Chi di voi non ha mai sentito parlare del Dottor Bestiale? Si tratta di uno scienziato che di nome fa Stronzo. Ebbene sì, si tratta dello Stronzo Bestiale coautore di tre lavori pubblicati su altrettante riviste di fisica e chimica fisica nel 1987. Potete scaricare i lavori ai riferimenti [1-3].
Non è difficile da comprendere, per noi che siamo Italiani, che il Dr. Stronzo Bestiale non esiste e non è mai esistito (quale genitore chiamerebbe il proprio figlio col nome di Stronzo?), sebbene la conferma della sua non esistenza tra il personale dell’Università di Palermo, istituzione in cui – in prima istanza – egli fu collocato, è venuta anche dal recentemente scomparso Prof. Melisenda, all’epoca Rettore dell’Università degli Studi di Palermo [4].
Si tratta di uno scherzo architettato da Hoover (uno dei coautori dei tre lavori) che nei riferimenti [4] e [5] racconta di come sia nata la cosa.
In breve, pare che egli tentasse da tempo di pubblicare senza successo una teoria innovativa in merito alla dinamica molecolare nelle condizioni di non equilibrio. Le sue ipotesi, però, erano così innovative per l’epoca che le riviste a cui il suo lavoro veniva inviato puntualmente ne rifiutavano la pubblicazione. In alcuni viaggi in aereo, Hoover ebbe modo di ascoltare le parole “stronzo” e “stronzo bestiale”. Dopo averne chiesto il significato a dei colleghi Italiani, decise di aggiungere il Dr. Stronzo Bestiale tra gli autori dei tre lavori che, stranamente, vennero accettati dalle riviste e pubblicati.
Egli stesso rimase colpito da questo fatto perché il suo scherzo riuscì ad evidenziare quelli che, nel linguaggio informatico di oggi, possono essere indicati come dei bug nel sistema dei processi di revisione dei lavori scientifici. In poche parole, negli anni Ottanta del XX secolo era possibile inventarsi dei nomi da mettere tra i co-autori e nessuno se ne sarebbe accorto.
Oggi sarebbe possibile una cosa del genere? In base alla mia esperienza, no. Non è possibile inventare dei co-autori di fantasia. I controlli, grazie a procedure identificative di vario genere (ORCID e ResearchID sono solo alcune di esse), sono veramente stringenti. Occorre essere una persona fisica realmente esistente perché un lavoro possa essere preso in considerazione da una qualsiasi rivista.
Intanto, però, il Dr. Bestiale è ancora lì e pare sia anche abbastanza citato.
È vero. Avevo promesso che solo ogni tanto mi sarei dedicato agli scherzi degli scienziati. Tuttavia il mio amico Giorgio Castiglioni (se non lo conoscete potete dare una lettura alla sua pagina https://www.facebook.com/Mah-1529060910698693/) oggi mi ha informato di un caso veramente singolare del quale non si può tacere a lungo.
Sapete chi è Andre Geim? In realtà pochi lo sanno a meno di non essere del settore. Si tratta di un fisico russo che nel 2010 ha vinto il premio Nobel per i suoi studi sul grafene con la seguente motivazione:
“for groundbreaking experiments regarding the two-dimensional material graphene” [1].
Tuttavia, il Dr. Geim ha vinto un altro prestigioso premio nel 2000 [2]. Si tratta del famoso IgNobel assegnato agli scienziati che si sono distinti per gli studi più improbabili. Andre Geim ha vinto l’IgNobel grazie allo studio sulla levitazione delle rane. Gli esperimenti sulla levitazione gli hanno consentito di pubblicare, nel 2001, un lavoro su Physica B: Condensed Matter tra gli atti di un simposio dedicato alla ricerca sui campi magnetici [3]. Coautore di questo lavoro è il Dr H.A.M.S. ter Tisha. Di chi si tratta? Semplice. È il criceto (hamster) di nome Tisha che Andre Geim ha usato, assieme alle rane, per gli esperimenti sulla levitazione. Proprio un giocherellone, vero?
Nell’altra nota relativa agli scherzi degli scienziati [4] mi chiedevo se fosse possibile oggi mettere tra gli autori un fake. La mia risposta è stata un no convinto a causa dei rigidi controlli a cui siamo tutti sottoposti. Eppure nel 2001, ben quattordici anni dopo i lavori del Dr. S. Bestiale, un altro fake è apparso in letteratura. Come è possibile? Chi non è addentro al mondo scientifico non può saperlo, ma la pubblicazione degli atti di convegno non è soggetta a peer review, ovvero revisione, e non è necessario indicare i dati di tutti gli autori. Insomma, le maglie per pubblicare sono piuttosto larghe e un “criceto” è diventato uno scienziato.
In merito a opinioni e vaccini, qualche giorno fa ho pubblicato un post in cui chiedevo agli utenti che non possono partecipare al seminario sui vaccini del Dr Di Girolamo di postare le eventuali domande e curiosità su questa mia pagina pubblica in modo da consentirmi di fare la loro voce e porre le domande in coda al seminario stesso [1].
