Nel 2009 sono entrato nel mondo dei social network e da allora ho conosciuto tante persone, molte odiose, tante antipatiche, ma moltissime interessantissime oltre che simpaticissime. E’ questo il caso di Lele Pescia, Ivo Ortelli e La Iena Ridens che mi hanno ospitato nella loro trasmissione “Neandhertal Pride” a parlare di omeopatia.
Chi mi segue sa che mi sono interessato di questa pseudoscienza che fa tanti proseliti nel mondo. Se siete curiosi, qui trovate il link a quanto ho già scritto.
In realtà, siamo partiti dall’omeopatia per affrontare problematiche anche di carattere più generale.
Se avete perso la diretta e se siete interessati ad ascoltare la mia voce, cliccate qui sotto e vi si apriranno le porte del mio intervento di ieri in Neandhertal Pride
Vi ricordate di quando vi ho descritto il fuoco greco? No!? Beh, era a questo link. Si trattava di una miscela di composti chimici in grado di bruciare anche nell’acqua. Devo dire che la chimica della combustione è molto affascinante, soprattutto se questa innesca una serie di reazioni spettacolari come quelle che si osservano alla mezzanotte di ogni fine di anno con i famosi botti di capodanno.
Cerchiamo di capire cosa accade a livello chimico fisico quando giochi pirotecnici come quelli nel filmato qui sotto (che si riferisce ai fuochi della festa di Santa Rosalia a Palermo nel 2016) ci meravigliano per il loro effetto scenico.
I saggi alla fiamma
Dovete sapere che gli studenti di chimica al primo anno (almeno ai miei tempi. Oggi non so più come sono i programmi delle ex facoltà di Chimica) studiano i saggi alla fiamma. In soldoni, si tratta di indagini che ci consentono di identificare gli elementi chimici nelle miscele attraverso il riconoscimento di certi colori caratteristici.
Andiamo con ordine.
Quando il metallo contenuto in un sale disciolto in una soluzione acida viene posto ad alta temperatura sulla fiamma di un becco Bunsen (cosa sia e come si usa, lo potete vedere nel simpatico filmato qui sotto), subisce una transizione elettronica, ovvero i suoi elettroni passano da un livello energetico fondamentale ad uno eccitato. Quando gli elettroni ritornano nello stato fondamentale, emettono dei fotoni a delle lunghezze d’onda caratteristiche che noi riconosciamo come colori.
Ogni elemento chimico è in grado di colorare la fiamma del becco Bunsen in modo caratteristico. In Figura 1 si vede come il rame sia in grado di produrre una fiamma verde, il sodio giallo-arancio molto intenso, lo stronzio rosso vivo et che etc.
Figura 1. Colori caratteristici di alcuni elementi della tavola periodica (Fonte)
I giochi pirotecnici
Cosa c’entrano i saggi alla fiamma con i giochi pirotecnici? Beh, prendiamo in considerazione la polvere da sparo. Si tratta di una miscela contenente: carbone (C), nitrato di potassio (KNO3) e zolfo (S). Per effetto dell’innesco della combustione, i composti anzidetti reagiscono in un processo esotermico portando alla formazione di carbonato di potassio (K2CO3), solfato di potassio (K2SO4), solfuro di potassio (K2S), carbonato di ammonio ((NH4)2CO3), oltre a un insieme di gas tra cui anidride carbonica (CO2), azoto molecolare (N2), idrogeno molecolare (H2), acqua (H2O), acido solfidrico (H2S) e metano (CH4),
Se la polvere da sparo viene compressa in un volume piccolo, per esempio un tubo, la reazione di combustione non produce solo calore. Infatti, la rapida espansione dei gas anzidetti produce anche un forte rumore che noi siamo abituati a chiamare “botto”. Se la polvere da sparo viene miscelata con i sali di metalli quali il titanio, il calcio, il litio, l’antimonio, il sodio, il rame, il bario etc. all’esplosione, dovuta alla rapida espansione dei gas, si associa anche una colorazione dovuta al fatto che, grazie alle alte temperature raggiunte durante la reazione, i metalli anzidetti emettono luce che noi percepiamo con i tipici colori illustrati nel paragrafo sui saggi alla fiamma.
Nelle mie lezioni di chimica del suolo c’è una parte del programma che riguarda la chimica dei colloidi. Ogni anno accademico, quando descrivo i colloidi del suolo, alleggerisco la lezione facendo esempi di sistemi colloidali nella vita di tutti i giorni discutendo, tra le altre cose, della schiuma del cappuccino.
Ma andiamo con ordine.
Cos’è un sistema colloidale?
Un sistema colloidale si definisce tale solo in base alle dimensioni delle particelle di soluto che lo costituiscono. Qui sotto una tabella in cui si riportano le dimensioni delle particelle di soluto che ci consentono di distinguere tra soluzioni vere, dispersioni colloidali e sospensioni solide
Sistemi chimici Dimensioni delle particelle di soluto
Soluzioni vere < 2 x 10-9 m (ovvero < 2 nm)
Dispersioni colloidali tra 2 x 10-9 e 2 x 10-6 m (cioè tra 2 nm e 2 μm)
Sospensioni solide > 2 x 10-6 m (ovvero > 2 μm)
Un sistema colloidale può essere del tipo liquido-solido (come, per esempio, nel caso della soluzione suolo in cui i minerali argillosi, delle dimensioni indicate in tabella, sono disperse nell’acqua dei suoli), liquido-liquido (come, per esempio, nel caso delle microgoccioline di olio disperse in acqua o della maionese), gas-liquido (come, per esempio, nel caso della panna montata, dei gelati o del cappuccino, di cui si dirà fra poco) e gas-gas (come, per esempio, nel caso della dispersione di microgocce di acqua in aria così da costituire la nebbia).
