Caldo globale, temporali locali: l’apparente paradosso

Introduzione

Negli ultimi anni, gli eventi meteorologici estremi sono diventati sempre più frequenti, sia in Italia che nel resto del mondo.
Una mappa interattiva dell’ISPRA, consultabile online, mostra chiaramente dove questi eventi si sono verificati in Italia tra il 2020 e il 2024. Si osservano piogge torrenziali, grandinate eccezionali, ondate di calore anomale e prolungate. Tutti segnali di un sistema climatico sempre più instabile.

Come conseguenza di queste anomalie, è sempre più comune imbattersi – soprattutto sui social – in discussioni o thread in cui si afferma che fenomeni come le alluvioni, seguite da bruschi cali di temperatura, smentirebbero l’esistenza del riscaldamento globale.
Una frase ricorrente è:

“Altro che riscaldamento globale: ieri grandinava e oggi ci sono 18 gradi!”

Chi vive in zone come Palermo – dove, negli ultimi anni, si sono registrati picchi termici estremi e livelli di umidità superiori all’80%, anche in pieno giorno – tende invece a riconoscere, in modo molto concreto, la realtà del cambiamento climatico.

“Orpo… che caldo. Veramente stiamo andando verso qualcosa che non abbiamo mai vissuto.”

Ma come si concilia tutto questo?

Come può il riscaldamento globale provocare temporali violenti, grandinate e persino abbassamenti improvvisi della temperatura?

Dobbiamo innanzitutto ricordare che la logica scientifica è controintuitiva. Non possiamo applicare al metodo scientifico la logica che usiamo tutti i giorni per collegare ciò che vediamo con ciò che pensiamo sia vero: la realtà fisica spesso sorprende e non si lascia interpretare con impressioni o sensazioni.

Sulla base di queste premesse, chiediamoci cosa accade sulla superficie terrestre quando la temperatura aumenta di un solo grado Celsius. Un grado può sembrare poco. Se tocchiamo una pentola a 70 °C proviamo lo stesso bruciore che a 71 °C. E non distinguiamo tra il freddo di 0 °C e quello di -1 °C.

Ma il pianeta non è il nostro palmo, né il nostro naso.

Nel sistema Terra, un solo grado può fare una differenza gigantesca: significa più energia, più evaporazione, più acqua nell’atmosfera. E più acqua nell’aria significa, potenzialmente, più pioggia, più violenza, più squilibrio.

Per capire quanto sia concreta questa affermazione, facciamo un semplice calcolo: stimiamo quanta acqua in più evapora dagli oceani quando la loro temperatura superficiale sale di un solo grado come, per esempio, da 25 °C a 26 °C.

Effetti della temperatura sull’equilibrio H2Oliquido = H2Ovapore

Per semplicità, consideriamo solo una porzione di oceano estesa per 100 milioni di metri quadrati (pari a 100 km²) e limitiamoci al primo metro d’aria immediatamente sovrastante. Vogliamo capire quanta acqua in più finisce nell’aria subito sopra l’oceano quando la sua temperatura sale di un solo grado, da 25 °C a 26 °C.

  1. L’equazione di Antoine

Per stimare la pressione di vapore dell’acqua alle due temperature, usiamo la formula empirica di Antoine, valida tra 1 e 100 °C:

log₁₀(P) = A − B / (C + T)

dove:

  • P è la pressione di vapore in mmHg,
  • T è la temperatura in gradi Celsius,
  • A, B, C sono coefficienti specifici per ciascuna sostanza (ad esempio, acqua, etanolo, acetone…) e validi solo entro certi intervalli di temperatura. Nel caso specifico dell’acqua: A = 8.07131; B = 1730.63; C = 233.426 (valori specifici per l’acqua in questo intervallo). Il riferimento per i valori numerici di A, B e C è qui.

Convertiamo poi la pressione in Pascal (1 mmHg = 133.322 Pa).

  1. I risultati

Applicando i valori:

  • a 25 °C si ottiene P ≈ 23.76 mmHg, cioè circa 3158 Pa;
  • a 26 °C si ottiene P ≈ 25.13 mmHg, cioè circa 3351 Pa.
  1. Calcolo della densità del vapore

Convertiamo ora la pressione parziale in densità di vapore acqueo (ρ), usando l’equazione dei gas ideali:

ρ = (P × M) / (R × T)

dove:

  • P è la pressione in pascal,
  • M è la massa molare dell’acqua (18.015 g/mol),
  • R è la costante dei gas (8.314 J/mol·K),
  • T è la temperatura assoluta in Kelvin.

