Perché studiare chimica e fisica? L’innalzamento ebullioscopico

Avete presente la classica robetta sul mettere il sale prima o dopo che l’acqua ha cominciato a bollire? Questa cosa mi ha sempre lasciato perplesso perché ho sempre pensato che chiunque abbia frequentato con profitto le scuole superiori conosca le proprietà colligative e sa cosa significa innalzamento ebullioscopico. Traduco per i meno esperti: l’innalzamento ebullioscopico è l’innalzamento della temperatura di ebollizione di un solvente quando in esso vengano aggiunti dei soluti. Nel caso specifico, il solvente è l’acqua mentre il soluto è il cloruro di sodio (NaCl), popolarmente conosciuto come sale da cucina.

La solubilità in acqua del cloruro di sodio a 100 °C è di circa 400 g L-1.

L’innalzamento ebullioscopico si calcola usando la formuletta:

ΔT=keb · m · i                                                                                         (1)

dove ΔT è la variazione della temperatura di ebollizione tra il solvente che contiene il soluto e quella del solvente puro; keb è una costante che si chiama costante ebullioscopica. Essa è tabulata per ogni solvente. Per l’acqua, la keb assume il valore di 0.512 °C kg mol-1. Infine, m è la cosiddetta molalità, ovvero la concentrazione di soluto espressa in mol kg-1, dove il peso si riferisce al solvente usato, mentre i è il cosiddetto coefficiente di Vant’Hoff.

Adesso possiamo applicare la formuletta (1) per calcolare quale quantità di cloruro di sodio permette di alzare la temperatura di ebollizione dell’acqua di quantità note. Quelle che che ho preso in considerazione sono le seguenti:

ΔT = 0.01; 0.025; 0.05; 0.075; 0.1; 0.25; 0.5; 0.75; 1; 1.25; 1.5; 1.75; 2; 2.25; 2.5; 2.75; 3; 3.25; 3.5

Dal grafico riportato nella figura qui sotto, ne viene che per aumentare di un solo grado centigrado la temperatura di ebollizione di un litro di acqua occorrono circa 114 g di NaCl. In realtà, noi non aggiungiamo mai oltre 100 g di sale nell’acqua che mettiamo a bollire per la pasta. Tutt’al più ne usiamo un decimo, ovvero circa una decina di grammi. Dallo stesso grafico si evince come l’aggiunta di una decina di grammi di NaCl ad un litro di acqua innalza il punto di ebollizione nell’intervallo 0.075 – 0.1 °C. In altre parole, la temperatura di ebollizione passa da 100 °C all’intervallo di temperature compreso tra 100.08 e 100.1 °C.

Ancora pensate, voi adulti, che chiedere se aggiungere il sale prima o dopo l’ebollizione sia una domanda seria?

Edit: nel calcolo dell’innalzamento ebullioscopico non ho tenuto conto del coefficiente di Vant’Hoff che, per il cloruro di sodio, è pari a 2. Questo vuol dire che, introducendo questo fattore di correzione, l’aumento di temperatura dell’acqua a cui si aggiungono grosso modo una decina di grammi di NaCl è intorno a 0.1-0.2 °C. Insomma, da 100 °C si passa a 100.1-100.2 °C. Rimane sempre valida la domanda: ancora pensate, voi adulti, che chiedere se aggiungere il sale prima o dopo l’ebollizione sia una domanda seria?

 

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Cosa è e quali sono le applicazioni della rilassometria NMR?

Più volte ho citato la tipologia di lavoro di ricerca che faccio all’università. La tecnica di cui sono diventato esperto, dopo aver lavorato per tanto tempo sulla spettroscopia di risonanza magnetica nucleare in fase liquida e solida, è la cosiddetta rilassometria NMR a ciclo di campo (fast field cycling NMR relaxometry). Questa tecnica aiuta a capire la dinamica molecolare di tantissimi sistemi chimici. In altre parole, aiuta a capire come si muovono le molecole in diverse situazioni fisiche. Per esempio, si può capire come si muovono i nutrienti vegetali nei suoli, come si comportano i contaminanti ambientali per arrivare anche alla definizione di parametri innovativi che possono misurare (ovvero quantificare) l’erosione dei suoli.

Tutto questo, e altro ancora, è stato spiegato in un webinar sulla rilassometria NMR patrocinato dalla Stelar srl e dalla COST Action CA15209: ”European Network on NMR Relaxometry il 29/05/2020.

Se avete una quarantina di minuti liberi e volete sapere di più, potete ascoltare cliccando sull’immagine qui sotto

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Oli, sali e zuccheri

Oggi ho trovato una bella sorpresa on line. La C1V edizioni ha reso disponibili le presentazioni fatte nel 2018 in occasione del secondo Convegno Nazionale Medicina e Pseudoscienza (CNMP).  Durante il convegno ho fatto una lunga lezione divulgativa sulle false informazioni in merito agli oli, ai sali ed agli zuccheri. Qualche mese dopo avrei pubblicato “Frammenti di Chimica” in cui si trovano molte delle cose che ho detto in quel convegno.
Se volete divertirvi ad ascoltarmi, qui sotto ci sono i miei tre interventi.