Per convenzione si ritiene che una dispersione colloidale sia stabile quando il tempo di flocculazione è > 2 h, ovvero se ci vogliono più di due ore prima che cominci la flocculazione. Quest’ultima consiste nel processo di aggregazione delle diverse particelle colloidali che, dopo il raggiungimento di certe dimensioni limite, risentono più della forza di gravità che delle forze di dispersione. Nel caso di particelle colloidali cariche elettricamente, le forze di dispersione sono le repulsioni elettrostatiche e le dispersioni vengono indicate come elettrocratiche. Nel caso di soluti neutri, le forze di dispersione dipendono dalle interazioni soluto-solvente e le dispersioni vengono indicate come solventocratiche.
La schiuma del cappuccino
Alla luce delle poche cose scritte, si evince che la schiuma del cappuccino è una dispersione colloidale di un gas in un liquido. Il liquido è il latte usato per il cappuccino, mentre il gas è costituito dall’aria e dal vapor d’acqua usati per montare il latte. Le goccioline di aria possono formare una dispersione colloidale nel latte grazie alla presenza in esso di surfattanti1, ovvero di molecole in grado di abbassare la tensione superficiale2 del liquido in cui esse sono presenti. La caratteristica chimica più importante dei surfattanti è l’anfifilicità, ovvero la presenza nella struttura sia di gruppi idrofili che di gruppi idrofobi. Nel latte queste molecole sono le proteine (di cui le caseine rappresentano l’80% del totale proteico) ed i fosfolipidi (che mediamente sono lo 0.8% della massa grassa).
Quando il latte viene insufflato col vapore acqueo mediante l’utilizzo di una tipica macchina da bar (Figura 1), si forma una schiuma in cui goccioline di gas delle dimensioni comprese tra 2 nm e 2 μm sono disperse nel mezzo liquido.
Figura 1. Macchina da caffè per bar. In fondo a destra c’è il cannello usato per insufflare aria e vapore acqueo nel latte per la preparazione del cappuccino (Fonte)
La stabilità di questa schiuma dipende dalla concentrazione relativa di surfattanti. Più essa è elevata, più la schiuma è stabile, ovvero le goccioline di gas non si uniscono a formare gocce più grandiche si allontanano dalla bevanda3. È per questo motivo che più è bassa la concentrazione di grassi come i trigliceridi che non sono surfattanti e rappresentano circa il 90% della massa grassa del latte, e più persistente è la schiuma o “cappuccio” del caffé. Tuttavia, l’uso del latte scremato o parzialmente scremato produce un cappuccino non molto gustoso; è meglio usare un latte intero per avere una bevanda migliore in termini di sapore, sebbene con una schiuma meno persistente.
È importante la temperatura del latte?
Chi ha familiarità con la chimica, come i miei studenti, avrà sicuramente sentito dire che la solubilità di un gas in un liquido dipende sia dalla pressione esercitata dal gas sulla superficie del liquido che dalla temperatura.
Più alta è la pressione del gas sulla superficie del liquido, maggiore è la quantità di gas disciolta (Figura 2).
Figura 2. Più alta è la pressione del gas sulla superficie del liquido, maggiore è la quantità di gas disciolta in soluzione (Fonte)
All’aumentare della temperatura la quantità di gas disciolto in un liquido diminuisce (Figura 3).
Figura 3. Dipendenza della solubilità di un gas dalla temperatura (Fonte)
Alla luce di quanto appena scritto, appare chiaro che per avere una schiuma consistente per il cappuccino occorre sciogliere quanto più gas possibile. Questo si può realizzare se il latte viene preso direttamente dal frigorifero e se il bricco entro cui si prepara la schiuma è freddo.
Quanto appena scritto è la lezione di chimica del cappuccino che faccio ad ogni barista nuovo che si mette dietro al bancone nel bar di fronte al mio dipartimento. Lo so, sembro arrogante, ma ci tengo a bere un buon cappuccino la mattina. Il latte e caffè me lo faccio da solo a casa e non ho bisogno del bar per questo. Buon cappuccino a tutti
Note
Per quei chimici che hanno il vezzo del purismo della lingua italiana: il termine “surfattante”, anche se non piace, esiste nel dizionario di italiano ed è sinonimo di “tensioattivo”. Esso è entrato nell’uso comune e non è più da considerarsi errore o cattiva traduzione dell’inglese surfactant che è l’acronimo di surface active agent. (Surfattante nel dizionario Treccani)
La locuzione “tensione superficiale” si riferisce alle forze di coesione che, all’interfaccia liquido-gas, tengono unite le molecole del liquido alla superficie del liquido stesso. In termini quantitativi, la tensione superficiale è la forza necessaria a tener uniti i lembi di un ipotetico taglio fatto sulla superficie del liquido. All’aumentare della temperatura, le forze di coesione che tengono unite le molecole alla superficie del liquido diminuiscono di intensità e la tensione superficiale diminuisce.
Le microparticelle di soluto tendono ad unirsi ed a formare aggregati a dimensione progressivamente maggiore per diminuire l’area superficiale a contatto col mezzo liquido in cui esse sono insolubili. Per questo motivo, nel tempo, tutte le dispersioni colloidali tendono a subire una separazione di fase: le emulsioni olio-acqua tendono a formare una fase acquosa sul fondo ed una fase organica sulla superficie; la maionese tende a formare uno strato di olio superficiale per effetto della separazione di quest’ultimo dalla fase acquosa; le sostanze umiche (acidi umici, fulvici ed umina) tendono ad aggregarsi ed a flocculare; etc etc.