Prontamente è arrivata una domanda, non sulla mia pagina, ma in uno dei gruppi che gestisco in cui, a corredo della foto che sto usando per questo post, si chiedeva: “Per esempio, chiedi come la pensa su questa autorevole ricerca. Io stesso, come referee, ne ho visto di peggio” [2].
In realtà, lì per lì, sono rimasto un poco sorpreso. Ho dato, quindi, una risposta temporeggiatrice, riservandomi il tempo di cercare l’autorevole ricerca di cui si accenna nella domanda.
L’autorevole ricerca è citata in un opuscoletto edito dal Gruppo Editoriale l’Espresso [3] in cui l’autore si propone come obiettivo di mettere a nudo le storture legate alla cattiva informazione ed alla manipolazione dei “big data” che fanno tutte le riviste ed i giornali. In particolare, vengono evidenziate le discrepanze tra le sentenze emanate dai giudici in processi civili e/o penali nei diversi gradi di giudizio. Una sentenza favorevole ad un attore del procedimento si trasforma, nel secondo grado, in una sentenza ad esso sfavorevole. Questo implica che, nella babele di gradi di giudizio, il cittadino comune non sappia come muoversi e che idee farsi.
L’autore del predetto opuscoletto, inoltre, attraverso la citazione, a mio avviso capziosa, dei risultati riportati in un articolo di Journal of American Medical Association (JAMA) intende affermare che la babele di opinioni che sembra contraddistinguere il mondo legislativo è identica a quella presente nel mondo scientifico dove la stragrande maggioranza delle ricerche, soprattutto in campo medico, appare fatta male, falsa e priva di ogni tipo di rigore (v. foto a corredo di questo post). Questa situazione, spinta ai suoi limiti, giustificherebbe l’insorgere di movimenti anti-vaccinnisti e pro-omeopatia.
Senza addentrarmi in giudizi sul mondo legislativo che non conosco e su cui potrei commettere facilmente degli errori, mi soffermo solo sull’errore metodologico implicito in quanto scritto in merito alla validità delle ricerche scientifiche nell’opuscoletto riportato nel riferimento [3].
In realtà più volte io stesso ho scritto di frodi scientifiche fatte per i motivi più vari. Al riferimento [4] si trova l’ultimo mio post sull’argomento. All’interno del testo ci sono anche i riferimenti a miei interventi più vecchi sempre in merito a frodi scientifiche,
Allora cosa c’è di nuovo? Nulla. Quanto riportato in JAMA (sebbene l’opuscoletto voglia essere dettagliato, fallisce in questo scopo perché non riporta a quale articolo di JAMA ed a quale numero della rivista si faccia riferimento) non è altro che qualcosa di risaputo. Non posso conoscere quanto è veramente riportato in JAMA sia perché, come già evidenziato, non ci sono riferimenti nell’opuscoletto, sia perché l’unico articolo che sembra attinente e che sono riuscito a trovare è del 2015 [5]. L’opuscoletto di cui in [3] è del 2014. Evidentemente, l’autore dell’opuscolo si riferisce a qualcosa antecedente al 2014.
In ogni caso, anche ammesso che le percentuali riportate in JAMA siano verosimili, ovvero che più della metà delle ricerche in campo medico siano insulse e non servono a nulla, vorrei far notare che gli autori del lavoro pubblicato su JAMA (e di cui non è dato conoscere gli estremi) hanno potuto scrivere una cosa del genere per un motivo molto semplice.
In campo medico, così come in tutti i campi in cui si maneggiano grandi numeri, esistono le cosidette meta-analisi.
Si tratta di lavori di ricerca in cui viene scandagliata la letteratura esistente in merito ad un determinato argomento; si individuano, nel merito, i limiti metodologici di ogni singolo lavoro e si scartano tutti quelli non ritenuti validi. La selezione così effettuata consente di concentrare l’attenzione di tutti (scienziati e non) sugli studi che sono ineccepibili dal punto di vista metodologico. A quel punto si può argomentare in merito ai modelli che meglio descrivono i fatti osservati che, ripeto, sono ottenuti tutti in modo da essere sia ripetibili che riproducibili.
Fatto,quindi, 100 il numero di studi presi in considerazione, 60 di essi mostrano limiti metodologici? Benissimo, la comunità scientifica si concentra sui 40 che, invece, sono attendibili. Su questi 40 studi si costruiscono i modelli che possono spiegare i fatti osservati. I modelli che servono per spiegare i fatti non sono costruiti né per acclamazione, né per elezione, né per un qualsiasi metodo politico democratico. Sono costruiti solo ed esclusivamente da gente che spende la vita per comprendere i dati sperimentali e che ha competenza in materia. Tutti gli altri sono esclusi a meno che non intendano colmare le loro lacune cognitive cominciando a studiare nei settori scientifici di interesse.