Prima parte

Seconda parte

Terza parte

In realtà il congegno del 2018 è stato molto ricco. Hanno partecipato tutti gli scienziati attivi nella lotta alle bufale: da Silvio Garattini a Piero Angela, da Roberto Burioni a Francesco Galassi e tanti tanti altri. Se volete fare un viaggio nel tempo e partecipare al convegno, potete iscrivervi al canale YouTube della C1V e ascoltare tutte le presentazioni. Basta cliccare sull’immagine qui sotto.

 

Società a Salute tra scienza e pseudoscienza

Ecco appena arrivata la locandina del nuovo convegno sulle pseudoscienze, nato da una riflessione tematica dopo la pubblicazione del mio libro, organizzato in collaborazione con la mia casa editrice la C1V e l’Università di Palermo.
Un enorme ringraziamento a tutti i relatori che parteciperanno e a tutte le collaborazioni che hanno reso possibile questo incontro. Grazie e vi aspetto.

 

Giovedì 25 ottobre 2018
h. 09.00 – 18.00
Aula Magna Ballatore – Dip. Scienze Agrarie Alimentari e Forestali
Palermo – Viale delle Scienze, Edificio 4

Registrazione qui: https://www.cnmpconference.com/cnmpw1

La chimica del pulito

Vi siete mai chiesti come mai per lavare qualcosa bisogna usare il sapone e, preferibilmente, acqua calda? È tutta questione di chimica fisica.

Più volte ho scritto in merito all’acqua ed alle sue proprietà. Per esempio, qui e qui potete leggere in merito alle proprietà dei legami a idrogeno, qui in merito al ruolo dei legami a idrogeno nell’innalzamento ebullioscopico, qui trovate il significato di pH e la sua dipendenza dalla temperatura.

La chimica dei saponi

Il funzionamento dei saponi è molto semplice e lo ho già descritto qui, quando ho parlato di acqua micellare. In sintesi, un sapone è fatto da molecole anfifiliche, ovvero che hanno caratteristiche sia idrofiliche che idrofobiche. In particolare, le molecole si arrangiano in modo tale da permettere che le teste idrofiliche, rimanendo a contatto con l’acqua, isolino dall’acqua le code idrofobiche che non hanno con essa una buona affinità (Figura 1).

Figura 1. Struttura di una micella. Le teste idrofiliche formano una “pellicola” che separa le code idrofobiche dal contatto con l’acqua (Fonte)

La natura delle micelle è tale da “indebolire” i legami a idrogeno dell’acqua con la conseguenza che si riduce la tensione superficiale del liquido stesso (Figura 2).

Figura 2. La tensione superficiale permette alle zanzare di “camminare” sull’acqua (Fonte)

La riduzione della tensione superficiale consente alle molecole di acqua di penetrare meglio all’interno dei pori dei tessuti degli abiti o della pelle (in generale di tutti i sistemi porosi) così da permettere alle micelle del sapone di interagire meglio con lo sporco.

Quando ciò accade, le micelle “inglobano” lo sporco nella parte idrofobica mentre le teste polari a contatto con l’acqua fanno in modo che lo sporco venga trascinato via dall’acqua stessa (Figura 3).

Figura 3. Funzionamento dei saponi. I punti rossi sono le teste idofiliche, i bastoncini gialli sono le code idrofobiche (Fonte)
Cosa c’entra la temperatura?

Ormai anche le pietre sanno che l’acqua è una molecola polare. La polarità dell’acqua è dovuta alla distribuzione degli elettroni all’interno della stessa molecola. Essa è tale che il centro delle cariche negative è preferenzialmente localizzato sull’ossigeno, mentre quello delle cariche positive sugli atomi di idrogeno (Figura 4).

Figura 4. Distribuzione della densità elettronica nella molecola di acqua (Fonte)

Alla polarità della molecola di acqua, in genere, si attribuisce la “responsabilità” dei legami a idrogeno summenzionati. La polarità dell’acqua è legata anche a quella che si chiama costante dielettrica. La costante dielettrica è una misura della capacità delle molecole di un mezzo (in questo caso l’acqua) di allineare il proprio dipolo elettrico secondo le linee di forza di un campo elettrico applicato (Figura 5).

Figura 5. Orientamento del dipolo acqua all’interno di un campo elettrico. Il centro delle cariche positive del dipolo si orienta verso il polo negativo mentre quello delle cariche negative si orienta verso il polo positivo (Fonte)

Più elevata è la costante dielettrica, più facilmente le molecole si allineano al campo elettrico applicato.

Da un punto di vista sperimentale, la costante dielettrica dell’acqua riduce di circa 80 volte la forza con cui interagiscono gli ioni presenti in un composto chimico. È per questo motivo che i sali tendono a sciogliersi bene in acqua.

Il valore della costante dielettrica è anche una misura della tensione superficiale del sistema liquido per cui esso è misurato. Più elevato è il valore di questa costante, maggiore è la tensione superficiale del liquido.

La Figura 6 mostra come varia il valore della costante dielettrica dell’acqua al variare della temperatura. In parole povere, l’aumento della temperatura comporta una diminuzione della costante dielettrica, ovvero una diminuzione della polarità dell’acqua ed una riduzione della sua tensione superficiale.

