Titolacci e titolini

Viviamo nel villaggio globale, non c’è dubbio.

La facilità con cui si possono avere le connessioni di rete per navigare in quel mare magnum caotico che è internet, promuove la diffusione veloce in ogni parte del globo di ogni tipo di informazione.

La cultura internettiana promuove l’evoluzione del nostro linguaggio e, di conseguenza, anche del nostro modo di pensare ed affrontare i problemi.

Qual è il modo migliore per attirare un utente sulla propria pagina? Bisogna incuriosirlo e fornirgli un’immagine o un titolo che possa spingerlo a cliccare e ad entrare nel sito. Non importa se l’utente leggerà o meno ciò che è scritto. Ancora meno importa se capirà ciò che leggerà. La cosa importante è attirare il click perché ad ogni click corrisponde un introito pubblicitario. Più click, più pubblicità, più soldi. Ecco, infine, la filosofia che predomina in rete. Ogni click è denaro.

Questa filosofia si è impadronita anche della carta stampata. Non che prima dell’avvento della rete non fosse così. La vendita delle copie dei giornali era legata all’abilità dei titolisti di fornire un titolo accattivante alle notizie di rilievo in modo tale che il passante venisse attirato e comprasse il giornale. Potrei dire che non c’è nulla di male in tutto ciò. Il problema è che gli addetti al settore ci dicono che oggi stiamo vivendo nel periodo della cosiddetta post-verità. Con questo termine “qualcuno indica una modalità di comunicare secondo la quale i fatti oggettivi sono meno rilevanti rispetto alle emozioni ed alle convinzioni” [1]. In ambito scientifico, questo significa diffusione di pseudoscienza di cui esempio sono l’omeopatia, l’agroomeopatia, l’agricoltura biodinamica, le sciocchezze che si leggono in merito alla Xylella e così via cantando.

Ma veniamo a noi.

Il 4 Luglio nell’inserto Scienze del quotidiano La Repubblica  appare un articolo dal titolo “E il moscerino cominciò a mangiare bio” con sottotitolo “Studenti di Foligno, come i veri biologi, hanno osservato gli effetti provocati dagli alimenti” (Figura 1).

Figura 1. Titolo dell’articolo apparso nell’inserto Scienze di La Repubblica del 4/07/2019

Fermiamoci al titolo ed al sottotitolo. Se io fossi uno che ha “fede” nell’agricoltura biologica, penserei “Mooooolto interessante. Hanno sicuramente fatto esperimenti per stabilire se i prodotti bio sono “attaccati” dai moscerini ed hanno visto che tra un alimento da agricoltura tradizionale ed uno da agricoltura bio, i moscerini, che fessi non sono, hanno cominciato a mangiare i secondi. Figo! È chiaro che i prodotti bio sono i preferiti anche dagli insetti“.

Ma leggiamo l’articolo (Figura 2)

Figura 2. Articolo che descrive l’esperimento fatto da studenti di Foligno

Gli studenti, provenienti da diversi istituti della cittadina umbra e impegnati in un programma di alternanza scuola-lavoro, […] sentono parlare sempre di “bio” e così si sono chiesti quali fossero gli eventuali effetti di regimi alimentari diversi, basati sul consumo di prodotti derivanti da agricoltura biologica e non“.

E già da questa introduzione si capisce che il titolo (titolaccio o titolino?) non c’entra proprio ma proprio nulla con l’esperienza fatta dagli studenti né con la qualità degli alimenti prodotti seguendo il disciplinare del biologico. In altre parole, gli studenti devono aver utilizzato due popolazioni differenti di moscerini alle quali sono stati somministrati prodotti differenti: da un lato alimenti da agricoltura tradizionale, dall’altro alimenti biologici. Insomma, non è che i moscerini preferiscono i secondi rispetto ai primi. Sono stati costretti a nutrirsi di biologico.

Ma andiamo avanti.

Abbiamo costruito un esperimento, utilizzando moscerini appartenenti a diverse specie di Drosophila, […] che condivide con gli esseri umani il 70 percento del patrimonio genetico. Nel corso dello studio i ragazzi hanno verificato gli effetti di una dieta sulla fertilità“.