Calcolando:

  • a 25 °C (298.15 K) si ottiene ρ ≈ 0.02295 kg/m³;
  • a 26 °C (299.15 K) si ottiene ρ ≈ 0.02431 kg/m³.
  1. L’aumento netto di vapore

La differenza di densità è:

0.02431 − 0.02295 = 0.00136 kg/m³

Moltiplichiamo per il volume d’aria (100 000 000 m³):

0.00136 × 100 000 000 = 136.000 kg

In altre parole, un aumento di temperatura di 1 °C (da 25 a 26 °C) genera 136 tonnellate di vapore in più, solo su una superficie di 100 km² e solo nello strato d’aria immediatamente sopra l’oceano.

E se fosse tutto l’Atlantico?

Se estendiamo il calcolo all’intera superficie dell’Oceano Atlantico – circa 116 milioni di km² – otteniamo:

157 800 000 000 kg, ovvero 158 milioni di tonnellate di vapore acqueo in più.

E questo, lo ripeto, solo nello strato d’aria immediatamente sopra la superficie, per un singolo grado in più.

Ma quei numeri non restano sulla carta. Entrano in circolo nell’atmosfera, e da lì comincia il loro impatto reale.

Dall’oceano alla pioggia: il viaggio del vapore

Ma cosa succede a tutta quest’acqua una volta entrata in atmosfera?

Viene trasportata dalle correnti. Quando incontra masse d’aria più fredde, condensa formando nubi e poi pioggia. Se la quantità di vapore è anomala, lo saranno anche le precipitazioni: brevi, violente, improvvise.

Inoltre, il vapore acqueo è attivo nell’infrarosso: è un gas serra molto più potente della CO₂, anche se molto più effimero. In climatologia si parla di feedback positivo: l’aumento della temperatura fa evaporare più acqua → il vapore trattiene più calore → aumenta ancora la temperatura → e così via.

Quella pioggia non è “contro” il riscaldamento: è il riscaldamento

Piogge torrenziali, grandinate e cali locali della temperatura non smentiscono il riscaldamento globale. Al contrario, ne sono una conseguenza. Il sistema Terra si scalda in media, ma localmente può produrre raffreddamenti temporanei proprio in risposta a squilibri energetici più ampi.

Conclusioni

Il calcolo che ho presentato è, ovviamente, una semplificazione. Non tiene conto del vento, della turbolenza, della salinità, né della reale dinamica verticale dell’atmosfera. Non pretende di descrivere con esattezza tutto ciò che accade nell’interazione tra oceano e cielo. Ma ha un obiettivo chiaro: rendere visibile, con i numeri, una verità che l’intuizione fatica a cogliere.

Perché la logica scientifica non coincide con il senso comune.

Come ho già scritto, nel nostro vissuto quotidiano, un solo grado in più non è nulla. Non percepiamo differenze tra 0 °C e -1 °C, tra 70 °C e 71 °C. Ma il sistema Terra non funziona secondo ciò che sentiamo sulla pelle: funziona secondo leggi fisiche. E in fisica, un solo grado può significare miliardi di tonnellate d’acqua in più nell’atmosfera. Significa più energia, più instabilità, più violenza meteorologica.

Paradossalmente, quello che percepiamo come una smentita del riscaldamento globale – la grandine, il temporale, il crollo improvviso delle temperature – ne è invece una manifestazione diretta.

Il clima risponde con intensità e disordine proprio perché è fuori equilibrio. E lo è, in parte, per colpa di quell’apparente “piccolo” grado in più.

La scienza ci dà gli strumenti per misurare, per capire, per anticipare.

Sta a noi scegliere se vogliamo continuare a confondere il temporale con una tregua, o iniziare a leggere in quelle piogge il segnale di un sistema che sta cambiando – e lo sta facendo sotto i nostri occhi.

Quella pioggia che ti ha fatto dire “ma quale riscaldamento globale?” è esattamente il motivo per cui dovremmo iniziare a preoccuparci.

