Caldo globale, temporali locali: l’apparente paradosso

Introduzione

Negli ultimi anni, gli eventi meteorologici estremi sono diventati sempre più frequenti, sia in Italia che nel resto del mondo.
Una mappa interattiva dell’ISPRA, consultabile online, mostra chiaramente dove questi eventi si sono verificati in Italia tra il 2020 e il 2024. Si osservano piogge torrenziali, grandinate eccezionali, ondate di calore anomale e prolungate. Tutti segnali di un sistema climatico sempre più instabile.

Come conseguenza di queste anomalie, è sempre più comune imbattersi – soprattutto sui social – in discussioni o thread in cui si afferma che fenomeni come le alluvioni, seguite da bruschi cali di temperatura, smentirebbero l’esistenza del riscaldamento globale.
Una frase ricorrente è:

“Altro che riscaldamento globale: ieri grandinava e oggi ci sono 18 gradi!”

Chi vive in zone come Palermo – dove, negli ultimi anni, si sono registrati picchi termici estremi e livelli di umidità superiori all’80%, anche in pieno giorno – tende invece a riconoscere, in modo molto concreto, la realtà del cambiamento climatico.

“Orpo… che caldo. Veramente stiamo andando verso qualcosa che non abbiamo mai vissuto.”

Ma come si concilia tutto questo?

Come può il riscaldamento globale provocare temporali violenti, grandinate e persino abbassamenti improvvisi della temperatura?

Dobbiamo innanzitutto ricordare che la logica scientifica è controintuitiva. Non possiamo applicare al metodo scientifico la logica che usiamo tutti i giorni per collegare ciò che vediamo con ciò che pensiamo sia vero: la realtà fisica spesso sorprende e non si lascia interpretare con impressioni o sensazioni.

Sulla base di queste premesse, chiediamoci cosa accade sulla superficie terrestre quando la temperatura aumenta di un solo grado Celsius. Un grado può sembrare poco. Se tocchiamo una pentola a 70 °C proviamo lo stesso bruciore che a 71 °C. E non distinguiamo tra il freddo di 0 °C e quello di -1 °C.

Ma il pianeta non è il nostro palmo, né il nostro naso.

Nel sistema Terra, un solo grado può fare una differenza gigantesca: significa più energia, più evaporazione, più acqua nell’atmosfera. E più acqua nell’aria significa, potenzialmente, più pioggia, più violenza, più squilibrio.

Per capire quanto sia concreta questa affermazione, facciamo un semplice calcolo: stimiamo quanta acqua in più evapora dagli oceani quando la loro temperatura superficiale sale di un solo grado come, per esempio, da 25 °C a 26 °C.

Effetti della temperatura sull’equilibrio H2Oliquido = H2Ovapore

Per semplicità, consideriamo solo una porzione di oceano estesa per 100 milioni di metri quadrati (pari a 100 km²) e limitiamoci al primo metro d’aria immediatamente sovrastante. Vogliamo capire quanta acqua in più finisce nell’aria subito sopra l’oceano quando la sua temperatura sale di un solo grado, da 25 °C a 26 °C.

  1. L’equazione di Antoine

Per stimare la pressione di vapore dell’acqua alle due temperature, usiamo la formula empirica di Antoine, valida tra 1 e 100 °C:

log₁₀(P) = A − B / (C + T)

dove:

  • P è la pressione di vapore in mmHg,
  • T è la temperatura in gradi Celsius,
  • A, B, C sono coefficienti specifici per ciascuna sostanza (ad esempio, acqua, etanolo, acetone…) e validi solo entro certi intervalli di temperatura. Nel caso specifico dell’acqua: A = 8.07131; B = 1730.63; C = 233.426 (valori specifici per l’acqua in questo intervallo). Il riferimento per i valori numerici di A, B e C è qui.

Convertiamo poi la pressione in Pascal (1 mmHg = 133.322 Pa).

  1. I risultati

Applicando i valori:

  • a 25 °C si ottiene P ≈ 23.76 mmHg, cioè circa 3158 Pa;
  • a 26 °C si ottiene P ≈ 25.13 mmHg, cioè circa 3351 Pa.
  1. Calcolo della densità del vapore

Convertiamo ora la pressione parziale in densità di vapore acqueo (ρ), usando l’equazione dei gas ideali:

ρ = (P × M) / (R × T)

dove:

  • P è la pressione in pascal,
  • M è la massa molare dell’acqua (18.015 g/mol),
  • R è la costante dei gas (8.314 J/mol·K),
  • T è la temperatura assoluta in Kelvin.