Si incomincia a vedere la luce in fondo al tunnel. Gli studenti hanno misurato la numerosità della popolazione dei moscerini appartenenti a diverse specie di Drosophila, quando questa è soggetta a due diversi regimi alimentari: con prodotti da agricoltura tradizionale e con biologico. I moscerini non possono scegliere: o si mangiano quella minestra o si buttano dalla finestra (si diceva quando io ero piccolo).

E ancora

Nel corso dell’esperimento i ragazzi hanno riscontrato una maggiore fertilità dei moscerini alimentati con cibo non bio, osservando però che lo sviluppo di muffe negli alimenti bio potrebbe aver influito sulla deposizione delle uova – a cui il pasto fa anche da “incubatrice” – e la crescita della prole“.

E finalmente siamo giunti al punto cruciale. La popolazione di moscerini costretta ad alimentarsi con prodotti bio si è ridotta di dimensioni. Il motivo? Nella lotta alla sopravvivenza, tutti gli organismi viventi competono per le stesse fonti alimentari. I moscerini, in questo caso, competevano con le muffe che erano in grado di aggredire più velocemente i prodotti bio rispetto a quelli da agricoltura convenzionale. La conseguenza è stata che i moscerini alimentati a bio hanno perso la guerra per la sopravvivenza. Quelli che, invece, erano costretti a mangiare cibo da agricoltura tradizionale erano più fertili perché le muffe non erano efficienti come quelle che si sviluppavano sugli alimenti bio.

A questo punto mi si potrebbe dire: vedi che il biologico è migliore? I prodotti da agricoltura convenzionale sono meno suscettibili di attacco da muffe a causa dei “veleni” che vengono usati. Chi fa questa considerazione è semplicemente uno che non ha capito nulla di quanto scritto fino ad ora e soffre di analfabetismo funzionale. Noi siamo esseri viventi come i moscerini. Questi ultimi hanno perso la guerra contro le muffe. Le muffe che sconfiggono i moscerini sono le stesse che sconfiggono noi. Un alimento aggredito da muffe non è edibile e ci viene sottratto. I composti usati per la lotta alle muffe non sono un rischio per l’essere umano se usati seguendo tutte le indicazioni codificate. Il problema, quindi, non è il composto chimico ma l’essere umano stesso. Se uno fa un uso criminoso di un composto chimico, non è quest’ultimo a dover essere condannato, ma il criminale che lo usa in modo sconsiderato.

Conclusioni

Il titolaccio dell’articolo di La Repubblica lascia intendere qualcosa che non ha nulla a che fare con la realtà sperimentale che è stata messa in atto dai volenterosi studenti di Foligno. Gli studenti sono stati bravissimi; il titolista dell’inserto Scienze di La Repubblica molto meno. Bocciato. Si ripresenti alla prossima sessione!

Riferimenti

[1] A.M. Lorusso (2018) Postverità, Edizioni Laterza

Fonte dell’immagine di copertina

https://www.theatlantic.com/science/archive/2018/02/fruit-fly-drosophila/553967/

A tu per tu con l’esperto: la chimica nella vita quotidiana

Oggi tra le news della C1V edizioni (l’editore del mio libro “Frammenti di Chimica“), compare la rubrica “A tu per tu con l’esperto” in cui vengo intervistato in merito ad alcune curiosità quotidiane.

A proposito dell’acqua, c’è una reale differenza tra l’acqua del rubinetto e quella in bottiglia?

No. L’acqua di rubinetto è buona quanto quella in bottiglia. Anzi si può dire che la prima è soggetta a controlli di qualità chimico-biologica molto più frequenti rispetto a quelli cui sono soggette le acque imbottigliate. L’idea che le acque in bottiglia siano più buone dell’acqua di rubinetto è solo una indicazione che il marketing ha fatto e fa bene il proprio lavoro, ovvero convincere la gente della necessità di qualcosa di cui, in realtà, non c’è necessità [continua…]

La camera dei novax

 