Quante volte ho letto che un certo lavoro non è attendibile perché pubblicato su una rivista poco importante o su una rivista che viene considerata predatoria?
Certo. E’ importante che i risultati del proprio lavoro vengano accettati da una rivista che sia significativa per la comunità scientifica di riferimento. E’, altresì, importante che i risultati di una ricerca vengano pubblicati il più velocemente possibile perché la competizione tra gruppi di ricerca è talmente elevata che basta un niente per perdere la primogenitura su una determinata scoperta scientifica. E’ per questo che nascono archivi come arXiv che consentono di archiviare i risultati di una ricerca prima ancora che essi vengano pubblicati. Il limite di questi archivi è che il lavoro lì depositato non necessariamente può vedere la luce. Può accadere che rimanga lettera morta e che, di conseguenza, di esso rimanga traccia solo su quel data base. Non tutto quanto presente negli archivi digitali che attestano della primogenitura di un dato modello, è da prendere in considerazione perché non tutto quanto ha passato il vaglio della comunità scientifica di riferimento.
“Passare il vaglio della comunità scientifica di riferimento” non significa che un dato modello viene accettato perché rispecchia il modo di pensare in auge in quel momento; questa locuzione vuol dire che quando un lavoro arriva nelle mani di referenti/revisori anonimi, questi verificano la congruità delle ipotesi formulate con il disegno sperimentale e la congruità dei risultati ottenuti con le conclusioni che sono state tratte. Non è possibile per i referenti/revisori riprodurre esattamente gli stessi esperimenti di cui leggono, perché questi ultimi richiedono finanziamenti ad hoc e strumentazioni che non tutti i laboratori possono avere a disposizione. Inoltre, riprodurre gli esperimenti significa per i referenti/revisori cambiare lavoro, ovvero dedicarsi ad altro e non alla ricerca che hanno deciso di portare avanti.
Prendete me, per esempio. Solo per il 2017 (ed Ottobre è appena iniziato) ho fatto da referente/revisore per 15 lavori ed almeno altrettanti ho rifiutato di giudicare per mancanza di tempo. Se volessi mettermi a fare tutti gli esperimenti dei lavori che ho giudicato, non avrei tempo per portare avanti le mie ricerche e la mia didattica. Quello che faccio è, quindi, cercare di capire quanto ho appena scritto: verifico la congruità delle ipotesi formulate con il disegno sperimentale e la congruità dei risultati ottenuti con le conclusioni che sono state tratte
Ma veniamo al punto.
Più volte ho evidenziato che non il contenitore (la rivista), bensì il contenuto (ovvero i risultati della ricerca) è importante perché un modello scientifico possa essere considerato valido (per esempio qui).
La storia della scienza è piena di esempi di contenuti dall’importanza notevole, in termini di progressione delle conoscenze, ma pubblicati in contenitori poco noti; ma è anche piena di esempi di contenuti di nessuna o scarsa importanza presenti in contenitori molto prestigiosi.
Volete qualche esempio?
Cosa dire del lavoro di Benveniste sulla memoria dell’acqua pubblicato su Nature e sconfessato dagli stessi editor ad un approfondimento successivo? Ne ho parlato qui. E del lavoro di Wakefield in merito all’inesistente correlazione vaccino-autismo vogliamo parlare? E’ stato pubblicato, e poi ritirato, dalla prestigiosissima rivista The Lancet. Ne ho discusso qui.
Recentemente mi è capitato di leggere un breve articolo su www.sciencealert.com in cui è stata ripercorsa la storia di otto lavori che descrivono scoperte scientifiche che sono valse il premio Nobel agli autori.
Sapevate, per esempio, che Nature, nel 1933, ha rifiutato il lavoro di Enrico Fermi in merito alle interazioni deboli poi pubblicato nel 1934 su una rivista molto meno prestigiosa dal nome “Zeitschrift für Physik” oggi scomparsa? L’articolo in questione è qui (in tedesco).
Anche la scoperta di un meccanismo importantissimo in ambito biochimico ed alla base della vita, non è stato pubblicato da Nature perché in quel momento la rivista era fin troppo satura di lavori da pubblicare ed avrebbe dovuto posporre la pubblicazione di tale scoperta a tempi migliori (Figura 1). Mi riferisco al lavoro fondamentale di Hans Adolf Krebs che nel 1953 ha ricevuto l’ambito riconoscimento per aver scoperto il ciclo dell’acido citrico.
Figura 1. La lettera con cui l’editor di Nature chiede a Krebs se è disponibile a ritardare la pubblicazione del suo lavoro (Fonte)
Il lavoro fu poi inviato ad una rivista meno prestigiosa (Enzymologia) che lo pubblicò nel 1937 (qui). Se volete leggere il lavoro originale, lo potete scaricare da qui.
Chi mi conosce sa che nella mia attività di ricerca mi interesso delle applicazioni in campo ambientale delle tecniche di risonanza magnetica nucleare. Tra i miei idoli c’è sicuramente Richard Ernst che nel 1991 ha vinto il premio Nobel per il suo contributo allo sviluppo della tecnica NMR. Ernst ha applicato la trasformata di Fourier ai decadimenti che descrivono il comportamento ad oscillatore smorzato della magnetizzazione nucleare, generata dall’applicazione di campi magnetici aventi certe intensità, stimolata da radiazioni elettromagnetiche aventi lunghezza d’onda nel campo delle radiofrequenze. Lo so ho parlato difficile. In altre parole, Ermst ha capito che poteva trasformare qualcosa di incomprensibile come quanto indicato in Figura 2:
Figura 2. Decadimento della magnetizzazione nucleare
in qualcosa di più facilmente leggibile come lo spettro di Figura 3:
Figura 3. Spettro NMR in fase solida dell’alcol coniferilico (precursore delle sostanze umiche). Ogni segnale dello spettro è attribuito in modo univoco ad ogni singolo atomo di carbonio
Il lavoro che descrive la scoperta di Ernst fu rifiutato dal Journal of Chemical Physics e fu pubblicato sul meno prestigioso Review of Scientific Instruments. Il lavoro di Ernst è qui. Invece, a questo link trovate la lezione che Ernst ha fatto all’Accademia delle Scienze quando ha ricevuto il premio.