In altre parole, in merito ai vaccini o all’omeopatia non esiste nessun dibattito. E non è possibile instaurare nessun dibattito se non tra persone che hanno lo stesso background culturale. Questo vuol dire che un cardiologo NON può discettare di vaccini con un virologo, così come un virologo NON può mettersi a parlare di cardiologia con un cardiologo. Allo stesso modo chi si è laureato alla scuola della vita leggendo i libri dell’università Google, non è i grado di confrontarsi con nessuno dei professionisti anzidetti.
Ecco cosa intendo per fallacie degli antivaccinisti.
Il grafico che sto usando per illustrare questa breve nota riporta in ascisse (asse x) il tempo espresso in anni, mentre in ordinate (asse y) due variabili; a sinistra c’è la quantità di mozzarella consumata per anno, a destra il numero di persone che negli stessi anni è riuscita a concludere il suo percorso di dottorato di ricerca.
Questo grafico è veramente utile. Consente di dire che il consumo di mozzarella è direttamente correlato alla capacità degli studenti di poter concludere brillantemente il proprio percorso di dottorato.
In effetti è un bene. Sotto l’aspetto economico un grafico del genere fa il bene dei caseifici Italiani riconosciuti a livello internazionale per la qualità dei loro prodotti.
Studenti di tutto il mondo, consumate mozzarella Italiana e diventerete dottori di ricerca!
Bello vero?
Il punto è che grafici di questo tipo si possono costruire per ogni cosa e non hanno alcuna validità scientifica. Un esempio tipico sono le classiche correlazioni causali invocate dagli antivaccinisti.
Questi in genere dicono: la tal patologia (autismo, paralisi o altro) si è verificata dopo l’assunzione del vaccino. Ho visto mio figlio trasformarsi in malato cronico dopo la fatidica iniezione vaccinale.
Questa presunta correlazione che si basa solo sull’osservazione soggettiva di una relazione causa-effetto non ha alcuna validità scientifica. Questo viene più volte indicato da tanti specialisti e divulgatori tra cui il Prof. Roberto Burioni e Ulrike Schmidleithner. Il primo gestisce una piacevolissima pagina che si chiama Roberto Burioni, Medico, la seconda gestisce da tantissimo tempo una utilissima pagina che si chiama VaccinarSI. Entrambi sono in prima linea per la corretta informazione in merito all’indiscussa validità della profilassi vaccinale.
Aggiungo di mio un documento della American Academy of Pediatrics (AAP) al seguente link: https://www.aap.org/…/Docu…/immunization_vaccine_studies.pdf in cui vengono riassunte le conclusioni di un bel po’ di lavori scientifici. Da queste si evince che i vaccini non hanno alcuna controindicazione e, comunque, non sono assolutamente correlati ad autismo o altre patologie come tante volte, e fin troppo spesso, richiamato dagli antivaccinisti.
Come è esplicitamente dichiarato dalla AAP, i vaccini sono sotto costante e continuo controllo proprio perché devono essere utilizzati su individui molto piccoli e/o indifesi sotto l’aspetto immunitario:
“The safety and effectiveness of vaccines are under constant study. Because vaccines are designed to be given routinely during well-child care visits, they must be extraordinarily safe. Safety testing begins as soon as a new vaccine is contemplated, continues until it is approved by the FDA, and is monitored indefinitely after licensure. The American Academy of Pediatrics (AAP)
works closely with the Centers for Disease Control and Prevention (CDC) to make recommendations for vaccine use”
Gli unici responsabili della sindrome autistica non sono i vaccini, bensì i geni. In altre parole, la sindrome autistica è una patologia genetica. Uno studio pubblicato nel 2012 lo dimostra molto chiaramente: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3513682/.
Una conclusione del genere non è piacevole perché, in genere, i genitori non hanno strumenti per poter affrontare la natura genetica della sindrome autistica dei loro figli. Quando si prendono in considerazione fattori genetici, ognuno di noi si sente responsabile in prima persona dei danni subiti dai propri figli, sebbene nessuno di noi sia responsabile di alcunché.
Il mondo scientifico è fatto da tante persone. Ci sono studiosi (e sono la maggioranza) che prendono molto seriamente il loro lavoro e cercano di apportare miglioramenti alla nostra salute attraverso l’implementazione delle conoscenze umane. Tuttavia, ci sono anche quelli profondamente disonesti come Wakefield (https://it.wikipedia.org/wiki/Andrew_Wakefield), che approfittano delle nostre paure e ne vogliono trarre beneficio.
Il mondo scientifico è in grado di porre rimedio ai danni provocati da questi truffatori attraverso la corretta applicazione del metodo scientifico.
Noi tutti (e mi rivolgo ai miei colleghi) dobbiamo fare ancora di più per fare in modo che gli anticorpi basati sul metodo scientifico siano in grado di agire anche su chi non ha gli strumenti che noi ci siamo costruiti con anni di studio e di applicazioni sperimentali. Solo in questo modo truffatori, ciarlatani ed imbonitori possono avere vita sempre più difficile e breve.