Sette scienziati, Enrico Bucci, Pier Luigi Lopalco, Piero Carninci, Raffaele Calogero, Gerry Melino, Gilberto Corbellini ed io abbiamo deciso che la misura è colma. Le bugie non hanno nulla a che fare con la democrazia; e, in proposito, vale la pena ricordare le parole del Presidente Mattarella e quelle di Roberto Burioni. Qui sotto l’articolo de Il Foglio

Post originale qui

Il glifosato nei lavori medici

Uso questo spazio per esprimere la mia rabbia contro certi sedicenti scienziati che si permettono di pubblicare certe cose senza aver fatto un minimo di analisi critica dei dati che raccolgono. Quello che fa più male è che uno si fa in quattro per insegnare ai propri studenti il valore dell’analisi critica dei dati e poi appaiono in letteratura risultati che non stanno né in cielo né in terra. Il problema, poi,  è che, essendo questi dati pubblicati, vengono presi senza senso critico e sbattuti in faccia a chi invoca attenzione alla lettura dei lavori scientifici.

Certo che se non entro nei dettagli, si capisce poco. Chiedo scusa ma sono veramente indignato.

Nelle solite discussioni Facebook sto intervenendo in un post in cui per l’ennesima volta si demonizza il glifosato. Un medico ha inserito un link ad una notizia (qui) dalla quale è possibile accedere ad un lavoro scientifico in cui si mette in correlazione causa-effetto il glifosato ed il tumore al fegato (qui). Quando si legge il lavoro pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology, si arriva ad un punto in cui è scritto:

Glyphosate (women, 0.373 μg/L; standard deviation [SD], 0.41 vs men, 0.215 μg/L; SD, 0.17) (F = 5.18; P = .025) and glyphosate residue (women, 0.833 μg/L; SD, 0.67 vs men, 0.594 μg/L; SD, 0.38) (F = 4.09; P = .046) were elevated in women as compared with men“.

Hai voglia adesso a spiegare agli studenti l’importanza delle cifre significative (qui) quando in un lavoro pubblicato è scritto 0.373 ± 0.41 μg/L, oppure 0.215 ± 0.17 μg/L, oppure 0.833 ± 0.67 μg/L, o ancora 0.594 ± 0.38 μg/L. Ma, cosa ancora più grave, come si fa a spiegare agli studenti che non è possibile trarre una qualsiasi conclusione quando l’errore sperimentale è grande quanto il dato stesso (ovvero l’errore è del 100%)?

E quello che ho individuato non è l’unico passo falso. Eccone un altro:

In multivariate models adjusting for age, sex, and body mass index, as compared with patients without NASH, AMPA (F = 5.39; P = .022) and glyphosate residue (F = 7.43; P = .008) were elevated in patients with definite NASH (Table 1). When compared with patients without advanced fibrosis (stages 0 and 1), patients with advanced fibrosis (stages 2, 3, and 4) had elevated AMPA (0.196 μg/L; SD, 0.20 vs 0.365 μg/L; SD, 0.33) (F = 9.44; P = .003), glyphosate residue (0.525 μg/L; SD, 0.38 vs 0.938 μg/L; SD, 0.372) (F = 11.9; P = .001), and glyphosate (0.230 μg/L; SD, 0.19 vs 0.351 μg/L; SD, 0.45) (F = 4.13; P = .046), respectively“.

Anche in queso caso si traggono conclusioni sulla base di risultati sperimentali con errori vicini o molto vicini al 100%.

Ma è mai possibile che i reviewers non si siano accorti di un simile obbrobrio scientifico?

E questo è solo uno dei lavori che i detrattori del glifosato usano come leva per spingere all’abolizione dell’uso di questo erbicida in agricoltura.