Conclusioni
La storia della scienza ci insegna che non dobbiamo tener conto del prestigio di un giornale. Ciò che importa è il valore del contenuto di un rapporto scientifico. Un lavoro è ottimo sia che venga pubblicato su una rivista altamente impattata, sia che venga pubblicato su una rivista sconosciuta. Un lavoro è sciocchezza sia che venga pubblicato su Nature o che venga accettato per la pubblicazione sulla rivista del vicinato. Gli addetti ai lavori, coloro che guardano ai contenuti piuttosto che alla copertina, lo sanno ed è per questo che leggono di tutto. La grande idea, quella che può essere alla base della rivoluzione scientifica, si può nascondere anche tra le righe di un lavoro pubblicato su una rivista sconosciuta.
Quante volte abbiamo letto o sentito parlare di “idrocarburi policiclici aromatici”? Talvolta la locuzione viene indicata con gli acronimi PAH (da Polyciclic Aromatic Hydrocarbons) oppure IPA (da Idrocarburi Policiclici Aromatici). Si tratta di una classe di composti chimici che si ottiene per pirolisi (ovvero decomposizione termica in assenza o scarsità di ossigeno) di sostanza organica. Tanto per capirci: il fumo di sigaretta contiene gli IPA. Le sigarette, infatti, sono fatte da sostanza organica (la carta, il tabacco, i filtri) che quando sottoposta alle alte temperature prima subisce il processo di combustione con formazione di ceneri, anidride carbonica ed acqua, poi, man mano che il comburente (ovvero l’ossigeno) si allontana, subisce pirolisi con formazione di IPA.
In questa breve nota voglio puntare l’attenzione sulle caratteristiche strutturali degli idrocarburi policiclici aromatici e la loro tossicità.
1. Le premesse: significato di isomeria, formula chimica e struttura
1.1. Isomeria
“Isomeria” è una proprietà in base alla quale due o più composti chimici, pur avendo la stessa formula bruta, hanno differente struttura e, per questo, differenti proprietà chimico-fisiche.
1.2. Formula bruta, formula empirica e formula molecolare
La locuzione “formula bruta” si può riferire o alla formula empirica con la quale si descrive semplicemente il rapporto tra i diversi atomi che partecipano alla formazione di un composto chimico, oppure alla formula molecolare, in cui si indicano esattamente quanti atomi formano il composto in esame.
L’esempio più semplice per distinguere tra formula empirica e formula molecolare è quello dell’acqua ossigenata. La formula empirica dell’acqua ossigenata è HO, grazie alla quale si evidenzia che questo composto è fatto da idrogeno ed ossigeno nel rapporto 1:1; la formula molecolare dell’acqua ossigenata è H2O2 nella quale si evidenzia che due atomi di ossigeno sono combinati con due atomi di ossigeno.
1.3. La struttura chimica
La struttura di un composto chimico descrive il modo con cui i diversi atomi che lo compongono si dispongono nello spazio. La Figura 1 mostra, come esempi, le diverse tipologie di formule di struttura dell’acqua ossigenata.
In alto a sinistra c’è la formula molecolare dell’acqua ossigenata; in basso a sinistra c’è la formula di struttura “ball-and-stick” della stessa molecola (gli atomi in bianco sono l’idrogeno; gli atomi in rosso, l’ossigeno); in alto a destra la struttura dell’acqua ossigenata è rappresentata con il modello “space-filling“, ovvero ogni atomo è rappresentato da una sfera con il codice colore avente lo stesso significato già illustrato; in basso a destra l’acqua ossigenata è rappresentata con un modello a linee e lettere in cui le prime indicano i legami tra gli atomi rappresentati col proprio simbolo chimico.
2. Le caratteristiche degli IPA
2.1. Struttura chimica e proprietà chimico fisiche degli IPA
La Figura 2 mostra la struttura di due idrocarburi policiclici aromatici molto comuni. Si tratta di antracene e fenantrene. Entrambi hanno formula molecolare C14H10 ma formula di struttura differente. Si tratta quindi di isomeri. Per effetto della differente disposizione spaziale degli atomi di carbonio ed idrogeno, i due idrocarburi hanno proprietà chimico fisiche differenti.
Figura 2. Strutture di antracene e fenantrene
Per esempio, la temperatura di fusione alla pressione atmosferica (ovvero la temperatura alla quale la fase solida di un composto chimico è in equilibrio con la sua fase liquida) di antracene e fenantrene è:
In altre parole, mentre l’antracene diventa un liquido alla temperatura di 216°C, il fenantrene diventa liquido ad una temperatura molto più bassa (94°C). Questa differenza si spiega perché le molecole di antracene e fenantrene interagiscono rispettivamente con altre molecole di antracene e fenantrene attraverso interazioni deboli chiamate interazioni di Van der Waals. La struttura “non-ripiegata” dell’antracene consente un impaccamento migliore (e, quindi, interazioni più forti) rispetto a quella “ripiegata” del fenantrene. La conseguenza è che occorre una temperatura più alta (più energia termica) per liquefare l’antracene rispetto al fenantrene.
