L’acido di Hitler

L’acido di Hitler

Sapevate che esiste l’acido di Hitler? Si tratta dell’acido ortocarbonico (H4CO4) la cui struttura assomiglia alla svastica nazista, da cui il nome (v. la figura a corredo di questa notizia).

Pare che calcoli computazionali abbiano permesso di ipotizzare la presenza di questo acido nel nucleo più interno di alcuni pianeti (Urano, nella fattispecie) come conseguenza di una reazione esotermica (ovvero che sviluppa calore) tra l’acqua e l’anidride carbonica quando la pressione cui le due molecole sono sottoposte arriva almeno a 314 GPa. Si legge 314 giga Pascal, ovvero una pressione che è circa 10000 volte più elevata della pressione atmosferica a livello del mare.

Lo studio condotto da ricercatori del Moscow Institute of Physics and Technology (MIPT) e del Skolkovo Institute of Science and Technology (Skoltech) apre nuove prospettive circa la chimica di molte molecole in condizioni estreme. L’acido ortocarbonico che è particolarmente instabile, risulta, infatti, stabile quando sottoposto alle alter pressioni.

I calcoli computazionali sono stati effettuati con un software che si chiama Universal Structure Predictor: Evolutionary Xtallography e consente di ipotizzare la presenza di molecole la cui esistenza è giudicata impossibile nelle condizioni di atmosfera e temperatura cui siamo abituati sulla Terra. In altre parole, lo scenario che si apre con l’uso del predetto software è molto intrigante perché ci permette di capire che la chimica che studiamo all’università può essere ben diversa rispetto a quella presente in altre regioni dello spazio profondo.

Per approfondire:

https://theanalyticalscientist.com/…/hitlers-acid-in-uranus/

http://www.universetoday.com/…/uranus-neptune-may-keep-hit…/

http://han.ess.sunysb.edu/uspex_manual/uspex_manual.pdf

Emergenza punteruolo rosso in Sicilia

Emergenza punteruolo rosso

Qualche anno fa si presentò in Sicilia (ed in tutto il nostro paese) un “simpatico” coleottero chiamato “punteruolo rosso” per il suo colore e per il fatto che ha un “corno” a forma di punteruolo sulla testa. Questo insetto, proveniente dall’Asia ed arrivato in Italia dal Nord Africa grazie all’importazione di piante infette, depone le uova nelle parti tenere delle palme (per esempio in prossimità di “ferite” delle piante o alla base delle foglie). Le larve, che hanno un apparato masticatorio molto sviluppato, scavano gallerie per arrivare nelle zone più interne delle palme e cibarsi della cellulosa lì presente. Il risultato finale è che le palme “muoiono”. Migliaia di palme in Sicilia e nel resto d’Italia sono state abbattute perché, una volta infettate, diventano poco stabili e rischiano di cadere provocando danni a cose e persone. Tante università in Italia sono state impegnate nella ricerca di rimedi efficaci per contrastare l’infestazione da punteruolo rosso. Anche l’Università degli Studi di Palermo è stata coinvolta nella lotta a questo coleottero. Da qualche tempo la lotta sembrava finita. Ed invece è notizia di qualche giorno che il punteruolo rosso si è adattato alle palme che in precedenza non prendeva in considerazione. Pare che una infestazione da punteruolo rosso stia distruggendo le palme nane nel territorio di Segesta. Si ripresenta, quindi, il problema di qualche anno fa. In Europa mancano i predatori naturali del coleottero, per cui il contrasto biologico sembra poco praticabile. Rimane l’attacco con insetticidi che, tuttavia, è particolarmente invasivo e può dare problemi anche all’uomo. La lotta e, di conseguenza, la ricerca continua e non si può fermare.

Per approfondire:

I batteri dal movimento fototattico

I batteri dal movimento fototattico

L’evoluzione è veramente affascinante. Consente di scoprire mondi nuovi tali da far rimanere a bocca aperta chiunque sia un minimo assetato di conoscenza. Esistono batteri che si sono evoluti in modo da avere un metabolismo che consente loro di sfruttare l’energia solare per andare verso la luce o allontanarsi da essa all’occorrenza. Lo studio del metabolismo di questi batteri pare abbia consentito l’elaborazione di minuscoli robot dal comportamento fototattico dalle potenzialità notevoli. Sembra, infatti, che questi “robottini” potranno essere utilizzati in campo medico per riparare in modo mirato, guidati dalla luce, le ferite nel corpo umano.

Il micro mondo immaginato da Asimov in uno dei suoi romanzi si sta realizzando

Per saperne di più:

https://www.sciencedaily.com/releas…/2016/…/161004105038.htm

The Higgs bison

The Higgs bison

Quanti di voi leggendo il titolo hanno pensato ad un errore di battitura? In effetti è noto il bosone di Higgs ed è ragionevole pensare che io mi metta a descrivere sulla mia pagina una cosa del genere. Ed invece no. Ritengo che il bosone di Higgs sia fin troppo inflazionato. Molto meglio parlare del bisonte di Higgs. Mi incuriosisce molto la storia evolutiva di un mammifero Europeo.