Innanzitutto ringrazio Elena Porcelli che ho l’onore di avere tra i miei contatti per aver postato sul suo profilo l’articolo del Corriere Fiorentino che potete leggere a questo link:
Perché mi ha colpito? A parte la comicità delle situazioni descritte, mentre leggevo mi venivano in mente delle analogie con la pseudoscienza.
È ormai dal 2009 che ho un profilo Facebook. Questa pagina era il mio profilo privato trasformato poi in ciò che vedete ora. Fin dal 2009 giro per gruppi scientifici e leggo cose “che voi umani…”
Ci sono quelli che difendono a spada tratta la memoria dell’acqua in barba a tutte le evidenze scientifiche contrarie; ci sono quelli che discutono di quantomeccanica elaborando teorie astruse solo sulla base della lettura di saggi divulgativi; ci sono quelli che legano memoria dell’acqua e quantomeccanica per avallare fenomeni inesistenti come quelli legati all’omeopatia oppure alla rabdomanzia; ci sono quelli che negano la validità dei vaccini perché ormai le malattie sono scomparse (solo nella loro mente, purtroppo). Tutti questi personaggi sono anche piuttosto prolifici in termini di parole inutili messe anche nero su bianco in forma di libri. Proprio ieri ero in una famosa libreria e, mio malgrado, mi sono avvicinato al reparto “medicina”. Non ho trovato un solo libro, dicasi UNO, che trattasse in modo serio di medicina; erano esposti libri sull’omeopatia pediatrica, sul China study, sulla dieta alcalina, su quella del gruppo sanguigno, sui fiori di Bach e potrei continuare. In mezzo a questo marasma di carta straccia e parole inutili, solo poche copie del libro del Prof. Burioni, unica luce in un mare di oscurità prescientifica.
Ecco, mentre leggevo l’articolo del Corriere Fiorentino mi sono immedesimato nell’editor che è costretto a leggere castronerie di ogni tipo e dare risposte a gente che ritiene di essere un novello Pirandello, come novelli Giordano Bruno, redivivi Galileo Galilei o incompresi Tesla sono tutti gli pseudo scienziati che affollano, col loro noioso rumore di fondo, il mondo della rete internet.
Più volte ho parlato di vaccini e della loro importanza [1, 2] e proprio recentemente, su questa pagina è stata fatta una diretta col Dr Di Girolamo che ci ha parlato dell’importanza dei vaccini [3]. Durante la sua presentazione, il Dr Di Girolamo ci ha parlato anche dell’immunità di gregge. Si tratta della capacità che ha una popolazione di tener fuori batteri e virus pericolosi per l’uomo, quando una buona parte della popolazione stessa è immune (per effetto delle vaccinazioni) ai predetti batteri e virus.
Non è semplice comprendere il significato di immunità di gregge. Infatti, nonostante medici preparati cerchino di spiegarne l’importanza per quella parte di popolazione che non può essere soggetta a vaccinazione perché immunodepressa, c’è sempre qualcuno che dice “ma cosa vuoi che sia. Non mi vaccino tanto tu sei vaccinato e non ti può accadere nulla”.
I vaccini, di solito innocui per individui sani, diventano pericolosi per persone immunodepresse perché anche batteri e virus depotenziati possono avere effetti devastanti se il sistema immunitario non è capace di “agire” in tempo per bloccare l’azione di quanto contenuto nei vaccini stessi (mi scuso con i medici per il mio linguaggio non appropriato).
Per poter comprendere l’importanza dell’immunità di gregge, si può far riferimento ad una bellissima animazione in questo link: https://www.theguardian.com/…/-sp-watch-how-measles-outbrea….
Si osserva la propagazione del morbillo in una popolazione con percentuale crescente di individui vaccinati. Più alta è la percentuale di individui vaccinati, più bassa è la probabilità che il morbillo possa infettare persone che, loro malgrado, non possono acquisire resistenza al morbillo a causa di patologie che li rendono immunodepressi.
Trovo questa illustrazione veramente molto istruttiva.
Vi siete mai chiesti da dove originano i nomi degli elementi? Di tanto in tanto me lo sono chiesto anche io. Quando insegnavo la chimica generale e la chimica organica, era divertente sbalordire gli studenti con aneddoti curiosi e carini. Smorza la tensione per la lezione oggettivamente pesante e consente di andare avanti con più leggerezza.
Uno degli aneddoti che mi piaceva raccontare, ancora oggi lo faccio se ne ho la possibilità, è quello relativo all’azoto.
L’azoto è un elemento molto importante in natura. E’ presente in tantissimi composti organici che assolvono a funzioni metaboliche importantissime. E’ presente nelle proteine, nel RNA, nel DNA, in molte sostanze che i chimici definiscono composti naturali e compagnia cantando.
Ma perché si chiama azoto? Il nome è stato coniato da Lavoisier (https://it.wikipedia.org/wiki/Antoine-Laurent_de_Lavoisier) in Francia: “azote”. Significa “senza vita”. Deriva dal greco in cui al termine “zotos” (che viene da zoe, vivere) si associa la alfa privativa, da cui “a-zoto”, ovvero “azoto”. Sembra un paradosso, vero? Un elemento che è fondamentale per il metabolismo, ovvero per i processi alla base della vita, porta un nome che si riferisce alla morte.