La differente disposizione spaziale degli atomi di carbonio ed idrogeno è responsabile anche della differente solubilità in acqua di antracene e fenantrene. Infatti, l’antracene ha solubilità pari a 3.7×10-4 mol/L, mentre il fenantrene pari a 7.2×10-3 mol/L. In altre parole, il fenantrene è circa 20 volte più solubile in acqua rispetto all’antracene. Dal momento che”il simile scioglie il simile“, si potrebbe argomentare che il fenantrene è più simile all’acqua rispetto all’antracene. Questa maggiore similarità è dovuta al fatto che la geometria “ripiegata” del fenantrene conferisce a quest’ultimo una maggiore polarità rispetto all’antracene col risultato di una migliore solubilità in acqua.
2.2. Struttura chimica e carcinogenicità degli IPA
All’aumentare del numero di anelli aromatici condensati (ovvero all’aumentare della complessità strutturale degli IPA) aumenta anche la carcinogenicità di questi composti ( a pagina 35 del documento a questo link, si riporta la carcinogenicità dei diversi IPA).
Più elevato è il peso molecolare degli IPA, più diminuisce la loro aromaticità e maggiore risulta la loro reattività. In particolare, gli IPA tendono a dare reazioni di epossidazione (ovvero reagiscono con l’ossigeno per formare sistemi triciclici altamente reattivi) che poi modificano la struttura a doppia elica del DNA portando a problemi nei processi di replicazione e conseguente insorgenza di tumori.
La Figura 3 mostra la reazione di epossidazione del benzo[a]pireneche produce prima un sistema eposiddico nelle posizioni 7, 8 (reazione in alto in Figura 3), seguita poi da apertura di anello (reazione centrale in Figura 3) ed ulteriore epossidazione (reazione in basso in Figura 3).
Figura 3. Reazione di epossidazione del benzo[a]pirene Il diolo epossidico (ovvero la molecola in basso a destra di Figura 3) è il diretto responsabile delle alterazioni strutturali del DNA. Infatti, esso può reagire con il gruppo amminico di una base nucleotidica con formazione di un legame covalente stabile che altera la doppia elica e, impedendo la corretta replicazione del DNA, porta al comportamento “impazzito” delle cellule (Figura 4).
Figura 4. Alterazione della struttura a doppia elica del DNA per effetto della reazione con il derivato diolo epossidico del benzo[a]pirene
3. Conclusioni
Questa breve disanima sugli idrocarburi policiclici aromatici è una sintesi di una delle mie lezioni di chimica del suolo. Gli incendi boschivi sono causa di immissione in atmosfera di questi contaminanti, esattamente come l’uso delle sigarette, o la cottura spinta dei prodotti alimentari (per esempio la carne o la pizza). Quando in atmosfera, questi composti (non solo quelli descritti in questa breve nota ma un insieme complesso di essi come per esempio quelli mostrati nell’immagine di copertina) possono finire nei nostri polmoni ed innescare i processi carcinogenici descritti. Certo non tutti gli individui sono soggetti a tumore. L’insorgenza dei tumori dipende non solo dalle condizioni ambientali, ma anche dalla predisposizione genetica. Questo vuol dire che “mia nonna ha sempre fumato 3 pacchetti di sigarette al giorno ed è arrivata a 90 anni” non ha alcun significato scientifico. Vuol dire solo che giocando alla roulette russa, “la nonna” è stata fortunata ed è sfuggita alla morte solo per una serie di circostanze fortuite tra cui la sua predisposizione genetica. Altri possono non essere ugualmente fortunati e subire insorgenza di tumori anche solo per aver inspirato il fumo passivo della nonna o le polveri sottili (contenenti IPA) normalmente presenti nell’atmosfera delle grandi città e dovute al traffico automobilistico.
Avete mai visto figure geometriche come quelle rappresentate in Figura 1 che vengono chiamate figure di Chladni? Belle, vero? Sapete quante volte mi sono trovato a leggere in rete delle elucubrazioni mentali (per non chiamarle in altro modo) in merito all’origine di queste figure? Addirittura c’è chi dice che sono delle rappresentazioni fisiche degli orbitali (SIC!).
Ma andiamo con ordine
Gli effetti scenografici delle figure di cui mi accingo a parlare sono oggetto di una particolare branca della pseudoscienza che va sotto il nome di cimatica. La cimatica nasce piuttosto recentemente. Nel 1967 un tale Hans Jenny, affascinato dagli esperimenti di Chladni del 1787 in merito alla propagazione delle onde nei mezzi solidi, trae delle conclusioni abbastanza arbitrarie sulla natura delle figure geometriche riportate in Figura 1 e chiamate “figure di Chladni” in onore di colui che per primo le ha studiate. Per non andare troppo per le lunghe, Jenny asseriva che le vibrazioni di tutti i materiali (fino ad arrivare alle vibrazioni atomiche) sono in grado di modellare la materia. In pratica, le frequenze delle vibrazioni sono responsabili delle forme materiali che noi conosciamo. Anche le cellule sono soggette a specifiche vibrazioni con determinate frequenze a seconda delle quali predomina una forma animale piuttosto che un’altra. Da qui è facile lo sviluppo di tutta una serie di pseudo teorie sulle vibrazioni energetiche che determinerebbero l’origine delle malattie o, in generale, dello stato di salute degli organismi viventi (un esempio di queste pseudo teorie è riportato qui e qui).
Figura 1. Esempi di figure di Chladni
Come stanno davvero le cose?
La storia completa è che Jenny era un medico, non un fisico. Evidentemente le sue conoscenze di fisica elementare erano piuttosto povere. Inoltre, era anche un seguace delle pseudo teorie scientifiche di un tal Rudolf Steiner vissuto a cavallo tra il XIX ed il XX secolo ed autore delle teorie sull’agricoltura biodinamica di cui mi riservo di dare informazioni in un nuovo post.