Calcolando:

  • a 25 °C (298.15 K) si ottiene ρ ≈ 0.02295 kg/m³;
  • a 26 °C (299.15 K) si ottiene ρ ≈ 0.02431 kg/m³.
  1. L’aumento netto di vapore

La differenza di densità è:

0.02431 − 0.02295 = 0.00136 kg/m³

Moltiplichiamo per il volume d’aria (100 000 000 m³):

0.00136 × 100 000 000 = 136.000 kg

In altre parole, un aumento di temperatura di 1 °C (da 25 a 26 °C) genera 136 tonnellate di vapore in più, solo su una superficie di 100 km² e solo nello strato d’aria immediatamente sopra l’oceano.

E se fosse tutto l’Atlantico?

Se estendiamo il calcolo all’intera superficie dell’Oceano Atlantico – circa 116 milioni di km² – otteniamo:

157 800 000 000 kg, ovvero 158 milioni di tonnellate di vapore acqueo in più.

E questo, lo ripeto, solo nello strato d’aria immediatamente sopra la superficie, per un singolo grado in più.

Ma quei numeri non restano sulla carta. Entrano in circolo nell’atmosfera, e da lì comincia il loro impatto reale.

Dall’oceano alla pioggia: il viaggio del vapore

Ma cosa succede a tutta quest’acqua una volta entrata in atmosfera?

Viene trasportata dalle correnti. Quando incontra masse d’aria più fredde, condensa formando nubi e poi pioggia. Se la quantità di vapore è anomala, lo saranno anche le precipitazioni: brevi, violente, improvvise.

Inoltre, il vapore acqueo è attivo nell’infrarosso: è un gas serra molto più potente della CO₂, anche se molto più effimero. In climatologia si parla di feedback positivo: l’aumento della temperatura fa evaporare più acqua → il vapore trattiene più calore → aumenta ancora la temperatura → e così via.

Quella pioggia non è “contro” il riscaldamento: è il riscaldamento

Piogge torrenziali, grandinate e cali locali della temperatura non smentiscono il riscaldamento globale. Al contrario, ne sono una conseguenza. Il sistema Terra si scalda in media, ma localmente può produrre raffreddamenti temporanei proprio in risposta a squilibri energetici più ampi.

Conclusioni

Il calcolo che ho presentato è, ovviamente, una semplificazione. Non tiene conto del vento, della turbolenza, della salinità, né della reale dinamica verticale dell’atmosfera. Non pretende di descrivere con esattezza tutto ciò che accade nell’interazione tra oceano e cielo. Ma ha un obiettivo chiaro: rendere visibile, con i numeri, una verità che l’intuizione fatica a cogliere.

Perché la logica scientifica non coincide con il senso comune.

Come ho già scritto, nel nostro vissuto quotidiano, un solo grado in più non è nulla. Non percepiamo differenze tra 0 °C e -1 °C, tra 70 °C e 71 °C. Ma il sistema Terra non funziona secondo ciò che sentiamo sulla pelle: funziona secondo leggi fisiche. E in fisica, un solo grado può significare miliardi di tonnellate d’acqua in più nell’atmosfera. Significa più energia, più instabilità, più violenza meteorologica.

Paradossalmente, quello che percepiamo come una smentita del riscaldamento globale – la grandine, il temporale, il crollo improvviso delle temperature – ne è invece una manifestazione diretta.

Il clima risponde con intensità e disordine proprio perché è fuori equilibrio. E lo è, in parte, per colpa di quell’apparente “piccolo” grado in più.

La scienza ci dà gli strumenti per misurare, per capire, per anticipare.

Sta a noi scegliere se vogliamo continuare a confondere il temporale con una tregua, o iniziare a leggere in quelle piogge il segnale di un sistema che sta cambiando – e lo sta facendo sotto i nostri occhi.

Quella pioggia che ti ha fatto dire “ma quale riscaldamento globale?” è esattamente il motivo per cui dovremmo iniziare a preoccuparci.