Qualche ora fa è apparso su Nature Communications un articolo in merito a indagini genetiche compiute su resti fossili. È emerso che i nostri progenitori dell’era glaciale conoscevano una tipologia di bisonte che per scherzo gli scienziati coinvolti nello studio hanno indicato come “Higgs bison”. Si tratta di un ibrido tra il progenitore estinto delle moderne vacche ed un bisonte che viveva circa 120000 anni fa nei prati ghiacciati tra l’Europa ed il Messico. Questo ibrido vissuto un po’ di tempo fa sembra essere il progenitore dei moderni bisonti che vivono protetti tra la Polonia e la Bielorussia. La conoscenza del suddetto ibrido da parte dei nostri progenitori sembra testimoniata da dipinti rupestri trovati sulle mura di diverse caverne in giro per l’Europa.

Per saperne di più

http://www.nature.com/articles/ncomms13158

Le ombre ed il principio di Archimede

Le ombre ed il principio di Archimede

Il principio di Archimede ci insegna che un corpo immerso in un liquido riceve una spinta verso l’alto con una forza che è pari al peso del volume di liquido spostato. Questo principio, che descrive la cosiddetta spinta idrostatica, è alla base del principio di funzionamento di barche, navi e sottomarini. Tuttavia, mentre è abbastanza evidente cosa accade con oggetti così pesanti, è meno noto come il principio di Archimede possa spiegare il fatto che gli insetti camminino sull’acqua. Per questo motivo un gruppo di ricercatori ha inventato un modo per “misurare” la spinta idrostatica degli insetti. Hanno proiettato le ombre degli insetti “camminatori” su un foglio bianco posto alla base di un acquario. Utilizzando delle opportune fotografie, hanno messo in relazione l’intensità delle ombre generate dalla deformazione della superficie dell’acqua da parte delle zampette con la quantità di acqua che viene rimossa grazie ai peli presenti sulle zampette stesse. I ricercatori hanno concluso che la spinta idrostatica che consente agli insetti di camminare sull’acqua è legata proprio all’acqua rimossa grazie a questi “peletti”. La comprensione di questo meccanismo può essere alla base per la costruzione di microbot in grado anche essi di camminare sull’acqua

Per saperne di più:

https://www.sciencedaily.com/releas…/2016/…/161019132924.htm

http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acs.langmuir.6b02922

Nuove frontiere della frode scientifica – I –

Nuove frontiere della frode scientifica

A quanto pare non si può abbassare la guardia. Esistono delle organizzazioni, pare in Cina, specializzate nella vendita di authorship positions, ovvero prendono soldi da scienziati (che io definirei pseudo scienziati) per inserire il loro nome tra gli autori di lavori a cui non hanno mai partecipato. Il prezzo varia in funzione del prestigio della rivista a cui il lavoro viene sottomesso.

Le frodi, che sembrano per ora soltanto nell’ambito delle neuroscienze, possono essere riconosciute in base ad alcuni segnali che, tuttavia, non sono esclusivi. Esempi sono lettere di accompagnamento scritte in un inglese approssimativo, indirizzi e-mail non istituzionali, indirizzi e-mail identici ripetuti per autori differenti. La notizia che mi sembra di una gravità inaudita è riportata in modo esaustivo al seguente link:

http://retractionwatch.com/…/seven-signs-a-paper-was-for-s…/

I fluidi non newtoniani

Devo dire che la chimica è estremamente affascinante. Si imparano cose sempre nuove, anche se uno le ha studiate da tempo e già le conosce. Si rimane sempre sorpresi dal comportamento dei materiali. Soprattutto di certi sistemi fluidi che vanno sotto il nome di “fluidi non Newtoniani”.

Se siete chimici o fisici sono sicuro che li ha già sentiti. Ma chi non lo è, magari li ha avuti tra le mani senza rendersi conto che aveva a che fare con qualcosa dalle proprietà particolari.

Un fluido non newtoniano è un un fluido la cui viscosità varia a seconda dello sforzo di taglio che viene applicato. Questo significa che la viscosità (quindi la consistenza) del fluido non newtoniano dipende dall’intensità della forza che viene applicata ad una certa velocità. Per il breve lasso di tempo in cui viene applicata la forza, il liquido non newtoniano varia il suo stato da liquido a solido e viceversa.