Microplastiche, lavastoviglie e fake news: come orientarsi tra dati e paure

Già in un mio precedente articolo avevo affrontato il tema delle microplastiche, cercando di distinguere tra rischi reali, ipotesi ancora in fase di studio e allarmismi infondati. Se volete rinfrescarvi la memoria o approfondire meglio il quadro generale, potete leggerlo qui:
? Microplastiche: i rischi che conosciamo, le sorprese che non ti aspetti

In questa sede voglio, invece, portare alla vostra attenzione il pericolo della divulgazione basata sull’allarmismo.

33 milioni di micro- e nanoplastiche? Cosa c’è davvero dietro le notizie virali

Negli ultimi giorni si è diffusa online una notizia allarmante: le lavastoviglie sarebbero una fonte importante di microplastiche, con milioni di particelle rilasciate ad ogni ciclo di lavaggio. Su siti come HDBlog (vedi screenshot qui sotto) si parla addirittura di 33 milioni di nanoplastiche generate da un solo ciclo di lavaggio, dipingendo un quadro piuttosto drammatico per l’ambiente domestico e urbano.

Immagine presa dal sito HDBlog

Tuttavia, analizzando con attenzione lo studio scientifico originale su cui si basa questa notizia, emergono diversi aspetti importanti e ben diversi da quelli riportati in modo semplicistico e sensazionalistico da molti siti di “pseudo divulgazione”.

Innanzitutto, lo studio mostra che sì, le lavastoviglie rilasciano micro- e nanoplastiche, ma la quantità è estremamente bassa: meno di 6 milligrammi di plastica all’anno per persona, cioè meno del peso di un chicco di riso. Paragonare questo dato numerico alla dichiarazione di milioni di particelle è fuorviante, perché il numero di particelle non dice nulla sulla massa o sull’impatto reale, che rimane trascurabile su base individuale.

Inoltre, la tipologia di plastica e la dimensione delle particelle variano in base al tipo di articolo lavato (polietilene, polipropilene, nylon, ecc.), e i materiali più “vecchi” o usurati rilasciano più frammenti. Lo studio suggerisce quindi che sia importante approfondire come l’invecchiamento della plastica influisca sulla generazione di microplastiche, cosa che non viene mai menzionata nei titoli allarmistici.

Dal punto di vista ambientale, sebbene i sistemi di trattamento delle acque reflue trattengano circa il 95% delle microplastiche, la quantità complessiva globale rilasciata nell’ambiente sta crescendo con l’aumento dell’uso della plastica. Tuttavia, le lavastoviglie domestiche rappresentano solo una piccola fonte rispetto ad altre.

Un articolo più attendibile e chiaro sull’argomento, che riporta fedelmente i risultati della ricerca, è quello di Phys.org, sito scientifico noto per l’accuratezza e la qualità della divulgazione. Vi consiglio di leggere anche lì per avere un quadro completo e serio della situazione.

Come riconoscere le fake news ambientali?

Molto spesso mi chiedono: “Se non sono esperto, come faccio a capire se una notizia è attendibile”? La risposta non è semplice, ma c’è una regola d’oro: non fermatevi mai alla prima fonte che conferma ciò che già pensate o che alimenta le vostre paure o convinzioni. Spesso chi cerca notizie sensazionalistiche cade nel cosiddetto cherry picking, ovvero sceglie solo quei dati o informazioni che supportano la propria idea, ignorando tutto il resto. Questo atteggiamento è comune a chi si sente “rivoluzionario” o “antisistema”, ma in realtà non ha le competenze scientifiche per comprendere a fondo la questione.

Per evitare di cadere in queste trappole, è fondamentale confrontare le informazioni con fonti diverse e affidabili, preferendo siti di divulgazione scientifica consolidata, che spiegano dati, metodi e limiti delle ricerche. Ma come riconoscere un sito davvero affidabile? Ecco alcuni indicatori:

  • Chiarezza e trasparenza delle fonti: i siti seri riportano sempre riferimenti precisi agli studi scientifici originali o a istituti riconosciuti, spesso con link diretti alle pubblicazioni o informazioni sugli autori.

  • Presentazione equilibrata dei dati: non si limitano a enfatizzare solo risultati sensazionalistici, ma spiegano anche i limiti delle ricerche e le diverse interpretazioni possibili.