Beh, ai tempi di Lavoisier non si conoscevano certo le molecole come si conoscono oggi. Non si conosceva l’importanza di questo elemento nei metaboliti. Si sapeva però che una atmosfera privata di ossigeno provocava la morte, da cui il termine “azote” che in Italiano è diventato “azoto”.
Ma se il nome è “azoto”, perché ha simbolo “N”?
In realtà,questo elemento ha un nome con doppia etimologia. Il termine “azoto” è usato prevalentemente nei paesi non anglosassoni.
Nei paesi anglosassoni “azoto” è indicato con “nitrogen”. Il nome fu coniato nel 1790 da Chaptal (https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Antoine_Chaptal), un altro chimico francese, che capì che l’elemento era uno dei costituenti del nitrato di potassio, un sale, comunemente noto come “salnitro” ed usato come sapone ai tempi dei Romani. “Nitro”-“gen” vuol dire quindi “genitore” del “nitron”, laddove “nitron” è l’antico nome del nitrato di Potassio.
In definitiva benché Paperino in questa vignetta http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.… si riferisca ad un certo “nitrogeno” commettendo un errore che molti chimici ritengono grave perché in Italiano N = azoto, posso dire che, in realtà, si tratta solo di un errore veniale perché sia “azoto” che “nitrogeno” sono i nomi che possiamo attribuire all’elemento di simbolo “N” con numero atomico 7 e peso atomico 14 g/mol.
Si legge da tutte le parti che l’inquinamento ambientale, ed in particolar modo quello di origine antropica, provoca numerosi problemi ai vari comparti ambientali. Uno di questi è l’aria la cui composizione, negli strati più elevati, vede la presenza di una molecola che prende il nome di ozono.
L’ozono è una forma allotropica dell’ossigeno. In altre parole, l’ossigeno si può trovare sia sotto forma di molecola biatomica (O2) che di molecola triatomica (O3). E’ questa ultima forma di ossigeno a cui si dà il nome di “ozono” la cui struttura, per i più curiosi, è descritta nel riferimento [1].
La presenza dell’ozono negli strati alti dell’atmosfera è molto importante perché questa molecola è in grado di “intercettare” le radiazioni ultraviolette (RUV) proteggendoci dai loro effetti deleteri [2]. Sotto il profilo chimico, la reazione di “schermatura” da parte dell’ozono è:
O3 + RUV → O + O2 (1)
In altre parole si forma un atomo di ossigeno eccitato ed una molecola di ossigeno. Il primo può ricombinarsi col secondo per riformare l’ozono (reazione (2)), oppure può reagire con un’altra molecola di ozono per formare ossigeno molecolare (reazione (3)):
O + O2 → O3 (2)
O + O3 → 2O2 (3)
L’inquinamento come causa della riduzione dell’ozono atmosferico
Come si intuisce, in sistemi non perturbati (come per esempio in assenza di contaminazione) le reazioni (1)-(3) assicurano il corretto apporto di ozono per evitare gli effetti delle radiazioni UV [2]. Nel momento in cui un certo tipo di contaminanti (che tecnicamente possiamo indicare come “catalizzatori”) viene in contatto con l’ozono, le reazioni (1)-(3) subiscono delle “alterazioni” legate al fatto che viene inibita la reazione (2) con incremento della quantità di ossigeno molecolare che non viene più trasformato in O3. La conseguenza è l’assottigliamento progressivo dello strato di ozono atmosferico che, giornalisticamente parlando, è conosciuto come “buco nell’ozono”. L’insieme delle reazioni che trasformano l’ozono in ossigeno molecolare in presenza di un generico contaminante (indicato con X) è:
X· + O3 → XO +O2 (4)
XO + O → X· +O2 (5)
X· è un radicale libero [3], ovvero un sistema molto reattivo che ha come caratteristica quella di avere un elettrone spaiato. La somma delle reazioni (4) e (5) dà la reazione (6) che consente di dire che l’azione di X· è quella di incrementare la quantità di ossigeno mediante l’inibizione della reazione (2), ovvero la riconversione in ozono, con conseguente assottigliamento dello spessore dello strato di ozono nell’atmosfera:
O3 + O → 2O2 (6)
I precursori dei radicali liberi
Alcuni precursori dei radicali coinvolti nelle reazioni (4) e (5) grazie ai quali si genera l’assottigliamento dello strato di ozono sono metano (CH4), acqua (H2O), protossido di azoto (N2O, meglio conosciuto come gas esilarante), o i famigerati clorofluorocarburi (CFC).
Metano ed acqua reagiscono con l’ossigeno atomico eccitato ottenuto nella reazione (1) per formare radicali ossidrili (OH·), ovvero i “catalizzatori” indicati con X nelle reazioni (4) e (5), secondo le reazioni (7) e (8):
O + CH4 → OH· + CH3 (7)
O + H2O → 2 OH· (8)
Sostituendo i radicali ossidrili alle X delle reazioni (4) e (5) si completa lo schema reattivo che porta alla degradazione dell’ozono in ossigeno molecolare.