Figura 6. Variazione della costante dielettrica relativa dell’acqua con la temperatura

Come già spiegato nel paragrafo precedente, la riduzione della tensione superficiale permette all’acqua di “interagire” meglio con la superficie dei mezzi porosi (per esempio la pelle o un tessuto di un abito).

Conclusioni

L’uso combinato dei saponi e dell’alta temperatura permette una drastica riduzione della tensione superficiale dell’acqua aumentandone la capacità pulente. L’aumento della temperatura consente anche di sterilizzare gli “oggetti” che vengono lavati. La sterilizzazione, naturalmente, ha luogo solo se i microorganismi che contaminano gli oggetti non sono termofili, ovvero in grado di resistere alle classiche temperature usate negli elettrodomestici di casa (gli organismi termofili sono in grado di resistere anche a temperature di 80-90 °C).

Simpatico, vero, l’effetto della temperatura sulle proprietà dell’acqua?

 

Per saperne di più

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Acqua e sua qualità: per cosa dobbiamo preoccuparci?

Estate. Tempo di caldo. In città c’è una cappa fatta di smog che aumenta la sensazione di disagio per il caldo torrido. Cosa c’è di meglio che una bella bevuta di acqua fresca per reidratarci?

Qui a Palermo, ma in genere in gran parte del paese, si consuma tantissima acqua imbottigliata. Ce n’è per tutti i gusti. Acqua alcalina (ne ho già parlato qui), acqua ricca di ossigeno (ne ho parlato qui), acqua a basso contenuto di residuo fisso (ne ho scritto qui), acqua a basso contenuto di sodio (non ne ho ancora scritto, ma anche questa è una bufala commerciale), per non parlare dell’acqua contenente arsenico, nitrati e fluoruri che viene considerata tossica per cui meglio starne lontani ed impiantare inchieste giornalistiche prive di ogni senso.

La normativa sull’acqua

Avete mai letto l’etichetta di un’acqua in bottiglia? Non è che i gestori dell’imbottigliamento inseriscano le analisi delle acque che vendono per amore della chiarezza e dell’umanità. Essi sono costretti a farlo da tutta una normativa che, nel tempo, è diventata sempre più stringente e ha come punto focale la tutela della salute pubblica. Siete interessati a sapere quali sono le norme in merito? Eccone un elenco:

Per le acque destinate al consumo umano

D.L. n. 31 del 02 febbraio 2001 (Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano) pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 52 del 03 Marzo 2001

D.M. n. 174 del 06 aprile 2004 (Regolamento concernente i materiali e gli oggetti che possono essere utilizzati negli impianti fissi di captazione, trattamento, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano) pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 166 del 17 Luglio 2004.

Per le acque minerali, ovvero quelle in bottiglia che troviamo al supermercato

D.L. n. 105 del 25 Gennaio 1992 (Attuazione della direttiva 80/777/CEE relativa alla utilizzazione e alla commercializzazione delle acque minerali naturali) pubblicato sulla G.U. n. 39 del 17 Febbraio 1992 e sue successive modifiche ed integrazioni

D.L. n. 239 del 4 Agosto 1999 (Disciplina delle acque di sorgente e modificazioni al decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 105, concernente le acque minerali naturali, in attuazione della direttiva 96/70/CE) pubblicato sulla G.U. n. 231 del 1 Ottobre 1999

D.M. del 11 settembre 2003 (Attuazione della direttiva 2003/40/CE della Commissione nella parte relativa all’etichettatura delle acque minerali e delle acque di sorgente) pubblicato sulla G.U. n. 229 del 2 Ottobre 2003

D.M. del 29 dicembre 2003 (Attuazione della direttiva n. 2003/40/CE della Commissione nella parte relativa ai criteri dei valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali di cui al decreto ministeriale 12 novembre 1992, n. 542, e successive modificazioni, nonché alle condizioni di utilizzazione dei trattamenti delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente) pubblicato nella G.U. n. 302 del 31 Dicembre 2003

D.M. del 24 marzo 2005 (Gamme delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente destinate alla somministrazione) pubblicato nella G.U. n. 78 del 5 Aprile 2005

D.L. n. 176 del 8 Ottobre 2011 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali) pubblicata sulla G.U. Serie Generale n. 258 del 05 Novembre 2011

D.M. del 10 febbraio 2015 (Criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali) pubblicato sulla G.U. n. 50 del 2-3-2015

I limiti di legge

Tutta questa normativa impone l’obbligo di chiarezza stabilendo anche ciò che deve essere riportato sulle etichette. Inoltre impone anche dei limiti in merito alle sostanze che possono essere contenute nelle acque destinate al consumo umano ed imbottigliate. Volete un esempio? Leggete la tabella della Figura 1 qui sotto.

Figura 1. Alcuni dei parametri i cui limiti sono riportati nella normativa vigente in merito alla qualità delle acque destinate al consumo umano ed imbottigliate
Alluminio, Arsenico, Fluoro, Nitrato

Se non siete chimici, biochimici, biologi o medici, la lettura della Tabella di Figura 1 può fare impressione.