  • Assenza di titoli esagerati o clickbait: i titoli sono informativi, senza allarmismi o esagerazioni mirate solo a catturare l’attenzione.

  • Autori qualificati e trasparenza: i contenuti sono scritti o revisionati da esperti o giornalisti scientifici con esperienza e il sito fornisce informazioni su chi li produce.

  • Aggiornamenti regolari e dialogo con i lettori: i siti affidabili aggiornano le informazioni con nuovi studi, correggono eventuali errori e talvolta rispondono alle domande o ai commenti.

  • Scopo divulgativo ed educativo: l’obiettivo è informare e spiegare con rigore, non vendere prodotti o promuovere agende ideologiche.

Le testate generaliste o i siti di pseudo divulgazione spesso puntano più al click facile e all’effetto emotivo che a un’informazione rigorosa e bilanciata. Il risultato è un circolo vizioso di paure ingiustificate, confusione e disinformazione, che non aiuta né il pubblico né la causa ambientale che vogliamo davvero sostenere.

Conclusioni

La lotta all’inquinamento da plastica passa innanzitutto dal controllo e dalla prevenzione all’origine, riducendo l’uso di plastica, migliorando il riciclo e introducendo filtri efficaci nelle apparecchiature domestiche come lavatrici e lavastoviglie. Non facciamoci ingannare da titoli e numeri sensazionalistici: l’informazione corretta è il primo passo per agire con consapevolezza.

Senza logica mal si cogita: intervista

Non sono sparito dal panorama della rete. Ho solo diradato i miei interventi e mi limito a considerazioni sulle cose più curiose e strane che mi possono capitare per le mani.

Qualche tempo fa Michele Totta, autore di un bellissimo libro sull’intreccio tra scienza e filosofia (qui) e gestore di un ottimo canale YouTube dal titolo “Senza logica mal si cogita” (qui), mi chiese la disponibilità per una breve intervista sulla scienza e sulle mie attività. Inutile dire che mi sono sentito onorato per una tale richiesta ed ho accettato con enorme piacere. L’unico problema è che se mettete un microfono in mano a un professore universitario, il concetto di “breve” è relativo. Ed infatti l’intervista è durata un po’ più di un’ora. Devo dire che non me ne sono accorto, ovviamente, e mi sono divertito parecchio. Abbiamo parlato di un bel po’ di cose, finendo anche sull’idea che ho io di scienza e sui motivi che mi hanno spinto a fare il chimico. Se avete voglia di passare un’oretta circa della vostra vita con Michele e me, basta cliccare qui sotto:

 

 

Parlo di biodinamica con la Senatrice Cattaneo e Gianluca Nicoletti

Oggi sono stato nella trasmissione di Gianluca Nicoletti (Melog) a parlare della biodinamica. Ho preceduto il bellissimo intervento della Senatrice Elena Cattaneo. Per ascoltare il podcast basta cliccare sull’immagine qui sotto per aprire la pagina dei podcast di Radio24 e da lì cliccare sul tastino “play”. Buon ascolto.

Il podcast si può ascoltare anche sulla pagina Facebook di Melog, qui sotto

Fonte dell’immagine di copertina

 

Parliamo di agricoltura biodinamica

“Parliamo ancora di agricoltura biodinamica?”, chiederete voi. “Ma non ti stanchi mai?”, aggiungerete. Il fatto è che se non si alza la voce, maghi e fattucchiere hanno la meglio sulla ragione e la logica.

Purtroppo è di queste ore la notizia che il Senato della Repubblica ha approvato un disegno di legge sull’agricoltura biologica (qui). Fin qui niente di strano, potrete dire. Il problema è che gli appassionati di esoterismo, che evidentemente non mancano tra quelli che siedono nei banchi del Senato, hanno approvato una legge in cui l’agricoltura biodinamica viene equiparata in tutto e per tutto all’agricoltura biologica. Quali sono le conseguenze di tutto ciò? Una tra tutte è che pagheremo con le nostre tasse gli incentivi all’agricoltura biodinamica esattamente come paghiamo quelli all’agricoltura biologica che, però, ha fondamenta scientifiche che la prima non ha.

Di questo e di altro parleremo in diretta streaming su YouTube e Twich e il 25 Maggio alle ore 20:30 assieme a Daniel Puente, che gestisce un interessantissimo canale YouTube (qui), e Valentino Riva.