Il ruolo del protossido di azoto è descrivibile con lo schema di reazioni da (9) a (11):
O + N2O → 2 NO· (9)
NO· + O3 → NO2 · + O2 (10)
NO2 · + O → NO· + O2 (11)
Infine i clorofluorocarburi come il CF2Cl2 (una volta usati come liquidi refrigeranti come per esempio nei frigoriferi) reagiscono come indicato nelle reazioni da (12) a (15)
CF2Cl2 + RUV → CF2Cl∙ + Cl∙ (12)
Cl∙ + O3 → ClO∙ + O2 (13)
ClO∙ + O∙ → Cl∙ + O2 (14)
CF2Cl∙ + O2 → CF2O + ClO∙ (15)
Questi appena descritti sono solo alcuni esempi di precursori dei radicali coinvolti nella degradazione dell’ozono atmosferico. Molti altri, con meccanismi più dettagliati che sono al di là dello scopo di una nota divulgativa su un bolg, sono riportati nelle letture consigliate.
Nuove ipotesi in merito alla degradazione dell’ozono atmosferico
Recentemente [4] è stato proposto un meccanismo alternativo per l’azione dei CFC nella degradazione dell’ozono. In particolare, l’acqua sotto forma di minuscoli cristalli di ghiaccio sospesi in atmosfera, interagisce con la radiazione cosmica, ovvero la luce solare, generando elettroni solvatati (e-) che rimangono assorbiti sulla superficie solida (Figura 1) secondo la reazione (16):
H2O + radiazione cosmica → e- + H3O+ + OH· (16)
Gli elettroni solvatati reagiscono con i clorofluorocarburi assorbiti sulla superficie dei cristalli di ghiaccio per formare CF2Cl∙ e Cl∙ che poi innescano le reazioni riportate in (13)-(15)
Figura 1. Esempio di elettroni solvatati assorbiti su una superficie solida
L’ozono fa bene?
Alla luce di tutto quanto scritto si potrebbe pensare che siano tutte rose e fiori, ovvero che l’ozono apporti benefici all’essere umano. In realtà, non è così. Quanto appena analizzato in modo sommario ci informa che l’ozono è utile per impedire che raggi dannosi per la salute umana possano arrivare alla superficie terrestre. Noi ci siamo evoluti nel modo in cui ci presentiamo anche grazie al fatto che un “ombrello” fatto di ozono ha impedito ai raggi ultravioletti di una certa intensità di arrivare negli strati più bassi dell’atmosfera. Come si sarebbe evoluta la vita se questi raggi non fossero stati schermati? Non è dato saperlo e, comunque, la scienza non si fa con le ipotesi assurde. Resta il fatto che è grazie alla protezione offerta dall’ozono che la vita si presenta come la conosciamo. Da tutto quanto scritto si intuisce anche che l’ozono è una molecola reattiva ed in effetti i suoi effetti sulla salute umana si possono riassumere come segue:
“Concentrazioni relativamente basse di Ozono provocano effetti quali irritazioni alla gola ed alle vie respiratorie e bruciore agli occhi; concentrazioni superiori possono portare alterazioni delle funzioni respiratorie ed aumento della frequenza degli attacchi asmatici” [5].
L’Ozono, infine, “è responsabile anche di danni alla vegetazione e ai raccolti, con la scomparsa di alcune specie arbore dalle aree urbane. Alcune specie vegetali particolarmente sensibili alle concentrazioni di Ozono in atmosfera vengono oggi utilizzate come bioindicatori della formazione di smog fotochimico” [5].
Un po’ di tempo fa ho scritto un post riguardante il ruolo che i legami a idrogeno ricoprono nel comportamento dell’acqua. In particolare è stata analizzata la caratteristica delle molecole di acqua di “escludere” i soluti durante il processo di raffreddamento [1]. Adesso voglio concentrarmi (come promesso) sul ruolo che i legami a idrogeno ricoprono nel modulare le proprietà colligative. In particolare, voglio concentrarmi sull’innalzamento ebullioscopico [2], rimandando ad una nota successiva la spiegazione sull’abbassamento crioscopico [3].
E’ stato già evidenziato [1] che per innalzamento ebullioscopico si intende l’aumento della temperatura di ebollizione conseguente alla dissoluzione di un soluto in un solvente. In genere, per spiegare questo fenomeno si fa riferimento al fatto che l’addizione di un soluto in un solvente comporta un abbassamento della tensione di vapore di quest’ultimo con la conseguenza che è necessaria una temperatura più elevata per arrivare all’ebollizione [2].
Cosa vuol dire tensione di vapore? Molto semplicisticamente la “tensione di vapore” è la pressione (ovvero la forza) esercitata sulle pareti di un recipiente chiuso da parte delle molecole di vapore di una sostanza in equilibrio con la fase condensata (liquida o solida) della stessa sostanza [4].