Fonte dell’immagine di copertina: https://it.wikipedia.org/wiki/Glifosato

Frammenti di Chimica su Mondadori Store

Che dire. Ci son voluti due anni per scriverlo. Mi sono dovuto sciroppare tante di quelle sciocchezze pseudo chimiche che metà bastano, ma “Frammenti di Chimica” mi sta dando soddisfazioni. Da oggi è anche su Mondadori Store (cliccate qui o sull’immagine qui sotto)

oltre che sul sito dell’editore ad un prezzo particolarmente scontato (non lo sapevo. L’ho scoperto per caso cercando un’immagine di copertina per questa notizia). Il link alla C1V edizioni è qui o cliccando sull’immagine qui sotto

Bere tanti succhi di frutta fa male

Sulla mia bacheca Facebook appaiono tante notizie. Sono soprattutto di carattere scientifico, dal momento che ho selezionato le cose in modo tale che mi appaiano prima queste rispetto ad altre. Tra le notizie scientifiche, oggi mi compare quella che dà il titolo a questo breve articoletto: “Bere tanti succhi di frutta fa male” (in basso lo screenshot dalla mia bacheca. Se cliccate sull’immagine si apre il link alla fonte della notizia)

Il web-magazine che riporta questa notizia è una fonte attendibile nell’ambito della divulgazione scientifica. Peraltro fa un lavoro egregio riportando notizie di lavori recenti in ambito medico senza alcuna inferenza soggettiva. Insomma, riportano le notizie che appaiono sulle riviste specialistiche traducendo il linguaggio tecnico in uno più facilmente comprensibile dalla massa delle persone che non hanno una preparazione specialistica. Fanno, in altre parole, quello che ci si aspetta da professionisti della divulgazione.

Ed allora perché sto scrivendo questa nota con termini che fanno chiaramente capire i miei intenti polemici? Non me la prendo con MedicalXpress, bensì con gli autori del lavoro che essi citano e che potete trovare cliccando sull’immagine qui sotto


Proviamo a leggerlo assieme.

Gli autori si chiedono ” Is the consumption of sugary beverages (ie, sugar-sweetened beverages and fruit juices) associated with an increased mortality risk?” ovvero: il consumo di bevande dolcificate – laddove per dolcificate intendono addizionate di zucchero (che si suppone sia il saccarosio) – tra cui i succhi di frutta, sono legate al rischio di una mortalità più elevata?

La domanda sembra legittima: se abusiamo di bevande zuccherate rischiamo o no di accorciare la nostra vita?

Per rispondere a questa domanda, gli autori hanno raccolto una serie di dati studiando il comportamento di ben 13 440 adulti con età ≥ 45 anni, specificando che hanno preso in considerazione sia bianchi che neri, nell’ambito di un progetto intitolato: “The Reasons for Geographic and Racial Differences in Stroke (REGARDS)“.

Considerazioni sul termine “razza”

Già il titolo del progetto, molto onestamente, mi dà fastidio.

Non sono un native English speaker, per cui mi faccio aiutare da un dizionario monolingue (TheSage, scaricabile liberamente qui) per capire cosa voglia dire “racial”. Qui sotto ciò che mi ha fornito la ricerca:

Da quanto si legge nella figura, il termine “racial” in inglese ha la stessa accezione di “razziale” in italiano.

Che il termine “razza” e gli aggettivi ad esso correlati vengano utilizzati da politici di varia estrazione per far leva sulla pancia di persone che hanno una visione della società civile che non va oltre il proprio ombelico, mi sta bene. Si tratta di politica. Secondo me andrebbe fatta in un altro modo, ma non si può pretendere che tutti abbiano il medesimo livello culturale. E’ compito del comparto istruzione, quindi anche il mio, fare in modo che certi concetti vengano diffusi e compresi, sempre che non ci sia asservimento al potere (qui il manifesto della razza del 1938 che fu firmato da “eminenti scienziati” dell’epoca, mentre qui  un eloquente documento che riporta anche la lista dei 12 professori universitari, gli unici, che rifiutarono il giuramento al fascismo – quindi al potere costituito – nel 1931).

Che il termine venga utilizzato da scienziati per dar titolo ad un progetto scientifico, mi infastidisce non poco. Cliccando sull’immagine qui sotto si apre un ottimo articolo apparso nel 2005 a firma del Prof. Luigi Cavalli Sforza e riproposto da Il Sole24Ore nel Settembre 2018 – per commemorare la morte del Prof. Cavalli Sforza avvenuta un paio di giorni prima – in cui si capisce come il concetto di “razza” applicato agli esseri umani non abbia alcun significato.