Per la diretta YouTube basta cliccare qui: https://youtu.be/L26PJauNcfs

Per la diretta Twich basta cliccare qui: https://www.twitch.tv/biologic_twitch

Vi aspettiamo!

Sugli insetti e sui parabrezza

Avete mai sentito parlare del widescreen phenomenon? No? Eppure, tra gli ecologisti della domenica va per la maggiore. Si tratta della constatazione che il numero di insetti stia diminuendo perché i parabrezza delle auto non sono più così sporchi di insetti spiaccicati come quando eravamo piccoli.

Sono le classiche elucubrazioni di gente che di scienza non capisce niente e capisce ancor meno di come si realizza un disegno sperimentale per trovare una risposta alla domanda “la popolazione di insetti su scala globale sta veramente diminuendo?” oppure “esiste una relazione tra l’uso di agrofarmaci e numerosità della popolazione di insetti?”, e potrei continuare, naturalmente. È la stessa tipologia di approccio pseudoscientifico che viene usato dai fantastici fautori di quella robaccia che si chiama omeopatia e che si riassume con “su di me funziona” (ne ho già scritto qui).

La cosa bella è che queste elucubrazioni vengono diffuse da siti molto seguiti (per esempio qui e qui) che contribuiscono alla cosiddetta disinformazione o cattiva divulgazione scientifica.

Vediamo perché la relazione tra parabrezza, numero di insetti spiaccicati e popolosità degli stessi sia una bufala.

Innanzitutto, dobbiamo cominciare col dire che uno studio su scala globale relativo alla perdita di biodiversità (non solo, ma limitiamoci alla biodiversità) va disegnato in modo tale da ottenere risultati non solo replicabili, ma anche riproducibili[1]. Alla luce di quanto scritto, è possibile pensare che il numero di volte in cui puliamo il parabrezza delle nostre automobili sia un dato attendibile? La risposta è no. Il motivo è abbastanza semplice: percorriamo sempre la stessa strada? Sempre alla stessa velocità? Sempre nelle stesse condizioni climatiche? Sempre con la stessa auto?

Esistono strade di tantissime forme, dimensioni e condizioni, tutti fattori che vengono sempre ignorati quando il windscreen phenomen è usato come indice per misurare la popolazione degli insetti. Non dimentichiamoci, inoltre, che le strade generano i cosiddetti bordi nel paesaggio. Come sanno tutti quelli che si interessano di indagini analitiche di ogni tipo, gli effetti dei bordi sono sempre difficili da misurare e generalizzare.

E come facciamo il campionamento? Guidiamo verso i bordi della carreggiata? Allora ci dobbiamo aspettare di campionare una popolazione di insetti di corporatura più massiccia di quelli che potremmo rilevare sul parabrezza se guidassimo esattamente al centro della strada. E a che ora pensiamo di fare il campionamento? Persino io che non sono un entomologo so che la tipologia di insetti che vivono negli ambienti intorno alle strade differisce a seconda del periodo della giornata in cui ci muoviamo. E cosa andiamo a misurare? Il numero di resti presenti sul parabrezza? La loro densità? La forza che usiamo per staccare i poveri resti degli insetti spiaccicati?

Ma non basta. Se io guido sempre nella stessa microzona del pianeta, mi posso permettere di estrapolare le mie pseudo-osservazioni ad altre zone del pianeta? Ovviamente no, perché le mie pseudo-osservazioni sono valide solo per la strada che percorro abitualmente, non per le altre. Chi mi assicura che gli insetti non si siano evoluti in modo tale da andare a popolare le zone limitrofe a quelle che io frequento abitualmente con la mia auto, solo perché hanno imparato che la zona che frequento è quella più pericolosa del sistema in cui essi vivono?

Eh, sì. Tutte quelle elencate, ed anche di più, sono le domande a cui dobbiamo rispondere per rendere un dato attendibile. Sfido tutti gli pseudo-ambientalisti che usano il windscreen phenomenon a rispondere in modo coerente a tutte le domande sopra elencate.