Figura 1. Esempio di equilibrio tra una fase condensata (in questo caso liquida) ed il vapore
La Figura 1 esemplifica quanto appena scritto. Le molecole sulla superficie del liquido racchiuso nel pallone tappato di Figura 1 “sfuggono” dalla superficie e “galleggiano” nello spazio vuoto seguendo delle traiettorie casuali. Nelle condizioni di equilibrio, il numero di molecole di vapore che ritornano nella fase condensata (ovvero liquida, in questo caso) è uguale al numero di molecole che “sfuggono” dalla superficie. L’ “abbassamento della tensione di vapore” di cui si diceva sopra significa che la pressione esercitata dalle molecole di vapore sulle pareti del recipiente chiuso si abbassa per effetto dell’addizione di un soluto al solvente. In altre parole, l’equilibrio descritto dalla reazione riportata in Figura 2 si sposta verso sinistra (ovvero dalla parte del solvente in fase liquida) e l’ebollizione si interrompe. Occorre innalzare la temperatura per riportare il sistema all’ebollizione
Figura 2. Equilibrio tra fase liquida e fase vapore di un solvente di una generica soluzione
Come mai l’addizione di un soluto ad un solvente comporta l’abbassamento della tensione di vapore con conseguente innalzamento ebullioscopico? Molto semplicisticamente si potrebbe dire che il soluto “aggancia” le molecole di solvente impedendo che esse “sfuggano” dalla superficie della fase condensata. Occorre una quantità di calore più elevata (e, quindi, una temperatura più alta) per consentire alle molecole di solvente di opporsi alla resistenza offerta dal soluto e ristabilire le condizioni di equilibrio all’ebollizione.
Per spiegare meglio quanto accade addizioniamo il cloruro di sodio (NaCl) in acqua. il cloruro di sodio è un solido ionico [5] in cui lo ione sodio (catione) interagisce con lo ione cloruro (anione) mediante interazioni di natura elettrostatica. L’acqua è una molecola in cui la densità elettronica intorno all’ossigeno è più elevata che attorno agli atomi di idrogeno (Figura 3). Per questo motivo, l’ossigeno è dotato di una parziale carica negativa, mentre gli atomi di idrogeno di una parziale carica positiva (Figura 3). Dal momento che il centro delle cariche negative è diverso da quello delle cariche positive (ovvero si osserva l’anzidetta separazione di carica), la molecola di acqua ha carattere dipolare.
Figura 3. Struttura della molecola di acqua. Il colore rosso indica che gli elettroni di legame sono spostati verso l’ossigeno conferendo ad esso una parziale carica negativa. Di conseguenza gli atomi di idrogeno, avendo una densità di carica inferiore, sono parzialmente positivi
Abbiamo già evidenziato che il carattere dipolare della molecola di acqua è causa della formazione dei legami a idrogeno [1]. In questa sede il carattere dipolare dell’acqua ci consente di spiegare il meccanismo di dissoluzione del cloruro di sodio. Infatti, quando il cloruro di sodio viene messo in acqua si generano delle interazioni di natura elettrostatica del tipo Na(+)/H2O e Cl(-)/H2O. La componente negativa del dipolo acqua è orientata verso la carica positiva del sodio, mentre la parte positiva dello stesso dipolo è orientata verso lo ione cloro (Figura 4). In questo modo i due ioni del solido ionico si separano e si realizza la dissoluzione del sale.
Il processo di dissoluzione mediato dall’azione dell’acqua che circonda i due ioni si chiama “solvatazione”. In generale, i processi di dissoluzione di un soluto in un solvente sono dovuti alla solvatazione. Se questa non si può realizzare, la dissoluzione non avviene.
Le molecole di acqua si dispongono “a strati” intorno agli ioni. Ognuno degli strati viene indicato come “sfera di idratazione”. Le molecole di acqua più interne, ovvero quelle più vicine agli ioni, si collocano nella prima sfera di idratazione. A seguire tutte le altre sfere di idratazione [6]. L’identificazione del numero di sfere di idratazione richiede degli studi approfonditi [7] che vanno oltre gli scopi di questa nota.
Figura 4. Dissoluzione del cloruro di sodio in acqua. I due ioni sono solvatati
L’orientazione delle molecole di acqua intorno allo ione sodio è tale che non vengono più soddisfatti i requisiti geometrici necessari per la realizzazione dei legami a idrogeno (dei requisiti necessari per la formazione dei legami a idrogeno se ne è già parlato nel post precedente [1]). Per questo motivo i legami a idrogeno tra le molecole di acqua nella prima sfera di idratazione si interrompono [7]. Inoltre, l’interazione acqua/sodio comporta uno “scivolamento” della densità elettronica dei legami H-O dell’acqua verso l’ossigeno. Tradotto, vuol dire che aumenta la polarità del legame H-O, ovvero aumenta l’intensità della carica positiva sugli atomi di idrogeno a causa dell’aumento dell’intensità della carica negativa sull’ossigeno come effetto dell’interazione con lo ione sodio [7]. Per questo motivo le molecole di acqua nella prima sfera di idratazione (incapaci di formare legami a idrogeno tra loro) sono in grado di legarsi alle molecole di acqua nella seconda sfera di idratazione con legami a idrogeno la cui intensità è più forte che nell’acqua libera (ovvero l’acqua in cui non è disciolto alcun soluto). La natura dei legami a idrogeno tra le molecole di acqua nella prima e nella seconda sfera di idratazione incrementa la polarità dei legami H-O nelle molecole di quest’ultima sfera di idratazione. Le molecole di acqua della seconda sfera di idratazione sono, quindi, in grado di interagire con le molecole della terza sfera di idratazione con legami a idrogeno più forti di quelli che si realizzano tra le molecole di acqua libera. L’intensità dei legami a idrogeno diminuisce all’aumentare della distanza delle molecole di acqua dallo ione.