Perché si chiama “liquido o fluido non newtoniano”? Semplicemente perché secondo la fluidodinamica classica elaborata da sir Isaac, la viscosità di un liquido è indipendente dalla forza applicata, ovvero le proprietà dei liquidi sono isotropiche (uguali in tutte le direzioni). Invece, esistono liquidi le cui proprietà sono anisotropiche, ovvero cambiano a seconda della direzione presa in considerazione. Nel caso specifico, la viscosità cambia a seconda della direzione lungo cui è applicata una forza.

Tipici fluidi non newtoniani? Per esempio il polimero reticolato mostrato nella foto che accompagna questa Pillola. Si tratta di una sorta di plastica (chiamata slime) che cambia forma a seconda di come viene maneggiata. Anche il dentifricio è un fluido non newtoniano

Qui un po’ di links che fanno vedere:
1. lo slime: http://www.sweetpaulmag.com/cra…/professor-figgys-glow-slime
2. il comportamento di un fluido non newtoniano: https://www.youtube.com/watch?v=AiLQ8zjE_BA
3. una lezione facile sui fluidi non newtoniani: http://www.urai.it/ftp/app/viscosimetria/corso/corso.pdf
4. come sia possibile camminare sulle acque: https://youtu.be/f2XQ97XHjVw

La biodiversità

La biodiversità

Fin da quando Darwin ha posto le basi della teoria dell’evoluzione è apparso chiaro, ed è diventato progressivamente sempre più evidente sotto il profilo sperimentale, che tutti gli organismi viventi hanno avuto origine da un progenitore comune che oggi noi chiamiamo LUCA, ovvero “Last universal common ancestor”. LUCA altro non è che il famoso brodo primordiale nel quale si sono realizzate tutte le condizioni chimico fisiche per la formazione delle protocellule e lo sviluppo del metabolismo che caratterizza tutti gli esseri viventi.

Solo l’evoluzione, associata all’adattamento alle condizioni ambientali, dal progenitore comune riesce a spiegare la similitudine tra il nostro patrimonio genetico e quello di tanti altri organismi viventi. Per esempio, oltre il 98% di similitudine esiste tra il DNA umano e quello degli scimpanzé, oltre il 90% di affinità esiste tra il DNA umano e quello dei topi mentre oltre il 50% di somiglianza accomuna il nostro DNA a quello delle piante (potremmo dire che quando mangiamo verdura siamo cannibali per il 50%).

La differenziazione genetica avviene in modo casuale per effetto di errori imprevedibili durante i processi di replicazione del DNA. La moltitudine di organismi che viene così generata è fatta da individui che sotto la spinta della pressione ambientale possono soccombere oppure sopravvivere. In quest’ultimo caso, il patrimonio genetico viene trasmesso alle generazioni successive.

Nel corso di milioni di anni, la differenziazione genetica ha prodotto l’insieme di organismi viventi (dai microorganismi all’uomo) che oggi siamo abituati a conoscere. In definitiva, tutti noi siamo il prodotto di modificazioni genetiche (ovvero alterazioni imprevedibili del DNA) che ci consentono di occupare delle ben precise nicchie ecologiche nelle quali siamo in grado di sopravvivere.

Cosa è, allora, la biodiversità? Volendo semplificare il più possibile, la biodiversità siamo tutti noi esseri viventi che variamo in numerosità intra- ed Inter- specie. Nella biodiversità vanno inclusi anche i compartimenti ambientali con i quali interagiamo e che interagiscono tra loro.

Il suolo come compartimento ambientale ha caratteristiche chimico, fisiche e biologiche che variano a seconda delle condizioni nelle quali esso si sviluppa. La variabilità di queste caratteristiche rappresenta la biodiversità dei suoli che, per i chimici del suolo come me, sono in tutto e per tutto dei veri e propri esseri viventi

Per saperne di più

Cristian De Duve, Alle origini della vita, Bollati Boringheri, 2011 (http://www.bollatiboringhieri.it/scheda.php…)

http://ww2.unime.it/snchimambiente/GAIA.doc

Come è fatto e come si ottiene l’olio di palma

Come è fatto e come si ottiene l’olio di palma

L’olio di palma è ottenuto dai frutti delle palme da olio che si presentano a grappoli. Questi frutti vengono raccolti e poi sottoposti all’azione del vapore in modo da disattivare la lipasi (1) e separare la polpa dai semi. La polpa così ottenuta viene pressata e l’olio opportunamente recuperato. L’olio ottenuto dalla pressatura della polpa viene chiarificato (2) per centrifugazione, quindi lavato con acqua calda e poi seccato. Il prodotto così ottenuto contiene un elevato ammontare di beta-carotene ed il suo colore varia dal giallo scuro al rosso. Durante la raffinazione (3) il colore giallo/rosso dell’olio di palma viene perso ed il prodotto finale si presenta di un colore giallo chiaro.
La composizione percentuale media in acidi grassi (4) dell’olio di palma è:

14:0 – 1%
16:0 – 43.8%
16:1 – 0.5%
18:0 – 5%
18:1 (9) – 39%
18:2 (9, 12) – 10%
18:3 (9, 12, 15) – 0.2%
20:0 – 0.5%

Come si evince dalla tabella, l’olio di palma è, per lo più, costituito da acidi grassi saturi e contiene un acido grasso monoinsaturo a 18 atomi di carbonio in quantità vicine al 40% in peso del totale.