Ma come? La legge permette che ci siano sostanze tossiche come alluminio, arsenico, fluoro e nitrato? Ma lo sanno tutti (tipico dei bufalari) che sono sostanze che dovrebbero essere assenti dalle acque.

Chi fa queste affermazioni non sa che “è la dose che fa il veleno”.  Il nostro organismo è in grado di “sopportare” una certa quantità di sostanza ritenuta tossica senza alcuna conseguenza. È solo quando l’ammontare di una certa sostanza supera un dato limite che sopravvengono i problemi. Nella fattispecie i limiti riportati in tabella sono ben al di sotto di quelli pericolosi.

Cosa ci fanno sostanze potenzialmente tossiche nelle acque che compriamo?

Per rispondere alla domanda occorre sapere che l’acqua è uno dei quattro comparti ambientali con cui noi umani interagiamo. Gli altri sono suolo, sedimenti ed atmosfera.

L’acqua come comparto ambientale non è un sistema isolato, ma interagisce con tutti gli altri.

Figura 2. Ciclo idrologico (Fonte)

La Figura 2 mostra come l’acqua a livello globale interagisca con suolo, sedimenti ed atmosfera.

Il processo di evapotraspirazione porta l’acqua dalle riserve oceaniche, laghi, fiumi, mari e suolo verso l’atmosfera. Durante questo processo l’acqua perde il suo contenuto disciolto, disperso e sospeso.

Una volta in atmosfera, l’acqua gas (che per convenzione noi indichiamo come vapore) si muove per effetto delle correnti aeree. Quando si realizzano condizioni di temperatura e pressione adatti, le molecole di acqua vapore condensano a formare delle goccioline che diventano progressivamente sempre più grandi. Quando la forza di gravità prevale sulle forze dispersive (quelle che tengono disperse in atmosfera le microgocce di acqua), l’acqua ritorna sulla superficie terrestre sotto forma di pioggia.

Durante il processo di condensazione, l’acqua discioglie i gas dispersi in atmosfera come per esempio anidride carbonica, ossigeno, azoto, ossidi di azoto, ossidi di zolfo e così via di seguito. Molti di questi gas sono in atmosfera sia a causa dell’attività tellurica (per esempio eruzioni vulcaniche) che dell’attività antropica (per esempio gas di scarico delle automobili, residui della lavorazione industriale etc.).

Man mano che le gocce di acqua crescono, aumentano di peso e tendono, come già scritto, ad essere soggette alla forza di gravità. Nel loro movimento verso la superficie terrestre, le molecole di acqua condensata si arricchiscono di pulviscolo, batteri e spore di microorganismi. Questo vuol dire che quando arriva sulla superficie terrestre, l’acqua piovana non è pura nel senso chimico. Contiene già sostanze disciolte, in dispersione ed in sospensione.

Una volta al suolo, l’acqua si infiltra e/o scivola scorrendo verso le falde e le altre riserve di acqua. Durante il processo fisico di infiltrazione e/o scivolamento, l’acqua interagisce con tutto ciò con cui viene a contatto sia con meccanismi fisici che con meccanismi chimici.

Da un punto di vista fisico, lo “sfregamento” del liquido sulle rocce determina lo “sfaldamento” delle stesse e la formazione di particolato solido che entra in dispersione/sospensione nelle acque.

Da un punto di vista chimico possono avvenire tante reazioni. Per esempio, l’anidride carbonica disciolta durante il processo di condensazione atmosferica contribuisce ad aumentare la velocità dei processi di dissoluzione di rocce che contengono carbonati di calcio e magnesio facendo, così, in modo che l’acqua si arricchisca di questi composti. L’ossigeno disciolto, invece, contribuisce a reazioni di ossido-riduzione grazie alle quali l’acqua si arricchisce di solfati e nitrati.

Sistemi chimici come alluminio, arsenico e fluoro sono componenti di molte rocce per cui essi possono finire in acqua grazie ai processi chimico-fisici appena descritti e dovuti all’interazione tra l’acqua e la componente solida della superficie terrestre.

Conclusioni

Non ci dobbiamo preoccupare quando sulle etichette delle acque che compriamo al supermercato leggiamo della presenza di sostanze a cui il senso comune attribuisce una qualità negativa. Come esseri viventi noi siamo “nati” grazie all’acqua presente sul pianeta. A questo punto è chiaro che il termine “acqua” è molto più complesso del semplice “H2O” che impariamo fin dalle scuole medie. Esso, infatti, non si riferisce solo alle molecole di acqua in senso proprio, ma a tutto ciò che il sistema acqua, come sistema chimico complesso, contiene. Noi esseri viventi siamo adattati a resistere a tutto ciò che l’acqua contiene entro certi limiti. Oltre questi, noi parliamo di inquinamento e contaminazione (i due termini non sono esattamente sinonimi, ma ne parlerò altrove) per cui possiamo incorrere in seri problemi di salute.

State lontani da giornali e siti internet in cui si propaga un facile allarmismo sul contenuto tossico delle acque. Come la chimica ci insegna, noi abbiamo bisogno di acqua e di tutto ciò che essa contiene per la nostra sopravvivenza.

