dire che occorre “coscienza” o “consapevolezza” perché si abbia effetto placebo. Dirò di più. Proprio perché i meccanismi di tale effetto sono complessi, essi si osservano anche laddove la logica spicciola legata a “coscienza” e “consapevolezza” sembrerebbe indicarci che esso non possa realizzarsi. Cosa voglio dire? Ne ho già parlato qui, ma, come dicevano i nostri antenati, “repetita iuvant”.

I meccanismi dell’effetto placebo

Quando si fa un esperimento di qualsiasi tipo, bisogna fare in modo che i pregiudizi di conferma vengano opportunamente riconosciuti e tenuti sotto controllo. Cosa vuol dire questo? Se decido di fare un esperimento su un essere vivente, come un bambino, un topo o una pianta, devo tener conto anche dei miei atteggiamenti nei confronti dell’essere vivente sotto osservazione. Per esempio, uno dei meccanismi dell’effetto placebo è quello che prende il nome di apprendimento per imitazione. Esso consiste nel fatto che un essere vivente, come un bambino, possa modulare il suo comportamento osservando e imitando o emulando le azioni di un individuo di riferimento come un genitore. Se il genitore si aspetta che il figlio guarisca dalla patologia per assunzione di uno zuccherino, indurrà nel bambino, attraverso la sua gestualità ed il suo comportamento generale, un analogo comportamento, assimilabile alla riduzione degli effetti della patologia, anche se non c’è reale guarigione. Vogliamo dimenticare poi il meccanismo che prende il nome di condizionamento Pavlov? Quando ero più giovane possedevo un bellissimo meticcio di pastore belga chiamato Pluto (sia perché era simpatico come il cane di Topolino, sia perché era nero come l’entrata dell’Ade di cui Pluto era custode nella mitologia Latina). Ebbene, a quell’età ero convinto che fosse un cane non particolarmente intelligente perché ogni volta che veniva aperto il cassetto delle posate si precipitava in cucina per mangiare anche se non era l’ora del pasto. All’epoca, non avevo ancora capito che era soggetto al condizionamento Pavlov. Quando da cucciolo gli davamo da mangiare (sia io che uno qualsiasi dei membri della mia famiglia), aprivamo il cassetto delle posate per prendere l’apriscatole per poter aprire le scatolette di cibo per cani e una posata per mettere il cibo nella ciotola. Pluto aveva associato il rumore del cassetto delle posate al cibo. Per questo motivo ogni volta che, per un qualsiasi motivo, veniva aperto il cassetto delle posate, si precipitava a spron battuto in cucina indipendentemente dal fatto che fosse il momento del pasto oppure no. Lo stesso accade in laboratorio quando si fanno esperimenti con gli animali. Si induce un comportamento di un certo tipo perché l’animale associa quel comportamento a una qualsiasi forma di ricompensa. Ma non basta. Se uno crede che l’uso dello zuccherino, in qualche modo, permetta la guarigione dell’animale, deve tener conto di alcuni altri fattori che pure vengono inquadrati sotto il termine di “effetto placebo”. Se l’animale è malato, il proprietario avrà la tendenza a curarlo meglio, magari riscaldando di più l’ambiente, fornendo cibo migliore o in quantità più elevata. L’attenzione che il proprietario dell’animale ha verso il suo “assistito” facilita il processo di guarigione esattamente come quando noi da piccoli ci sentivamo subito meglio quando la mamma ci dava il bacetto sulla bua. Per quanto riguarda il mondo vegetale, l’effetto placebo si traduce nel fatto che l’osservatore vuole vedere un miglioramento che non esiste semplicemente perché si è innamorato delle sue ipotesi e, inconsapevolmente, scarta tutte le osservazioni che non soddisfano ciò che gli piace.

Cosa si conclude da tutto questo? Che quanto scritto nell’intervista in merito all’effetto placebo è troppo semplicistico. Le piante, come qualsiasi altro essere vivente, sono soggette ad effetto placebo anche se non hanno un sistema nervoso.