Letture aggiuntive e note

The windscreen phenomenon: anecdata is not scientific evidence

More than 75 percent decline over 27 years in total flying insect biomass in protected areas

Declining abundance of beetles, moths and caddisflies in the Netherlands

Parallel declines in abundance of insects and insectivorous birds in Denmark over 22 years

[1] Replicabilità e riproducibilità non hanno lo stesso significato. La prima si riferisce alla capacità del medesimo ricercatore (o gruppo di ricerca) di ottenere i medesimi risultati nello stesso laboratorio in tempi differenti. La seconda si riferisce alla capacità di ricercatori differenti in laboratori differenti e fisicamente lontani tra loro, di ottenere i medesimi risultati di una data ricerca scientifica.

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Ancora su anidride carbonica e mascherine

Vi ricordate la lettera aperta che all’inizio di ottobre ho scritto ad Enrico Montesano? No!? Eccola nel link qui sotto:

Lettera aperta ad Enrico Montesano

In questa lettera facevo notare al mai dimenticato Rugantino che quanto asseriva in merito alla pericolosità delle mascherine erano tutte sciocchezze. Lo facevo con la solita metodica scientifica, ovvero considerando gli aspetti quantitativi relativi alla dimensione delle molecole di anidride carbonica e quella dei pori delle mascherine attraverso cui il gas passa.

Per darvi una idea grafica delle conclusioni in merito al rapporto dimensionale tra la molecola di anidride carbonica e un poro di una mascherina chirurgica, potete far riferimento alla Figura 1.

Figura 1. Il puntino a sinistra è la rappresentazione di una molecola di anidride carbonica. Il cerchio a sinistra è la rappresentazione di un poro di una mascherina chirurgica.

In questa figura, considerando unitaria la dimensione della molecola di CO2 (il puntino a sinistra), un poro di una mascherina chirurgica risulta circa 800 volte più grande della molecola di anidride carbonica (cerchio a sinistra in Figura 1).

Nei giorni successivi alla pubblicazione della lettera aperta c’è stato un delirio di interventi (tra messaggi nel blog e lettere ai miei indirizzi e-mail) tutti a carattere monotematico. Ad eccezione di tre/quattro persone che si sono complimentate per aver finalmente evidenziato, numeri alla mano, l’incongruenza di quanto detto da Montensano e i figuri a cui egli si ispira, c’è stata gente che, per lo più in un italiano stentato e dimostrando di aver saltato tutte le lezioni sulle equivalenze fatte alle scuole elementari, pretendeva di mettere in dubbio i numeri riportati nella mia lettera aperta. Le argomentazioni andavano dall’aver usato concetti di chimica troppo complicati (SIC!), alla matematica troppo difficile (SIC!), al fatto che io non uso la mascherina in modo continuativo e non so cosa vuol dire stare tutto il giorno con questo dispositivo di protezione individuale, al fatto che non soffro di patologie che mi impediscono di indossare la mascherina. E potrei continuare.

Nel marasma di commenti tutti sulla falsariga di quanto appena riportato, ci sono stati alcuni interventi che meritano la mia attenzione. In sintesi, si tratta di commenti che evidenziano come le mie argomentazioni siano corrette considerando una singola molecola di CO2 ed un singolo poro di una mascherina chirurgica. Tuttavia, avrei dovuto considerare che noi espiriamo milioni di miliardi di molecole di anidride carbonica. I pori della mascherina rappresentano, quindi, un “collo di bottiglia” attraverso cui tutte quelle molecole non riescono a fuoriuscire tra un respiro e l’altro, con la conseguenza che reimmettiamo nel nostro organismo la CO2 che abbiamo appena espirato.

Purtroppo, la logica che ci ha consentito di sopravvivere alle belve feroci per arrivare fino ad oggi, non si può applicare in ambito scientifico dove i modelli che vengono sviluppati sono tutti, ma proprio tutti, controintuitivi. Inoltre, fare  affermazioni senza il supporto di dati numerici non è esattamente corretto sotto il profilo scientifico. Infatti, tutti i commenti in merito all’azione “collo di bottiglia” esercitata dalle mascherine erano di tipo aneddotico. Nessuno, ma proprio nessuno, si è mai peritato di fornire un modello matematico per spiegare i propri ragionamenti.

Vediamo perché l’idea del “collo di bottiglia” che non permette il passaggio della CO2 che espiriamo è completamente sbagliata.