Tutti coloro che si occupano di scienza dovrebbero sapere ciò che dice il Prof. Cavalli Sforza, anche gli scienziati che hanno firmato l’articolo di cui si sta discutendo in questa sede e che lavorano ad Atlanta – capitale della Georgia (USA), uno dei sette stati che diedero vita alla Confederazione che scatenò la guerra civile americana e combatté contro l’abolizione della schiavitù.

Ma la mia vena polemica non è destinata all’uso inopportuno dell’aggettivo “razziale”. Va ben oltre.

Continuiamo la lettura.

Gli autori dichiarano

On enrollment in the REGARDS study, diet was assessed using a self-administered Block 98 food frequency questionnaire (FFQ), a validated semiquantitative FFQ that assesses the usual dietary consumption of 110 food items (NutritionQuest). For each food item included in the FFQ, participants were asked about their usual consumption patterns during the preceding year, with response options ranging from never to every day. In addition to frequency of consumption, participants were asked to estimate the usual quantity of food consumed as either the number of specified units or the portion of food served on a plate. The FFQ survey form was given to participants during the baseline in-home visit. Once completed, they were mailed by participants in preaddressed envelopes to the REGARDS operations center. Questionnaires were verified for completeness and sent to NutritionQuest for analysis”.

In pratica è stato somministrato un questionario al quale i candidati al progetto hanno dovuto dare risposta. A questo questionario che ha consentito la selezione dei pazienti, hanno fatto seguito interviste telefoniche a cadenza semestrale:

Study participants (or their family members) were interviewed by telephone every 6 months to log all hospital visits or death events“.

Il resto dello studio è tutta una descrizione dei risultati ed una discussione che mi ricorda molto da vicino quella fatta per il progetto EPI3 di cui ho parlato sia nel mio libro “Frammenti di chimica” che nel mio blog (qui sotto):

Omeopatia e fantasia. Parte V. Aggiornamenti

Manca un controllo, un bianco, da usare come riferimento per capire se, effettivamente, l’abuso delle bevande dolcificate sia veramente correlato ad una elevata probabilità di morte. Inoltre, il lavoro si basa su interviste (come per il progetto EPI3 già ampiamente criticato) in cui si dà una grande importanza alla componente soggettiva di chi viene intervistato. Come conseguenza dei pochi limiti che ho evidenziato, viene elaborata una correlazione che potrebbe essere senza causazione tra mortalità e bevande dolcificate.

Correlazione e casusazione

Immaginiamo di elaborare un progetto nel quale è previsto che vengano intervistate qualcosa come 50000 persone. Le domande vertono sull’uso di prodotti da agricoltura biologica e sulla eventuale presenza, in ogni famiglia, di individui con disturbi dello spettro autistico. Una possibile correlazione è quella riportata nella seguente figura:

fonte

Da questa figura si può concludere che il consumo di cibo biologico è correlato ai disturbi dello spettro autistico. Invito, tuttavia, i lettori a voler leggere la fonte prima di trarre conclusioni in merito.

Immaginiamo ora un altro progetto in cui, attraverso interviste telefoniche, si cerca di comprendere quanti suicidi attraverso impiccagione, strangolamento e soffocamento siano avvenuti in un certo lasso di tempo e quale tipologia di rivista stessero leggendo i malcapitati nel periodo immediatamente precedente la loro morte. Potrebbe venir fuori una cosa come quella della figura qui sotto:

fonte

Da questa figura si capisce che le spese per finanziare la scienza, lo sviluppo delle tecnologie in generale e quelle per andare nello spazio, in particolare, sono direttamente responsabili dei suicidi per impiccagione, strangolamento e soffocamento. Anche in questo caso invito i lettori ad accedere alla fonte della figura prima di esprimere ogni opinione in merito.