L’olio di palma fa male? non più di tanti altri oli alimentari. Come per ogni alimento, è la dose che fa il veleno. Un consumo oculato di olio di palma (negli alimenti che lo contengono) non comporta assolutamente nulla, esattamente come un consumo oculato di un qualsiasi altro tipo di olio.

E la Nutella che contiene olio di palma? La Nutella fa male solo se ne viene ingurgitata una quantità notevole. Ma non è l’olio di palma a creare problemi quanto, piuttosto, l’elevato contenuto in zuccheri che può sfociare nel diabete

Note
(1) Lipasi – si tratta di un enzima che ha la funzione di degradare gli acidi grassi
(2) La chiarificazione di un olio consiste nella separazione dall’olio di tutte quelle componenti che ne possono compromettere la qualità nel corso del tempo. In altre parole vengono allontanate le sostanze che possono favorire fenomeni di ossidazione, idrolisi e fermentazione
(3) La raffinazione di un olio viene effettuata ogni qual volta esso non viene ottenuto attraverso la semplice spremitura dei semi (come nel caso dell’olio extra vergine di oliva). Questa procedura consiste nell’allontanamento di sostanze che possono essere pericolose o alterare il sapore del prodotto. Per esempio la raffinazione degli oli, in generale, serve per la rimozione della lecitina, degli acidi grassi liberi, per la decolorazione, il degommaggio e la rimozione di odori sgradevoli
(4) Un acido grasso viene indicato con due numeri separati dal segno “:” come per esempio x:y. Il primo numero (la x) indica il numero di atomi di carbonio; il secondo numero, la y, indica quanti doppi legami ci sono. Se y=0 si ha un acido grasso saturo. Se y è diverso da zero si ha un acido grasso insaturo, ovvero con uno o più doppi legami. Se è necessario individuare la posizione del doppio legame, la coppia di numeri viene fatta seguire da un numero tra parentesi tonda che indica l’atomo di carbonio dove si trova il doppio legame. Per esempio, 18:2 (9, 12) sta ad indicare un acido grasso a 18 atomi di carbonio con due doppi legami, uno in posizione 9 e l’altro in posizione 12.

Per saperne di più:

Belitz, Grosch e Schieberle Food Chemistry, Springer (2009)

Olio di palma, qualche precisazione in più

Fortuna o bravura? osservazioni inusuali sul metodo scientifico.

Fortuna o bravura?

Si sa come funziona il metodo scientifico. Si osserva un fenomeno; si fanno delle ipotesi; si eseguono esperimenti; se l’ipotesi è verificata, si rifanno esperimenti cercando di invalidare le ipotesi fatte; se l’ipotesi non viene falsificata, allora può essere considerata come un utile modello della realtà, fino a quando un nuovo modello più completo non sostituisca quello vecchio.

Una parte importante di tutto questo è la pubblicazione dei risultati. Uno studioso che segue il metodo scientifico, ad un certo punto della sua attività, mette assieme quello che ha fatto in uno scritto (una volta si chiamava manoscritto) e lo sottopone all’attenzione della comunità internazionale di riferimento. L’intento è l’avanzamento delle conoscenze, ovvero mettere a disposizione i propri risultati in modo tale che chiunque voglia possa riprodurre gli stessi risultati, formulare nuove ipotesi e sostituire il vecchio modello.

Quanto di ciò che viene pubblicato e diventa noto al grande pubblico è dovuto a reale bravura dello studioso e quanto a pura fortuna? Oggi uno studio “scientifico” ce lo dice. Science, nella sezione News [1], riporta che è vero che uno studioso deve avere una grande preparazione per poter affrontare un problema più o meno complesso, ma è anche vero che la “comunicazione” gioca un ruolo importante. Non basta essere bravi, ma bisogna anche saper comunicare quello che si fa. Bastano bravura e comunicatività? No. Serve anche la fortuna. Devo dire che non mi aspetavo di veder sdoganato il fattore “C” [2] sotto l’aspetto scientifico…Va bene…diciamo sotto l’aspetto statistico che è meglio. In ogni caso l’articolo nelle News di Science è abbastanza divertente. Ne raccomando la lettura 🙂

Riferimenti:

[1] http://www.sciencemag.org/…/hey-scientists-how-much-your-pu…

[2] fattore “C”. C’è bisogno di definirlo? 😀

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