Basta una banale ricerca in rete per trovare che la permeabilità (intesa come il flusso di gas che passa attraverso le mascherine per unità di superficie) è di circa 10 litri al minuto (L min-1) per le mascherine chirurgiche e di circa 5 L min-1 per le mascherine tipo FFP2 (qui). Volete sapere cosa significano questi numeri? Semplicemente che per ogni centimetro quadrato di mascherina, passano 10 L min-1 e 5 L min-1 (a seconda della tipologia di mascherina) di aria. Questi numeri sono stati misurati usando una pressione di esercizio di circa 20 mbar, ovvero la pressione esercitata dall’apparato respiratorio a riposo (qui). In ogni caso, più alta è la pressione esercitata contro le mascherine, maggiore è la loro permeabilità (qui). Considerando che il flusso di aria che espiriamo mediamente è di circa 6 L min-1 (qui), ne viene che di anidride carbonica tra la mascherina ed il viso non rimane nulla. In altre parole, non c’è alcun rischio di respirare la propria anidride carbonica.

Da dove viene, allora, la convinzione che le mascherine consentirebbero di respirare la propria “aria usata”?

Si tratta solo di fattori psicologici che nulla hanno a che fare con la reale capacità di una qualsiasi mascherina di impedire il passaggio dell’aria che fuoriesce dai nostri polmoni (qui e qui). In pratica, chi afferma che non riesce a respirare è solo vittima delle proprie impressioni personali che non hanno niente a che vedere con la realtà chimico-fisica delle mascherine il cui uso è fortemente consigliato (assieme alle distanze di sicurezza e ad elementari norme igieniche) per ridurre la dffusione del contagio da SARS-COV-2.

Note

Alcuni lettori del blog mi hanno chiesto come mai le mascherine chirurgiche vanno indossate in un ben preciso verso, ovvero con la parte colorata rivolta verso l’esterno. La risposta è stata data qualche tempo fa in questo link. In sintesi, la parte colorata di una mascherina chirurgica è fatta da materiale idrorepellente. Questo riduce la possibilità che le eventuali goccioline di saliva espirate da persone con cui, per esempio, stiamo parlando, possano penetrare attraverso lo strato colorato e raggiungere gli strati interni con possibilità di contaminarci.

Altri lettori mi hanno chiesto come mai gli occhiali si appannano quando indossiamo la mascherina. L’appannamento è dovuto al fatto che l’aria che espiriamo è calda. Quando le molecole di acqua calda che espiriamo entrano a contatto con la superficie fredda dei nostri occhiali, condensano dando luogo al fenomeno dell’appannamento (qui).

Letture e riferimenti

Characterization of face masks

An overview of filtration efficiency through the masks: Mechanisms of the aerosols penetration

Air permeability and pore characterization of surgical mask and gowns

On respiratory droplets and face masks

Characteristics of Respirators and Medical Masks

FONTE DELL’IMMAGINE DI COPERTINA

Perché i termini “scienza” e “biodinamica” nella stessa frase sono un ossimoro

Ogni tanto ritorno alla carica con l’agricoltura biodinamica. Ne ho parlato a varie riprese qui, qui, qui, qui, e qui. Mi chiederete voi: ma allora perché parlarne ancora una volta? Semplicemente perché ancora una volta delle Istituzioni pubbliche come un Ministero della Repubblica, una Università pubblica, una Regione ed un Comune hanno concesso il patrocinio per un convegno sulla biodinamica che si terrà a Firenze dal 26 al 29 Febbraio (qui).

Cosa vuol dire patrocinio?

Dalla Treccani on line possiamo leggere che il patrocinio è un “sostegno da parte di un’istituzione“. E quando si concede un sostegno? Quando si condividono i contenuti di una certa attività. Non c’è molto da aggiungere. Se io, Ministro o Rettore o Sindaco o altro rappresentante Istituzionale concedo un patrocinio è perché sono convinto della validità di certe attività e voglio legare la mia Istituzione alle predette attività. Cosa pensare, quindi? È possibile che un Ministero, una Università, una Regione e un Comune, attraverso la concessione del patrocinio, condividano i contenuti del convegno e, più in generale, approvino l’esoterismo alla base dell’agricoltura biodinamica? Secondo me no. Probabilmente, la concessione del patrocinio è avvenuta automaticamente senza che qualcuno si sia veramente reso conto di ciò che concedere il patrocinio ad un convegno del genere avrebbe potuto significare.