La dinamizzazione

Uno dei cavalli di battaglia degli amici dell’omeopatia è quello della succussione che serve per dinamizzare l’acqua in modo tale che l’essenza del principio attivo venga trasferita al network di legami a idrogeno che tengono unite le diverse molecole di acqua. È l’essenza del principio attivo che rimane “impressa” nell’acqua ed agisce in modo tale da alterare i processi metabolici degli organismi viventi. Appare chiaro da questa breve spiegazione che la succussione e, quindi, la dinamizzazione (che vuol dire trasferire la forza del principio attivo al solvente) consentono di ottenere dei sistemi in cui la presenza fisica del principio non è necessaria: basta solo che la sua essenza, o forza vitale, si trasferisca al solvente. Cosa ha a che fare tutto questo con la scienza? Alla luce delle conoscenze attuali ed in base alla definizione stessa di scienza, nulla. Si tratta solo di principi metafisici del tutto slegati da quello che è il pragmatismo scientifico. Per comprendere i limiti scientifici di questo approccio metafisico, devo rimandare o al mio libro, oppure ad articoli del blog in cui ho già discusso di queste cose (qui).

Nell’intervista si va anche oltre quello che è il concetto di dinamizzazione di Hannheman. Leggiamo:

La dinamizzazione è fondamentale. All’inizio della sperimentazione abbiamo lavorato con diverse tesi, una era il controllo negativo da ottenere attraverso semi stressati trattati con acqua distillata; poi abbiamo preparato l’acqua dinamizzata alla 45esima senza principio attivo, adottando lo stesso protocollo usato per l’arsenico; in seguito abbiamo creato la 45esima decimale del triossido di arsenico con diluizione e dinamizzazione e infine abbiamo preparato un arsenico diluito alla 45esima senza dinamizzazione intercalare, quindi semplicemente facendo gli step di diluizione.

In pratica, oltre alla semplice acqua distillata, si afferma di aver preparato acqua dinamizzata diluendo l’acqua distillata. E cosa si osserva?

l’arsenico alla 45esima DH era sempre stimolante in maniera significativa; l’acqua alla 45esima DH aveva anch’essa un effetto stimolante ma meno significativo rispetto a quello dell’arsenico; l’arsenico semplicemente diluito alla 45esima, senza dinamizzazione, era esattamente come l’acqua di controllo

In altre parole, l’acqua distillata diluita e dinamizzata ha anche essa un effetto sulle piante. Cioè…se sbatto l’acqua seguendo le regole tipiche dell’omeopatia, il prodotto che ottengo, che chiamo acqua dinamizzata alla i-esima diluizione, ha effetti stimolanti sulle piante. E l’effetto stimolante è lo stesso dell’arsenico. Allora, se decido di verificare queste cose usando diluizioni omeopatiche di qualche altro principio attivo, mi devo aspettare che l’acqua dinamizzata diluita tante volte abbia un effetto simile (o anche opposto, non importa) rispetto a quello del principio che sto valutando per il semplice fatto che sto preparando i miei prodotti nello stesso laboratorio ed essi, in un modo che non riesco a comprendere, si trasmettono tra loro le informazioni necessarie a stimolare oppure no le piante. Inoltre, talvolta l’acqua diluita e dinamizzata funziona come l’arsenico, talaltra, invece, come un qualche altro principio attivo. Insomma, come dicevo prima, con queste parole siamo ben oltre la metafisica di Hannheman. Solo che riesco a comprendere e giustificare Hannheman perché ai suoi tempi la scienza non aveva ancora raggiunto lo sviluppo odierno; capisco molto meno queste affermazioni oggi perché non sono giustificabili in alcun modo.

Le pubblicazioni scientifiche

A nulla vale dire che questi sono risultati pubblicati in riviste scientifiche con peer review ed impact factor:

Abbiamo pubblicato sempre su riviste internazionali indicizzate con referee. Per pubblicare su riviste internazionali lavorando nel settore dell’omeopatia bisogna essere irreprensibili.

Né la peer review né l’impact factor assicurano la qualità di un lavoro scientifico. Vogliamo forse dimenticare quanto scritto da Benveniste su Nature o da Wakefield su Lancet? Tutt’al più i parametri anzidetti sono indice di serietà della rivista che, anche dopo aver pubblicato un lavoro, si assicurano che esso venga ritirato dalla letteratura nel momento stesso in cui la comunità scientifica si accorge della fallacia dello stesso. In ogni caso, le riviste scientifiche in cui l’intervistata pubblica sono, grosso modo, sempre le stesse e tutte invariabilmente legate al mondo dell’omeopatia. Per quanto mi è dato sapere non ci sono lavori pubblicati su riviste non di quel settore.

Conclusioni

Mi rendo conto di essere stato alquanto critico prendendo in considerazione unicamente le parole scritte in una intervista. Queste possono essere fuorvianti, considerando la semplicità con cui deve essere scritto un articolo di giornale. Mi riservo quindi di entrare nei dettagli delle varie pubblicazioni scientifiche scaricandole e leggendole con attenzione.

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