Fonte dell’immagine di copertinahttp://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2017-03-21/la-giornata-dell-acqua-primo-comandamento-riciclarla-192438.shtml?uuid=AEobRjq

La chimica dei giochi pirotecnici

Vi ricordate di quando vi ho descritto il fuoco greco? No!? Beh, era a questo link. Si trattava di una miscela di composti chimici in grado di bruciare anche nell’acqua. Devo dire che la chimica della combustione è molto affascinante, soprattutto se questa innesca una serie di reazioni spettacolari come quelle che si osservano alla mezzanotte di ogni fine di anno con i famosi botti di capodanno.

Cerchiamo di capire cosa accade a livello chimico fisico quando giochi pirotecnici come quelli nel filmato qui sotto (che si riferisce ai fuochi della festa di Santa Rosalia a Palermo nel 2016) ci meravigliano per il loro effetto scenico.

I saggi alla fiamma

Dovete sapere che gli studenti di chimica al primo anno (almeno ai miei tempi. Oggi non so più come sono i programmi delle ex facoltà di Chimica) studiano i saggi alla fiamma. In soldoni, si tratta di indagini che ci consentono di identificare gli elementi chimici nelle miscele attraverso il riconoscimento di certi colori caratteristici.

Andiamo con ordine.

Quando il metallo contenuto in un sale disciolto in una soluzione acida viene posto ad alta temperatura sulla fiamma di un becco Bunsen (cosa sia e come si usa, lo potete vedere nel simpatico filmato qui sotto), subisce una transizione elettronica, ovvero  i suoi elettroni passano da un livello energetico fondamentale ad uno eccitato. Quando gli elettroni ritornano nello stato fondamentale, emettono dei fotoni a delle lunghezze d’onda caratteristiche  che noi riconosciamo come colori.

Ogni elemento chimico è in grado di colorare la fiamma del becco Bunsen in modo caratteristico. In Figura 1 si vede come il rame sia in grado di produrre una fiamma verde, il sodio giallo-arancio molto intenso, lo stronzio rosso vivo et che etc.

Figura 1. Colori caratteristici di alcuni elementi della tavola periodica (Fonte)
I giochi pirotecnici

Cosa c’entrano i saggi alla fiamma con i giochi pirotecnici? Beh, prendiamo in considerazione la polvere da sparo. Si tratta di una miscela contenente: carbone (C), nitrato di potassio (KNO3)  e zolfo (S). Per effetto dell’innesco della combustione,  i composti anzidetti reagiscono in un processo esotermico portando alla formazione di carbonato di potassio (K2CO3), solfato di potassio (K2SO4), solfuro di potassio (K2S), carbonato di ammonio ((NH4)2CO3), oltre a un insieme di gas tra cui anidride carbonica (CO2), azoto molecolare (N2), idrogeno molecolare (H2), acqua (H2O), acido solfidrico (H2S) e metano (CH4),

Se la polvere da sparo viene compressa in un volume piccolo, per esempio un tubo, la reazione di combustione non produce solo calore. Infatti, la rapida espansione dei gas anzidetti produce anche un forte rumore che noi siamo abituati a chiamare “botto”.  Se la polvere da sparo viene miscelata con i sali di metalli quali il titanio, il calcio, il litio, l’antimonio, il sodio, il rame, il bario etc. all’esplosione, dovuta alla rapida espansione dei gas, si associa anche una  colorazione dovuta al fatto che, grazie alle alte temperature raggiunte durante la reazione, i metalli anzidetti emettono luce che noi percepiamo con i tipici colori illustrati nel paragrafo sui saggi alla fiamma.

Simpatica la chimica delle esplosioni, vero?

Fonte dell’immagine di copertinahttp://seekonkspeedway.com/event/labor-day-fireworks-thrill-show/

La lucentezza dei metalli

Vi siete mai chiesti perché uno specchio restituisce la nostra immagine riflessa? Si tratta di una tipica propietà dei metalli che noi indichiamo col termine di “lucentezza”.

La tavola periodica

La tavola periodica è, ormai, nota a tutti. Tuttavia, una cosa è sapere che esiste una “tabella” in cui sono riportate le proprietà fondamentali di tutti gli elementi chimici noti, altra è conoscere i dettagli di queste proprietà tra cui va certamente annoverata la lucentezza dei metalli.

Avete sicuramente maneggiato i fogli di alluminio come quello mostrato in Figura 1A. Si usano, per esempio, per conservare gli alimenti (Figura 1B), cucinare (Figura 1C) o applicare la tintura per capelli (Figura 1D).

Figura 1. Foglio di alluminio (A) e suoi usi. Conservazione degli alimenti (B); cottura (C); applicazione della tintura per capelli (D)

Come potete vedere si tratta di un materiale caratterizzato da una certa lucentezza, ovvero dalla capacità di riflettere la luce. Come l’alluminio, anche gli altri metalli della tavola periodica (tutti quelli colorati in verde nella Figura 2) hanno la medesima caratteristica.