Le “figure di Chladni” sono generate dal processo di vibrazione di una placca metallica su cui è disposta della sabbia. Immaginate la lastra in due sole dimensioni come nella Figura 2 (l’esempio in due dimensioni è quello della corda vibrante. Quando si pensa alla piastra metallica, si passa alle tre dimensioni).
Figura 2. Propagazione di un’onda in una corda vibrante (fonte: Wikipedia)
Se fate vibrare la lastra tra i punti 0 e 1 otterrete un’onda con una certa frequenza. Se disponete la sabbia sulla lastra, questa andrà a cadere nei punti di minima ampiezza dell’onda che sono i nodi indicati con 0 e 1 nella rappresentazione più in alto. Se bloccate la lastra a metà, ovvero mettete un dito proprio in mezzo, l’oscillazione cambia frequenza e la sabbia si disporrà nei tre nodi: i due agli estremi e quello centrale. Se provate ad inserire due altri nodi dividendo la lastra in tre, la sabbia si disporrà lungo tutti i nodi e così via di seguito. Più elevato è il numero di nodi, più complesse saranno le figure geometriche generate dalla sabbia che si dispone in queste zone in cui l’ampiezza dell’onda è nulla.
Note conclusive
La cimatica con tutte le sue teorie è una vera e propria scemenza. Non c’è nulla di sovrannaturale o di esoterico nella disposizione della sabbia su una lastra soggetta a vibrazioni a diversa intensità. Di certo le vibrazioni non hanno alcuna capacità di modellare la materia o di influenzare lo stato di salute degli individui.
A questo link un bell’esperimento che mostra le figure di Chladni: https://www.youtube.com/watch?v=1ya… (avvertenza: abbassate il volume delle cuffie o degli altoparlanti. I suoni che sentirete possono essere molto fastidiosi)
Avete mai sentito un aereo superare la barriera del suono? Si sente un rumore assordante ed intorno all’aereo si forma una nuvola come quella che vedete nella foto di copertina. Volete avere un’idea sonora e visiva di quello che accade? Potete vedere il video qui sotto preso da YouTube.
Fin dal tempo delle scuole elementari ci insegnano che la velocità con cui si propaga il suono nell’aria è di circa 300 m/s. Ciò che impariamo alle superiori o nei corsi di Fisica I all’università è che il suono si propaga a velocità differenti a seconda del mezzo e della temperatura.
La tabella qui sotto mostra le diverse velocità con cui il suono si propaga nei mezzi più disparati:
Ma perché si sente il “bang” quando un aereo supera la velocità del suono? E perché si forma quella nuvola?
È tutta questione di aria e di umidità.
Un aereo è in grado di volare grazie alla forza che l’aria esercita sulle sue ali. L’aria ha una ben precisa composizione chimica, ovvero circa 79% di azoto, circa 20% di ossigeno e circa 1% di altri gas come argon, anidride carbonica, acqua, metano etc etc. In realtà non è importante la composizione chimica dell’aria; ciò che importa è il fatto che essa sia un fluido nel quale “galleggia” l’aereo ed è il mezzo grazie al quale siamo in grado di sentire i suoni.
Le vibrazioni generate da una sorgente sonora (le nostre corde vocali, le corde di un violino, un motore in moto etc etc) si trasmettono alle molecole che compongono l’aria che sono, così, soggette a compressione. In altre parole, una sorgente sonora sposta le molecole di aria ad essa più vicine. Queste ultime a loro volta urtano e spostano le molecole di aria nelle immediate vicinanze. Questo balletto di molecole che si urtano tra loro tende ad attenuarsi all’aumentare della distanza dalla sorgente sonora. Se noi ci troviamo abbastanza vicini alla sorgente del suono, accade che le molecole di aria vadano ad urtare (ovvero comprimere) le componenti interne del nostro orecchio. Il movimento generato dall’urto tra le molecole di aria e le parti più interne del nostro orecchio viene trasformato nel suono che udiamo. Il meccanismo macroscopico con cui le onde sonore di propagano è simile a quello con cui si propagano le onde generate da un sasso lanciato in uno stagno.
Se la sorgente sonora è in movimento (per esempio un’autombulanza a sirene spiegate), le onde sonore si propagano come riportato nella parte più a sinistra della Figura 1. In altre parole, la compressione delle molecole di aria nella direzione del moto (da sinistra a destra) è maggiore che la compressione delle molecole di aria nella direzione opposta. La conseguenza è che il suono prodotto dalla sorgente in movimento è più intenso nella direzione del moto.
Figura 1. Propagazione delle onde sonore di una soriente sonora in movimento (Fonte: Wikimedia commons)
Quando la sorgente sonora (per esempio un aereo a reazione) accelera ad una velocità più alta di quella a cui viaggia il suono, si ode il bang supersonico (parte più a destra della Figura 1).
Un oggetto che viaggia più velocemente del suono genera una serie di onde di forma sferica che si muovono più lentamente dell’oggetto stesso. La dimensione delle onde cresce man mano che l’oggetto si allontana. Tutte queste onde si intersecano tra di loro. Unendo i punti di intersezione si ottiene un cono il cui vertice è l’oggetto in movimento (parte più a destra di Figura 1). Nei punti di intersezione le molecole di aria sono soggette a rapida compressione. È questa rapida compressione delle molecole di aria ad essere responsabile del forte bang che sentiamo. In realtà, sebbene a noi sembra di sentire un unico “bang”, un aereo che accelera ad una velocità più alta di quella del suono genera due bang supersonici; uno dovuto alla rapida compressione delle molecole di aria in “testa” (ovvero alla prua) dell’aereo, ed uno dovuto alla ugualmente rapida decompressione delle stesse molecole in coda all’aereo. La distanza temporale tra i due bang dipende dalla lunghezza dell’aereo: più esso è lungo più distanti tra loro nel tempo saranno i due bang.