Microplastiche, lavastoviglie e fake news: come orientarsi tra dati e paure

Già in un mio precedente articolo avevo affrontato il tema delle microplastiche, cercando di distinguere tra rischi reali, ipotesi ancora in fase di studio e allarmismi infondati. Se volete rinfrescarvi la memoria o approfondire meglio il quadro generale, potete leggerlo qui:
? Microplastiche: i rischi che conosciamo, le sorprese che non ti aspetti

In questa sede voglio, invece, portare alla vostra attenzione il pericolo della divulgazione basata sull’allarmismo.

33 milioni di micro- e nanoplastiche? Cosa c’è davvero dietro le notizie virali

Negli ultimi giorni si è diffusa online una notizia allarmante: le lavastoviglie sarebbero una fonte importante di microplastiche, con milioni di particelle rilasciate ad ogni ciclo di lavaggio. Su siti come HDBlog (vedi screenshot qui sotto) si parla addirittura di 33 milioni di nanoplastiche generate da un solo ciclo di lavaggio, dipingendo un quadro piuttosto drammatico per l’ambiente domestico e urbano.

Immagine presa dal sito HDBlog

Tuttavia, analizzando con attenzione lo studio scientifico originale su cui si basa questa notizia, emergono diversi aspetti importanti e ben diversi da quelli riportati in modo semplicistico e sensazionalistico da molti siti di “pseudo divulgazione”.

Innanzitutto, lo studio mostra che sì, le lavastoviglie rilasciano micro- e nanoplastiche, ma la quantità è estremamente bassa: meno di 6 milligrammi di plastica all’anno per persona, cioè meno del peso di un chicco di riso. Paragonare questo dato numerico alla dichiarazione di milioni di particelle è fuorviante, perché il numero di particelle non dice nulla sulla massa o sull’impatto reale, che rimane trascurabile su base individuale.

Inoltre, la tipologia di plastica e la dimensione delle particelle variano in base al tipo di articolo lavato (polietilene, polipropilene, nylon, ecc.), e i materiali più “vecchi” o usurati rilasciano più frammenti. Lo studio suggerisce quindi che sia importante approfondire come l’invecchiamento della plastica influisca sulla generazione di microplastiche, cosa che non viene mai menzionata nei titoli allarmistici.

Dal punto di vista ambientale, sebbene i sistemi di trattamento delle acque reflue trattengano circa il 95% delle microplastiche, la quantità complessiva globale rilasciata nell’ambiente sta crescendo con l’aumento dell’uso della plastica. Tuttavia, le lavastoviglie domestiche rappresentano solo una piccola fonte rispetto ad altre.

Un articolo più attendibile e chiaro sull’argomento, che riporta fedelmente i risultati della ricerca, è quello di Phys.org, sito scientifico noto per l’accuratezza e la qualità della divulgazione. Vi consiglio di leggere anche lì per avere un quadro completo e serio della situazione.

Come riconoscere le fake news ambientali?

Molto spesso mi chiedono: “Se non sono esperto, come faccio a capire se una notizia è attendibile”? La risposta non è semplice, ma c’è una regola d’oro: non fermatevi mai alla prima fonte che conferma ciò che già pensate o che alimenta le vostre paure o convinzioni. Spesso chi cerca notizie sensazionalistiche cade nel cosiddetto cherry picking, ovvero sceglie solo quei dati o informazioni che supportano la propria idea, ignorando tutto il resto. Questo atteggiamento è comune a chi si sente “rivoluzionario” o “antisistema”, ma in realtà non ha le competenze scientifiche per comprendere a fondo la questione.

Per evitare di cadere in queste trappole, è fondamentale confrontare le informazioni con fonti diverse e affidabili, preferendo siti di divulgazione scientifica consolidata, che spiegano dati, metodi e limiti delle ricerche. Ma come riconoscere un sito davvero affidabile? Ecco alcuni indicatori:

  • Chiarezza e trasparenza delle fonti: i siti seri riportano sempre riferimenti precisi agli studi scientifici originali o a istituti riconosciuti, spesso con link diretti alle pubblicazioni o informazioni sugli autori.

  • Presentazione equilibrata dei dati: non si limitano a enfatizzare solo risultati sensazionalistici, ma spiegano anche i limiti delle ricerche e le diverse interpretazioni possibili.