Figura 2. Tavola periodica con, in verde, indicazione degli elementi metallici (Fonte)
A cosa è dovuta la lucentezza?

Per poterlo spiegare dobbiamo innanzitutto comprendere come è fatto un atomo.

Struttura dell’atomo

È ben noto che un atomo è costituito da un nucleo, contenente protoni e neutroni, e da elettroni. Questi ultimi  si muovono attorno al nucleo formando una nuvola generalmente indicata come “nuvola elettronica” (Figura 3).

Figura 3. Schema di atomo. Gli elettroni, che si muovono attorno al nucleo, formano una una nuvola elettronica (Fonte)

La nuvola elettronica è piuttosto complessa. Gli elettroni non possono semplicemente “ammucchiarsi” e stare tutti assieme. A coppie di due, essi si devono disporre a distanze differenti dal nucleo e devono occupare degli spazi la cui forma geometrica è variabile. La Figura 4 mostra proprio la forma di questi spazi occupati dagli elettroni e che chiamiamo “orbitali”.

Figura 4. Forma degli orbitali atomici s, p, d, f (Fonte)
Gli orbitali di valenza

Quando combiniamo più atomi assieme per formare un sistema multiatomico complesso, in realtà stiamo combinando le varie nuvole elettroniche ognuna fatta dall’insieme di orbitali descritti in Figura 4. In genere, per comodità, quando si descrive l’interazione tra atomi in un sistema multiatomico, si trascura il contributo alla interazione da parte degli elettroni che sono più vicini al nucleo, ovvero degli elettroni che occupano la parte più interna della complessa nuvola elettronica summenzionata. Il motivo per cui viene trascurato questo contributo è intuitivo. Immaginate ogni orbitale come se (*) fosse un palloncino. La nuvola elettronica può essere pensata come se fosse un inviluppo di palloncini la cui rigidità diminuisce man mano che aumentano le sue dimensioni, ovvero man mano che gli elettroni si allontanano dal nucleo. Il palloncino che ospita gli elettroni più lontani dal nucleo (chiamato anche orbitale di valenza) è quello più facilmente deformabile (il termine tecnico è “polarizzabile”). La deformabilità dei palloncini più esterni consente la loro migliore interazione per la formazione del legame chimico.

I legami nei metalli

Quando si raggruppa un insieme di atomi di un qualsiasi metallo della tavola periodica  (come nel caso del foglio di alluminio di Figura 1), si può pensare che si formi un sistema come quello descritto in Figura 5.

Figura 5. Schema di legame metallico

In altre parole, si può pensare che gli orbitali di valenza dei singoli atomi perdano la loro identità e si combinino (grazie alla loro elevata capacità di “deformarsi”) in modo da formare un unico “contenitore” in cui si muovono tutti gli elettroni di valenza. Questo vuol dire che gli elettroni dei palloncini più esterni non appartengono più ad un singolo specifico atomo, ma diventano elettroni dell’insieme di atomi. Immaginiamo, quindi, che i nuclei (in Figura 5 indicati con pallini gialli) siano immersi in un mare di elettroni (in Figura 5 indicati con pallini azzurri).

A questo punto mi si potrebbe dire che con questa descrizione io stia violando i principi più elementari della meccanica quantistica. Infatti, poco sopra ho scritto che gli elettroni non possono ammucchiarsi, ma devono occupare, a coppie, spazi dalle forme ben precise e disporsi ad una distanza ben definita dal nucleo. Al contrario ora io sto scrivendo che si è formato un “mare elettronico” in cui tutti gli elettroni sembrano essere tutti assieme appassionatamente. Volendo essere un po’ più precisi, possiamo dire che quando le nuvole elettroniche di valenza si combinano per formare il “mare elettronico”, si realizzano, in realtà, bande energetiche differenti molto vicine tra di loro in cui gli elettroni possono “entrare” ed “uscire”   mediante acquisizione o rilascio di una minima quantità di energia.

La lucentezza dei metalli

Quando una radiazione elettromagnetica (ovvero un raggio di luce) colpisce la superficie di una lamina metallica, gli elettroni si muovono da una banda energetica all’altra passando da uno stato fondamentale ad uno eccitato. Nel momento in cui gli elettroni tornano allo stato fondamentale, emettono dei fotoni alla stessa lunghezza d’onda della luce incidente con la conseguenza che viene restituito il riflesso dell’immagine che ha emesso la radiazione luminosa.

Maurits Cornelis Escher, Mano con sfera riflettente (Fonte)

Note ed approfondimenti

(*) la locuzione “come se” viene spesso usata dai chimici per fare delle analogie tra il mondo chimico e quello quotidiano. In altre parole, nel delucidare i modelli chimici e chimico-fisici, il “come se” viene usato per generare immagini mentali che, pur non essendo corrette, consentono la comprensione qualitativa dell’argomento di cui si discute. Gli orbitali NON sono palloncini, ma li immaginiamo come tali per comodità; un elemento chimico, una molecola NON sono sferici, ma le descriviamo come tali perché conosciamo tutto di una sfera ed è più semplice definirne il comportamento sotto l’aspetto qualitativo. Quando però dobbiamo applicare la matematica per la descrizione quantitativa del modello, non possiamo più usare le immagini mentali che abbiamo generato col “come se” e dobbiamo fare delle astrazioni che, per i non addetti ai lavori, risultano poco chiare o del tutto incomprensibili. Per comprendere le astrazioni dobbiamo passare dalla divulgazione scientifica al tecnicismo scientifico che può essere appreso solo attraverso uno studio specifico e settoriale.