Di correlazioni senza causazioni ne possiamo fare parecchie. Anche un paio di anni fa avevo evidenziato come il consumo abitudinario di mozzarelle fosse direttamente responsabile della capacità degli studenti statunitensi di conseguire un dottorato in ingegneria civile (qui sotto il link)

Correlazioni e causalità ovvero delle fallacie degli antivaccinisti

Conclusioni

A onor del vero, gli autori dello studio concludono il loro lavoro scrivendo:

Despite the availability of a large national sample, the number of participants who died during the relatively short follow-up period was small. This increases the risk of a type 2 error, particularly in stratified analyses. In addition, sugary beverage consumption was based on self-report, which is subject to an underreporting bias, specifically for SSBs, that has been shown to differ by a respondent’s weight status, among other factors.25 In addition, beverage exposure estimates were available only at baseline. The extent to which that measure reflects consumption throughout the follow-up period is unknown. Furthermore, we were unable to estimate consumption of all types of SSBs, including sweetened teas, which is known to be high among some adults. Nevertheless, it is important to note that the absence of these data is likely to have biased the observed associations toward the null. Third, nearly one-third of the REGARDS cohort did not complete an FFQ, which may have led to selection bias, compromising the interval validity of our study“.

In altre parole, gli stessi autori si rendono perfettamente conto che le loro conclusioni non sono definitive e che lo studio avrebbe dovuto essere fatto prendendo in considerazione un approccio differente.

Nonostante questa conclusione che consente di dire che lo studio deve essere preso con le mollette, cosa pensate titoleranno le migliori testate giornalistiche quando si accorgeranno di poter scrivere “contrordine compagni. I succhi di frutta fanno male“, potendo in questo modo ottenere tanti like e tante condivisioni che vuol dire anche tanta pubblicità?

Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto io mi vado a sbafare un ottimo succo di frutta. Visto che aumento la mia possibilità di morire (cosa che comunque accadrà), che almeno possa avvenire mentre si sviluppa in me la sensazione di soddisfazione conseguente all’aver assunto una bevanda dolcificata.

Fonte dell’immagine di copertina

Rete informale SETA – Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura

È nata la Rete Informale SETA – Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura che raccoglie professionisti del settore (accademici, liberi professionisti ed operatori agricoli) per lo sviluppo ed il sostegno ad una agricoltura sostenibile mediante l’uso delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie più attuali.

Nelle immagini che seguono potete leggere il Manifesto per l’Agricoltura del XXI secolo da cui riporto uno stralcio:

<Crediamo necessario guardare all’agricoltura in un’ampia prospettiva di spazio e di tempo: essa si deve prioritariamente preoccupare di assicurare ad un’Umanità in crescita cibo sufficiente in termini quantitativi, sicuro in termini qualitativi, appropriato in termini nutrizionali ed equamente distribuito; lo deve fare incrementando la propria capacità produttiva – quanto meno fintanto che non si giungerà alla stabilità demografica – senza provocare il depauperamento irreversibile delle risorse naturali, al contempo adottando logiche di multifunzionalità che mirino alla tutela del paesaggio, del benessere e della cultura delle comunità locali. In tal senso riteniamo che questi obiettivi possano essere raggiunti soltanto attraverso l’impiego integrato di tutte le tecnologie disponibili, sulla base dei principi di sostenibilità economica, sociale e ambientale>

Potete chiedere informazioni scrivendo all’indirizzo: info@setanet.it

A breve sarà disponibile anche il modulo per l’adesione alla Rete Informale SETA.

Nuove frontiere nella sintesi delle plastiche

Oggi sono stato intervistato da Juanne Pili su una nuova tecnologia per la sintesi di plastiche che cambiano il nostro approccio al riciclaggio.

Si tratta di plastiche in cui i sistemi carboniosi polimerici contengono dei legami dichetoenamminici (Figura 1).

Figura 1. Fonte

Questi  legami rendono le nuove plastiche più facilmente idrolizzabili in soluzioni acquose di  acidi forti rispetto alle plastiche tradizionali. Una volta idrolizzate le plastiche di nuova generazione, è possibile isolare i prodotti che si ottengono che possono essere riutilizzati per la sintesi di altra plastica.