  • Assenza di titoli esagerati o clickbait: i titoli sono informativi, senza allarmismi o esagerazioni mirate solo a catturare l’attenzione.

  • Autori qualificati e trasparenza: i contenuti sono scritti o revisionati da esperti o giornalisti scientifici con esperienza e il sito fornisce informazioni su chi li produce.

  • Aggiornamenti regolari e dialogo con i lettori: i siti affidabili aggiornano le informazioni con nuovi studi, correggono eventuali errori e talvolta rispondono alle domande o ai commenti.

  • Scopo divulgativo ed educativo: l’obiettivo è informare e spiegare con rigore, non vendere prodotti o promuovere agende ideologiche.

Le testate generaliste o i siti di pseudo divulgazione spesso puntano più al click facile e all’effetto emotivo che a un’informazione rigorosa e bilanciata. Il risultato è un circolo vizioso di paure ingiustificate, confusione e disinformazione, che non aiuta né il pubblico né la causa ambientale che vogliamo davvero sostenere.

Conclusioni

La lotta all’inquinamento da plastica passa innanzitutto dal controllo e dalla prevenzione all’origine, riducendo l’uso di plastica, migliorando il riciclo e introducendo filtri efficaci nelle apparecchiature domestiche come lavatrici e lavastoviglie. Non facciamoci ingannare da titoli e numeri sensazionalistici: l’informazione corretta è il primo passo per agire con consapevolezza.

Dal ppm al femtogrammo: i pesticidi c’erano anche prima ma non li vedevamo

Ogni tanto circolano articoli dai toni allarmistici che mostrano quanto spesso oggi si trovino tracce di pesticidi negli alimenti, nell’acqua, nel suolo. “Una volta queste cose non c’erano”, si legge. Ma è davvero così? La risposta è semplice: no, non è che una volta non ci fossero, è che non eravamo in grado di vederle.

La differenza sta negli occhi, non nelle cose

In chimica analitica, quando si parla di rilevare una sostanza, non si usa mai dire con leggerezza “non c’è”. Si dice invece “non determinabile” (N.D.): vuol dire che non è rilevabile con gli strumenti disponibili, non che la sostanza non sia presente. È come cercare di vedere le stelle con un binocolo da teatro: non le vedi, ma non vuol dire che non ci siano.

E proprio come un telescopio moderno rivela galassie invisibili a Galileo, gli strumenti di oggi vedono tracce infinitesimali di sostanze che gli strumenti di ieri non riuscivano minimamente a percepire.

Un po’ di storia: quanto si vedeva ieri?

  • Anni ’50-’60: i primi gascromatografi (GC) usavano rivelatori come il TCD (rilevava a partire da 1-10 ppm, cioè parti per milione) o il più sensibile FID (circa 0.1 ppm). I pesticidi? Difficili da vedere, se non in quantità elevate.
  • Anni ’70-’80: entra in scena l’Electron Capture Detector (ECD), molto sensibile per sostanze come i pesticidi: arriva a livelli di 0.1 picogrammi, cioè un miliardesimo di milligrammo! Anche il GC-MS (gascromatografia accoppiata a spettrometria di massa) comincia a essere usato per rilevare composti in tracce.
  • Anni ’90-2000: con strumenti più raffinati come il GC-MS/MS, si scende ancora: si arriva a livelli di femtogrammi (mille miliardesimi di grammo). La sensibilità è altissima e il rumore di fondo si riduce grazie a nuove tecnologie (Figura 1).

Dal 2010 in poi: l’uso di spettrometri ad alta risoluzione (HRMS), colonne capillari e nuovi algoritmi di elaborazione dei dati ci porta a una capacità di rilevazione fino a 0.001 picogrammi.

Figure 1. il grafico mostra l'evoluzione dei limiti di rilevazione (LOD) in picogrammi, su scala logaritmica, per alcune delle tecniche analitiche più usate nella chimica analitica dal 1960 a oggi. Negli anni ’60 si vedevano solo concentrazioni nell’ordine dei ppm, oggi possiamo rilevare sostanze anche a femtogrammi, cioè mille miliardesimi di grammo.

Figura 1. il grafico mostra l’evoluzione dei limiti di rilevazione (LOD) in picogrammi, su scala logaritmica, per alcune delle tecniche analitiche più usate nella chimica analitica dal 1960 a oggi. Negli anni ’60 si vedevano solo concentrazioni nell’ordine dei ppm, oggi possiamo rilevare sostanze anche a femtogrammi, cioè mille miliardesimi di grammo.