Il legame chimico (1) e (2)

Il legame metallico

Il binario 9 e ¾ ovvero del perché non possiamo attraversare i muri come Harry Potter

Orbitali atomici ed ibridazione

Una lezione di Rai Scienza sul legame metallico

Fonte dell’immagine di copertina:

larapedia.com. Metalli e leghe

Chimica ed archeologia: il fuoco greco

Avete mai sentito parlare del fuoco greco? Si tratta di un’arma micidiale usata per la difesa di Costantinopoli, l’odierna Istanbul, contro gli attacchi di Arabi, Bulgari ed Avari.

Fonti antiche riportano non solo della potenza distruttrice di tale arma, ma anche del terrore che essa suscitava nella mente dei nemici. Infatti, la peculiarità di quest’arma era il suo enorme potere detonante, l’infiammabilità, l’impossibilità di spegnerlo con l’acqua, il fatto che sembrava bruciare anche l’acqua e la sua tossicità. Tutte queste caratteristiche assieme generavano terrore e, si sa, una battaglia si vince anche e soprattutto col terrore, ovvero spaventando i nemici che sono, quindi, portati a combattere meno energicamente.

Ma non è questa la sede per una digressione storica o psicologica. Qui voglio solo puntare l’attenzione sulla chimica del fuoco greco.

Come era fatto?

In realtà la ricetta del fuoco greco non è nota esattamente. Tuttavia, fonti antiche riportano che esso fosse una miscela di calce viva, salnitro, zolfo e nafta/pece. Quelli che leggete sono ingredienti noti fin dall’antichità. Anche gli antichi Romani conoscevano questi prodotti. La nafta/pece era oltremodo nota in Oriente ed a Costantinopoli, in particolare, che deteneva il potere proprio sulle terre in cui questo prodotto maleodorante era particolarmente facile da trovare.

Ma veniamo alla chimica del funzionamento del fuoco greco.

La calce viva è ossido di calcio (CaO) che a contatto con l’acqua porta alla formazione di idrossido di calcio con una reazione fortemente esotermica:

CaO + H2O = Ca(OH)2 + E

Il calore (E) generato dalla reazione anzidetta serve per innescare la reazione di degradazione del salnitro, ovvero del nitrato di potassio (KNO3) anch’esso ben noto nell’antichità, secondo lo schema:

2KNO3 + E = 2KNO2 + O2

L’ossigeno prodotto da questa reazione, assieme al calore generato dalla reazione di formazione dell’idrossido di calcio, innesca la combustione della nafta/pece secondo lo schema:

CnHm + (n + m/4)O2 = nCO2 + (m/2)H2O

La nafta/pece è una miscela di idrocarburi (CnHm) più leggera dell’acqua ed immiscibile in essa. Questo vuol dire che non solo la nafta/pece galleggia sull’acqua, ma anche che essa si spande sulla superficie dell’acqua ed una volta a fuoco, le fiamme non possono essere spente mediante l’uso di acqua.

L’alta temperatura generata sia dalla reazione della calce viva  con l’acqua che dal processo di combustione della nafta/pece, innesca la reazione di ossidazione dello solfo ad anidride solforosa (SO2). Questa a contatto dell’acqua genera acido solforoso (H2SO3) che è particolarmente tossico:

S + O2 = SO2

SO2 + H2O = H2SO3

Gli alchimisti Bizantini dovevano essere veramente dei fini conoscitori della natura e dell’uomo per aver ideato un’arma di distruzione di questa portata la cui temibilità è riconosciuta ancora oggi

Per saperne di più:

http://tutto-sapere.blogspot.it/2015/09/sul-fuoco-greco.html

http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=446

http://www.medioevouniversalis.org/phpBB3/viewtopic.php?f=11&t=156#p6883

pH. Il suo significato nei sistemi complessi (Parte I)

Quanti di voi sanno che cos’è il pH? Stiano zitti i chimici, i periti chimici e tutti coloro che hanno studiato, ad un qualsiasi livello, la chimica.

Bene. Mi perdoneranno tutti coloro che hanno studiato o studiano la chimica, ma devo dare la definizione di pH  a tutti coloro che non hanno idea, se non vaga, di cosa significhi questa parola.

Non è una parola magica; non è neanche un rito magico di carattere esoterico. Si tratta semplicemente di un modo che i chimici usano per riportare quella che è la concentrazione di ioni idrogeno (H+) in una soluzione acquosa. Mi diranno i chimici più estremi che il pH si può valutare anche per sistemi organici. Ma io non voglio essere estremo e mi attengo alla chimica più tradizionale, per cui mi fermo al fatto che la misura del pH è quella che si fa per le soluzioni acquose.