Uno ione in grado di intensificare le interazioni a idrogeno tra le molecole di acqua presenti nelle diverse sfere di idratazione si dice “strutturante”. La capacità strutturante di uno ione dipende dalle sue dimensioni. Più lo ione è piccolo, più elevata è la sua densità di carica (ovvero la quantità di carica per unità di volume) e più elevata è la forza del campo elettrico da essa generata in conseguenza della quale lo ione è in grado di indurre un ordine tra le molecole di acqua oltre la prima sfera di idratazione. Sono ioni destrutturanti quelli che hanno densità di carica tale che il campo elettrico da essa generato non è in grado di polarizzare le molecole di acqua al di fuori della prima sfera di idratazione (in altre parole ioni a dimensione crescente sono progressivamente più destrutturanti). Lo ione sodio ha caratteristiche strutturanti, mentre lo ione cloro ha caratteristiche destrutturanti. Tuttavia, è possibile misurare la forza strutturante/destrutturante di uno ione [7] e concludere che nel cloruro di sodio la natura strutturante dello ione sodio predomina su quella destrutturanrte dello ione cloro.
La conseguenza di tutto quanto scritto è che il sale da cucina (ma questo è un discorso di carattere generale) ha caratteristiche “strutturanti” per cui esso è in grado di ancorare le molecole di acqua alla superficie della fase liquida in modo tale che la quantità di energia necessaria per rimuoverle risulta essere più alta che in assenza del soluto.
Note conclusive
Questa trattazione si applica alle soluzioni lontane dall’idealità quali quelle ambientali come per esempio quella che viene indicata come “soluzione suolo”. Lo so. Sono stato particolarmente prolisso, ma mi sono lasciato prendere la mano. Una nota nata come “Pillola di scienza” è diventata la trascrizione di una delle mie lezioni di chimica del suolo. Spero di non aver annoiato e che qualcuno possa trovare ispirazione da quanto scritto. I miei studenti possono, certamente, usare queste cose come appunti integrativi al loro studio.
Pigmenti vegetali e la ricerca del chimico tedesco Willstätter.
Richard Martin Willstätter nasce a Karlsruhe il 13 Agosto del 1872. Si tratta di un chimico tedesco pioniere dello studio delle sostanze naturali, ovvero dei metaboliti secondari delle piante.
Richard Martin Willstätter (fonte: https://www.nobelprize.org/nobel_prizes/chemistry/laureates/1915/willstatter-bio.html)
I suoi studi si incentrano inizialmente sulla struttura e la sintesi di alcuni alcaloidi vegetali (cocaina ed atropina) oltre che di alcuni chinoni.
Strutture di atropina e cocaina, due alcaloidi naturali
Durante questa prima fase della sua vita accademica, approfondisce le tecniche analitiche che, successivamente gli spianano la strada per il riconoscimento della struttura di flavoni e antociani, ovvero dei tipici pigmenti delle piante, oltre che della clorofilla, pigmento fondamentale per la fotosintesi clorofilliana.
Formula di struttura delle clorofille. Clorofilla (a) X = CH3 Clorofilla (b) X = CHO (fonte: http://www.minerva.unito.it/Chimica&Industria/Dizionario/Supplementi02/AdditiviAlimentari/SchedaE140.htm)
Le sue scoperte nel campo dei pigmenti vegetali gli valgono nel 1915 il premio Nobel per la chimica con la seguente motivazione: “for his researches on plant pigments, especially chlorophyll” (fonte: https://www.nobelprize.org/nobel_pr…)
Il lavoro pioneristico di Willstätter gli consentì di capire che esistono diverse forme di clorofilla e che sebbene isolate da piante diverse, esse sono identiche in tutti gli organismi vegetali.
Spettro di assorbimento della clorofilla. I massimi sono a 420 nm e 665 nm. L’assenza di massimi nella regione del “verde” rende conto della tipica colorazione che la clorofilla conferisce alle foglie
Infine, riuscì a capire che esiste una relazione tra clorofilla ed emoglobina.
Somiglianza tra i gruppi tetrapirrolici presenti nell’emoglobina (a sinistra) e nella clorofilla (a destra)
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