L’intervista completa è su Open al seguente link:

Per saperne di più

1. https://www.nature.com/articles/d41586-019-01209-3?error=cookies_not_supported&code=297942b7-4d78-4834-a981-f524d7334160

2. https://www.nature.com/articles/s41557-019-0249-2

 

Xylella, scienza e superstizioni

Riporto da un post di Enrico Bucci:

“Le misure contro la Xylella fastidiosa sono spesso attaccate da un variegato mondo che ama definirsi ambientalista e libertario, il quale ciancia di attacco alla democrazia, di misure imposte senza prove e di pericoli per la salute.

Oltre 150 scienziati del settore, tra cui alcuni Lincei, ricercatori, medici, giuristi, amministratori locali, imprenditori agricoli, naturalisti e chi è o è stato in prima linea – tra loro il generale Silletti – ci dicono una sola cosa: non è così, basta bugie.

Trovate al link qui sotto le loro considerazioni e la possibilità di lasciare il vostro nome per unirvi a loro.”

Contro la disinformazione sull’epidemia di Xylella fastidiosa

Io ho firmato perché ritengo che il mondo scientifico debba risollevarsi contro questo rigurgito di superstizioni che alimenta solo interessi personali.

Fonte dell’immagine di copertina: https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Ostuni_olive_grove_SS379-3339.jpg

Fart chemistry

Stavolta il titolo è in inglese. “Fart chemistry” dà l’idea di qualcosa legato alla fantascienza. Invece si tratta di una chimica legata alla salute umana, e che, prosaicamente, può essere identificata come “chimica delle scoregge“. Ebbene sì. Le flatulenze con odori più o meno forti sono inquadrate nell’ambito di quel ramo della chimica/biochimica/medicina che viene indicato come “flatologia“. Gli scienziati che si occupano di flatologia sono indicati come “flatologi“.

Fart composition

La composizione chimica di una flatulenza cambia da individuo ad individuo in funzione delle caratteristiche del suo metabolismo e da ciò che mangia.

La composizione tipica, ma anche più semplice, è: azoto molecolare, idrogeno molecolare, anidride carbonica, ossigeno molecolare e metano. Si tratta, insomma, della composizione dell’aria che respiriamo, sebbene con rapporti relativi alquanto differenti. Per esempio il metano può raggiungere l’ammontare del 10% in volume nei casi più estremi.

Nessuno dei gas citati ha odore. Allora la domanda nasce spontanea: come mai le flatulenze hanno odori sgradevoli che vanno da quello delle uova marce a quello del pesce e della carne in putrefazione?

Ebbene, tutto dipende da ciò che mangiamo, come dicevo. La Figura 1 mostra le molecole più importanti che sono state identificate nei gas prodotti dal nostro intestino

Figura 1. Molecole tipiche presenti nei gas prodotti dal nostro intestino

Tra tutte le molecole mostrate in Figura 1, il tipico odore di uova marce è dovuto ai composti contenenti zolfo, l’odore di feci è dovuto a scatolo e indolo, le ammine volatili “sanno” di pesce andato a male, mentre l’odore degli acidi grassi a catena corta assomiglia a quello del burro rancido.

La cosa “simpatica” è che quando ero studente, i professori ci dicevano di fare attenzione quando maneggiavamo sistemi volatili contenenti zolfo. Questi hanno non solo la peculiarità del cattivo odore, ma anche quella di attaccarsi ai tessuti. Per questo motivo, i profs ci invitavano caldamente ad usare le cappe ed i camici per non rischiare di impestare i vestiti ed essere costretti a denudarci prima di poter entrare in casa. Insomma…se vi scappano flatulenze dal caratteristico odore di uova marce mentre siete seduti sul divano, ricordatevi che l’odore può persistere nel tempo perché le molecole descritte nella Figura 1 possono attaccarsi al tessuto del divano allontanandosi da esso molto lentamente.

Non c’è che dire. Una miscela micidiale in quanto a “profumo”. Apriamo le finestre

Fonte: http://ilsilenziodielia.blogspot.com/2010/07/finestre-aperte.html
Per saperne di più

What Is a Fart Made Of?

The chemistry of farts

The composition of human fart gas

Fonte dell’immagine di copertinahttps://m.baklol.com/baks/Health/12-Shocking-Reasons-Why-You-Sh-_2236/1

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