Il pH è il logaritmo in base 10 dell’inverso della concentrazione idrogenionica:

Anche la casalinga di Voghera sa che se il pH è inferiore a 7 si parla di sistemi acidi; se il pH è superiore a 7 si parla di sistemi basici; se il pH è proprio 7, allora si parla di sistemi neutri. Il problema è che, al di fuori del contesto chimico, le parole “acido”, “base” e “neutro” sono prive di significato. Ad usare in modo improprio termini che hanno un significato ben definito nel linguaggio scientifico ci si mettono anche i giornalisti. Per esempio cliccando qui si apre una pagina di Repubblica.it in cui si legge che una donna è stata aggredita ed è stata costretta a versarsi addosso della soda caustica. Per effetto di questa aggressione la donna ha subito ustioni da “acido”. Non ci credete? Allora cliccate sul link anzidetto oppure leggete la Figura 1 in cui ho evidenziato l’incongruenza tra “soda caustica”, che è una base, e “acido”, che nell’opinione comune è qualcosa che fa male.

Figura 1 Nell’opinione comune qualsiasi sostanza faccia male è considerata un acido. La notizia riportata qui è tratta da Repubblica Vicenza

Ma veniamo al punto principale di questa nota.

L’equilibrio di dissociazione dell’acqua si può scrivere in questo modo:

Questo equilibrio è governato da una costante alla quale è stato dato il nome di “prodotto ionico dell’acqua” che ha la forma:

Il valore del prodotto ionico dell’acqua è 1.0 x 10-14 M2 quando la temperatura è 25 °C. È facile calcolare il pH al punto di neutralità, ovvero quando la concentrazione degli ioni idrogeno è uguale a quella degli ioni ossidrile. Al punto di neutralità il valore di pH è 7.

Ciò che in genere molto spesso si dimentica è che le informazioni contenute nelle righe precedenti sono valide solo ed esclusivamente alla temperatura di 25 °C. Infatti, i valori delle costanti di equilibrio (ed il prodotto ionico è una costante di equilibrio) dipendono dalla temperatura alla quale si ha l’equilibrio chimico. La Figura 2 mostra come cambia il prodotto ionico dell’acqua al variare della temperatura.

Figura 2 Variazione del prodotto ionico dell’acqua al variare della temperatura

La Figura 3, invece, fa vedere il cambiamento del valore del pH in funzione della temperatura. Più è alta la temperatura più si abbassa il valore del pH relativo alla condizione di neutralità come conseguenza dell’indebolimento dei legami covalenti tra ossigeno ed idrogeno nell’acqua. A 100 °C, il valore del pH all’equilibrio è circa 6.1. Questo valore non indica acidità, bensì neutralità a quel valore della temperatura.

Figura 3 Variazione del pH dell’acqua pura con la temperatura

Ciò che è valido per l’equilibrio di dissociazione dell’acqua è valido per tutti i tipi di equilibrio. Per esempio, la dissociazione dell’acido acetico in acqua segue l’equilibrio:

La costante di equilibrio ha la forma:

Il valore della ka a 25 °C è 1.75 x 10-4 M. Da un lavoro pioneristico del 1933, si ricava il grafico di Figura 4 che mostra la variazione del valore della costante acida dell’acido acetico al variare della temperatura nell’intervallo 0-60 °C.

Figura 4 Variazioni con la temperatura della costante di dissociazione dell’acido acetico

Utilizzando valori differenti per le concentrazioni pre-equilibrio di acido acetico, è facile ricavare il grafico di Figura 5 che mostra come cambia il valore del pH nelle condizioni di equilibrio al variare della temperatura.

Figura 5 Variazione del pH all’equilibrio per la dissociazione dell’acido acetico a diverse concentrazioni di partenza e nell’intervallo di temperatura 0-60 °C

In sintesi, il valore del pH di una qualsiasi soluzione acquosa dipende da numerosi fattori tra cui: natura e concentrazione del soluto e temperatura del sistema.

Quando si considerano sistemi complessi in cui l’equilibrio acido/base è regolato dalla presenza di più coppie acido/base differenti, oltre alla temperatura, bisogna tener conto anche degli equilibri di dissociazione multipli. Per esempio, la valutazione del pH all’equilibrio per soluzioni di acido fosforico (H3PO4) va fatta considerando le seguenti condizioni:

Ad ognuno degli equilibri descritti è associata una costante il cui valore cambia in funzione della temperatura. Si capisce, quindi, che la valutazione del pH all’equilibrio diventa sempre più difficile all’aumentare della complessità del sistema.

Anche la presenza di sali altera i valori delle costanti di equilibrio. Per esempio la costante acida del secondo equilibrio dell’acido fosforico risente della forza ionica come indicato in Figura 6.

Figura 6 Variazioni della costante ka2 dell’acido fosforico in funzione della forza ionica. Le serie da A ad E indicano soluzioni di acido fosforico contenenti sali differenti

Riassumendo, il pH all’equilibrio per sistemi complessi contenenti coppie acido/base di natura differente dipende da natura del soluto, concentrazione del soluto, temperatura e forza ionica.

 

Fonte dell’immagine di copertina: http://alcyonitalia.com/items?key=_-57&keyType=I

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