Ma non è finita. Al convegno prendono parte anche docenti universitari. Perché lo fanno? Probabilmente sono seguaci di Steiner oppure, più  probabilmente, hanno una falsa idea del significato di libertà di ricerca e di scienza (ne ho parlato qui). Perché falsa? Faccio un esempio banale: non c’è bisogno di chiedere se chi mi legge conosce la differenza tra astronomia ed astrologia. La prima è una scienza, la seconda una favoletta sulla quale si basa la formulazione degli oroscopi. Si tratta della medesima differenza che esiste tra l’agricoltura attuale, basata sull’uso della scienza e delle tecnologie moderne, e la biodinamica, basata sulle idee di una specie di filosofo vissuto agli inizi del ‘900 e, praticamente, sempre uguale a se stessa.

Invocare libertà di scienza e ricerca pretendendo di dare pari dignità scientifica all’agricoltura moderna ed alla biodinamica è lo stesso che attribuire scientificità all’astrologia.

E’ mia opinione che gli accademici che con la loro attività sdoganano la biodinamica come pratica scientifica non facciano un buon servizio alla Scienza. Ovviamente ognuno è libero di fare ciò che vuole della propria dignità scientifica ed ognuno è libero di fare ricerca su qualsiasi cosa sia di proprio gradimento. Ciò che è importante è che non vengano impegnate risorse pubbliche per attività di ricerca che si fondano sull’esoterismo.

Come componente della Rete Informale Scienza e Tecnologie per l’Agricoltura (SETA), sono anche io tra i firmatari della lettera aperta che potete leggere qui sotto cliccando sulle immagini. In questa sede spieghiamo nei dettagli perché l’agricoltura biodinamica non può essere considerata scienza. Le nostre argomentazioni si basano esclusivamente sulla lettura dei disciplinari che devono seguire tutti coloro che vogliono usare il termine “biodinamica” sull’etichetta dei loro prodotti.

Buona lettura.

Fonte dell’immagine di copertina

Davide contro Golia

Davide contro Golia. Vi ricordate dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica? Ne ho parlato qualche tempo fa quando ho evidenziato quali fossero le competenze di chi gestisce in Italia una delle più grandi aziende sull’agricoltura che segue i dettami esoterici di quel buontempone di Rudolf Steiner. L’articolo a cui faccio riferimento lo trovate qui sotto.

Agricoltura biodinamica – fatti, misfatti e contraddizioni. Parte I: Competenze

Devo dire che ultimamente la Rete Informale SeTA di cui faccio parte deve fare tanta paura al Dott. Triarico, presidente e responsabile dell’associazione anzidetta, dal momento che ci attacca ogni quando può. Sembra quasi di trovarsi di fronte a qualcuno che cerca in tutti i modi di attaccare briga per litigare. Noi abbiamo dalla nostra la Scienza, quella con la maiuscola, che ci consente di agire in scienza e coscienza.

Vi chiederete adesso perché questo articolo si intitola Davide contro Golia. Ebbene lo potete leggere nella lettera qui sotto. Buona lettura

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Quando anche i cani fanno scienza

Che dire. La fantasia non ha limiti. Un paio di migliaia di anni fa Caligola fece senatore il suo cavallo. Un po’ più recentemente la storia si è ripetuta. Tuttavia, ad essere diventato famoso è stato un cane nominato associate editor di una rivista scientifica che pubblica lavori sull’omeopatia, pratica di cui ho già avuto modo di scrivere più volte (qui). Non ci credete? Veramente non credete che un cane possa essere stato inserito nel board di una rivista scientifica? Ebbene, allora vi invito a leggere le ultime novità in merito all’omeopatia scritte in un articolo pubblicato dal Patto Trasversale per la Scienza (PTS) . Basta cliccare sull’immagine qui sotto e si aprirà una pagina che, se non descrivesse cose reali, farebbe sorridere.

Se volete, invece leggere un riassunto e comunque sorridere, benché di un riso amaro, potete cliccare sull’immagine qui sotto che vi indirizza alla pagina Facebook del Patto Trasversale per la Scienza.

La storia del cane come board member di riviste scientifiche è riportata anche su Science (qui).

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