Ma perché si forma la nuvola che si vede nell’immagine di copertina?
Ho già scritto che la rapida accelerazione della sorgente sonora ad una velocità più alta di quella del suono provoca la repentina compressione delle molecole di aria da cui il forte boato. Come ho già riportato, l’acqua è una delle componenti molecolari dell’aria. La forte compressione cui sono soggette le molecole di acqua porta alla formazione di una nube di condensazione. In altre parole, le molecole di acqua vapore nell’aria si aggregano a formare goccioline di acqua liquida.
Considerazioni conclusive
La chimica-fisica consente di spiegare quello che accade quando un aereo supersonico supera la barriera del suono. Mi scuso con fisici ed ingegneri per l’enorme semplificazione di un fenomeno che ho deciso di spiegare usando un linguaggio assolutamente non tecnico. Mi scuso anche con i medici per la semplificazione nella descrizione dei fenomeni uditivi.
Vi ricordate il famoso “Antonio, fa caldo” della pubblicità di una nota marca di té freddo?
Eccola
Mi chiederete: “ma che c’entra questa cosa col fatto che gestisci un blog scientifico principalmente dedicato alla chimica?”
Ogni scusa è buona per parlare di scienza.
In questo periodo di fine Agosto che continua a “vedere” temperature giornaliere che superano i 30 gradi, vi siete chiesti a cosa è dovuta la sensazione di calore?
Vabbé, magari non state dicendo esattamente queste cose e vi state solo facendo una risata. Allora faccio la domanda in un altro modo: vi siete mai chiesti qual è la spiegazione della sensazione di calore a livello molecolare?
Dovete sapere che il concetto di calore può essere preso in considerazione solo quando mettete a contatto due corpi differenti. Senza il contatto non ha senso parlare di calore. Quando dite che il bicchiere di acqua è freddo, lo fate perchè state toccando il bicchiere; in altre parole, il vostro corpo entra in contatto col bicchiere di acqua ed avviene uno scambio di energia termica (ovvero calore) tra voi (corpo caldo) ed il bicchiere (corpo freddo) in modo tale che i due corpi, alla fine dello scambio, ovvero all’equilibrio, abbiano la stessa quantità di calore. Ci accorgiamo che i due corpi sono all’equilibrio (termico) perché il parametro che misuriamo, la temperatura, diventa la stessa per i due corpi.
Chi di voi ha frequentato a vario titolo un laboratorio di chimica sí ricorderà sicuramente di uno dei primi avvertimenti del proprio docente: “non toccate mai a mani nude un pezzo di vetro poggiato su un banco; il vetro freddo non si distingue da quello caldo”. In altre parole se, inavvertitamente o meno, toccate a mani nude un oggetto di vetro di cui non conoscete la provenienza, rischiate che l’eventuale corpo caldo (il vetro appena tirato fuori dalla muffola a 200 gradi) possa scambiare calore con voi, corpo freddo, con la conseguenza di ustioni molto dolorose.
Direte voi: “ma che scemenza. Prima di toccare un qualsiasi oggetto posso avvicinare la mano e ‘sentire’ se esso è freddo o caldo, così da evitare di farmi del male”. Vero! Ma come mai riuscite a “sentire” il calore di un corpo anche senza toccarlo? Sembra una magia, vero? Oppure poche righe più su ho scritto una scemenza.
In realtà, non ho detto una sciocchezza. Noi non viviamo nel vuoto. Anche se siamo in una landa desolata, non siamo nel vuoto. Siamo circondati da molecole dalla natura più disparata. Anche in una landa desolata siamo circondati da molecole di aria (del resto senza aria non potremmo neanche sopravvivere). Quando il vetro di cui ho parlato poco fa viene tirato via dalla muffola a 200 gradi centigradi, esso entra a contatto con un corpo freddo e con esso scambia calore. Qual è questo corpo freddo? Ma l’aria, naturalmente. In altre parole aria e vetro caldo scambiano energia termica. Quando avviciniamo la mano al vetro caldo, l’aria riscaldatasi per effetto dello scambio termico col vetro, scambia a sua volta energia termica con noi ed ecco perché riusciamo a “sentire” se il vetro è troppo caldo e può provocarci delle ustioni.
Ritorniamo ora alla simpatica pubblicità della Nestle (sì, si legge Nestle e non Nestlè, con l’accento. Quella lineetta che vedete non è altro che la gambetta allungata della “t”). A cosa è dovuta la sensazione di calore in estate? Semplicemente al fatto che i raggi del Sole riscaldano l’aria intorno a noi. L’aria calda, a contatto col nostro corpo, scambia con noi energia termica da cui “Antò, fa caldo…”.
Sapete cos’è il guaiacolo? Si tratta di una molecola molto semplice (Figura 1) il cui nome IUPAC (1-idrossi, 2-metossi-benzene) ci dice chiaramente essere costituita da una componente aromatica (l’anello benzenico), un gruppo ossidrilico (-OH) ed un gruppo metossilico (CH3O-).
Figura 1. Struttura del guaiacolo
Questa molecola, nella sua semplicità, è importantissima in natura. Sapete perché? È uno dei precursori della lignina (Figura 2).
Figura2. Esempio di struttura della lignina
La lignina è una classe di polimeri complessi presenti all’interno delle piante vascolari a cui essi conferiscono proprietà strutturali. In altre parole, i tessuti di queste piante, oltre a contenere cellulosa (Figura 3), contengono anche lignina che permette alle piante suddette di non essere flessibili (ovvero di essere rigide) e di poter crescere in altezza.
Figura3. Fibre di cellulosa, macrofibrille, microfibrille e molecole di cellulosa (Fonte: http://slideplayer.it/slide/568946/)
In giro per la rete si trovano tanti siti in cui vengono esaltate le qualità di questo prodotto ottenuto dalla fermentazione e successiva distillazione di miscele di cereali. Tutti esaltano l’aumento della fragranza del whisky quando viene servito on the rocks, ovvero con aggiunta di ghiaccio. Solo recentemente è stata data una spiegazione chimica al perché l’addizione di acqua esalta il sapore di questa bevanda (qui il lavoro apparso su Scientific Reports il 17 Agosto 2017).
Lo studio mediante simulazione computazionale (Figura 4) ha evidenziato che il guaiacolo può formare legami a idrogeno sia con l’acqua che con l’etanolo (anche comunemente conosciuto come alcol) naturalmente presenti nel whisky. Tuttavia, a quanto sembra, tra i due, il guaiacolo ha maggiore affinità per l’etanolo col quale interagisce più efficacemente. Quando la concentrazione di alcol è molto elevata (> 59%) il guaiacolo tende a stare quanto più lontano possibile dalla superficie del liquido. Al contrario, quando la quantità di alcol etilico scende al di sotto del 49% per aggiunta di acqua, accade che il guaiacolo, tendendo a “seguire” l’etanolo che si posiziona all’interfaccia liquido-aria per effetto della presenza di acqua, si disponga anche esso sulla superficie del liquido. Essendo più vicino alla fase aerea, la probabilità che il guaiacolo possa evaporare aumenta. La presenza di quantità maggiori di guaiacolo nella fase aerea del bicchiere che contiene whisky on the rocks, conferisce al distillato l’aroma di affumicato che a sua volta influenza il sapore della bevanda. In effetti, lo studio suggerisce che il modo migliore di imbottigliare il whisky è quello di diluirlo prima di farlo. In questo modo già all’apertura della bottiglia, il consumatore può apprezzare l’aroma della bevanda che può essere successivamente modulato mediante l’aggiunta di ghiaccio o di soda.
Vagando qui e lì tra le strade di Palermo sotto il sole di un’estate Siciliana abbastanza torrida, vado alla ricerca di notizie estive, quindi leggère, da poter proporre in questo blog. Ed ecco all’improvviso la classica bancarella che propone sacchetti e confezioni di popcorn. Mi viene in mente quando da piccolo i miei genitori compravano il mais e, dopo averlo riposto in una pentola chiusa, preparavano questa pietanza con noi ragazzini che aspettavamo lo scoppiettio tipico della formazione dei fiocchi .
Come mai i chicchi di mais scoppiano assumendo quella tipica forma a fiocco di neve che viene indicata come popcorn?
C’entra qualcosa la fisiologia del chicco di mais.
Il chicco di mais è fatto per lo più di amido. La parte più interna del chicco contiene intrappolata una piccolissima quantità di acqua. Quando il chicco viene posto a contatto di una superficie calda, la temperatura interna del chicco diventa più alta di quella di ebollizione dell’acqua. Quella piccola quantità di acqua intrappolata nella parte più interna del chicco passa dalla fase liquida a quella gassosa.
Come anche i bambini sanno, un gas, come il vapor d’acqua, tende ad espandersi. Per questo motivo, il repentino passaggio dell’acqua dalla forma liquida a quella gassosa fa esplodere il chicco con il caratteristico “pop” da cui il nome di popcorn.
Nel processo di esplosione, il chicco si comporta come un calzino rovesciato, ovvero la parte interna diventa esterna ed assume la fisionomia che tanto affascina i bambini. In pratica, l’amido, non più compresso, si espande per effetto dell’esplosione e forma il fiocco. Se ci sono delle microfratture nel nocciolo del chicco di mais, l’acqua vapore fuoriesce gradualmente e non si ottiene alcun fiocco. Ecco perché in fondo alla padella in cui prepariamo il popcorn si può trovare qualche chicco che non si è trasformato in fiocco: si tratta di chicchi che contengono al loro interno delle microfratture che non gli consentono di esplodere.
Vi starete sicuramente chiedendo da dove vien fuori questa informazione. Ebbene, nel 2015 un gruppo di ricerca Francese pubblica un lavoro dal titolo “Popcorn: critical temperature, jump and sound” che potete trovare qui. In questo lavoro, gli autori descrivono una serie di filmati al rallentatore che ha consentito loro di spiegare un fenomeno su cui fino ai giorni nostri aleggiava ancora un alone di mistero.
Fonte della foto di copertina : Fir0002/Flagstaffotos da Wikimedia commons
Il filmato è preso dal materiale supplementare del lavoro che trovate qui
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione. Viene assunto che tu sia d'accordo. Tuttavia, puoi annullare i cookie se lo desideri cliccando su “cookie settings” e deselezionando i cookie non necessari. Cookie settingsACCEPT
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
Questo sito Web utilizza i cookie per migliorare la tua esperienza durante la navigazione. Tra questi, i cookie classificati come necessari vengono memorizzati nel browser in quanto sono essenziali per il funzionamento base del sito. Si utilizzano anche cookie di terze parti che aiutano ad analizzare e comprendere come si utilizza il sito. Questi cookie sono memorizzati nel tuo browser solo con il tuo consenso. Hai anche la possibilità di disattivarli. La disattivazione di alcuni cookie può, tuttavia, influire sulla tua esperienza di navigazione.
I cookie cosiddetti necessari sono essenziali per il funzionamento corretto del sito Web. Questa categoria include solo i cookie che assicurano le funzionalità di base e la sicurezza del sito Web. Non viene conservata alcuna informazione personale.