Quindi oggi i pesticidi sono più usati?

No, non è questo il punto. È che oggi possiamo vedere concentrazioni che una volta erano semplicemente invisibili. È come se avessimo acceso una torcia in una stanza buia. Le cose nella stanza c’erano anche prima. Solo, non potevamo vederle (Figura 2).

Figura 2. Come vediamo gli analiti oggi. Il miglioramento della sensibilità strumentale ci consente di vedere cose che cinque, dieci, venti e più anni fa non eravamo in grado di rilevare.

Un esempio pratico

Un pesticida presente in un campione d’acqua nel 1970 in quantità pari a 5 picogrammi per litro non sarebbe stato rilevato da nessuno strumento allora disponibile. Oggi sì. Ma non significa che quel pesticida non ci fosse allora.

Conclusione

Quando leggiamo “oggi si trovano più pesticidi”, chiediamoci prima se si tratta di un aumento reale o semplicemente di un salto nella capacità di osservazione. La chimica analitica, nel frattempo, ha fatto un balzo gigantesco: non siamo più immersi nei veleni, siamo immersi nei dati. E questo è un enorme passo avanti.

Riferimenti

“Bella e Potente” (L. Cerruti)

Basic Gas Chromatography (H.M. McNair, J.M. Miller)

Gohlke, R.S. (1959)Analytical Chemistry, 31, 535–541.

Karayannis, M.I.; Efstathiou, C.E. (2012). Talanta, 102, 7-15

Lettera aperta ad Enrico Montesano

Avete presente le dichiarazioni di Enrico Montesano, indimenticabile protagonista di uno dei film più trash degli anni ’70 dal titolo “Febbre da cavallo”, in merito alle mascherine che dobbiamo indossare per proteggerci dal virus del Covid-19? Riporto dai giornali (qui, qui e qui, per esempio):

Le mascherine che oggi vengono usate ci fanno respirare la nostra anidride carbonica.

Ecco. È proprio per questa affermazione che desidero scrivere una lettera aperta ad Enrico Montesano.

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Caro Enrico,

nonostante la differenza di età che ci contraddistingue o, forse, proprio per quella, mi permetto di darti del “tu” perché quando ero un bambino e poi un adolescente sei stato uno dei comici che più mi hanno messo di buon umore. Sebbene “Febbre da cavallo” io lo giudichi un trash, non posso negare che è uno dei miei film preferiti perché ogni volta che lo riguardo mi proietto in un’epoca in cui ero molto più spensierato di adesso.

Caro Enrico, quando fai certe affermazioni e citi certi figuri dei quali ti fidi in merito a problemi di ordine sanitario, non ci fai una bella figura. Ovviamente sei libero di credere in chi ti pare, ma non puoi aspettarti, poi, il rispetto che meriteresti come attore quando entri in un campo della conoscenza che non ti compete. Anche se dici di informarti, penso che le tue fonti non siano esattamente attendibili.

Lasciando perdere tutte le sciocchezze che hai detto in merito al Covid-19 ed alle mascherine, mi voglio soffermare solo su quello che hai detto in merito all’anidride carbonica. Naturalmente, come dicevo sopra, sei libero di credere in chi ti pare e ritenere che io dica sciocchezze. L’unica cosa è che le mie “sciocchezze” sono verificabili, mentre le tue e quelle dei figuri che citi non lo sono per il semplice motivo che sono ben lontane dalla realtà.

Andiamo più nel merito.

Le mascherine che indossiamo non ci fanno respirare la nostra anidride carbonica nelle normali condizioni in cui le usiamo. Vediamo perché.

Ho già scritto in merito al meccanismo di funzionamento delle mascherine. Basta cliccare qui sotto

Come funzionano le maschere filtranti

In questo articolo ho messo in evidenza che le dimensioni dei pori delle mascherine sono dell’ordine dei micrometri. Prendiamo solo i pori più piccoli delle mascherine più efficaci: 0.2 μm, ovvero la 0.2 milionesima parte del metro, in altre parole 0.2 x 10-6 m. Sembra una dimensione molto piccola, vero Enrico?

Ed ora ti invito a scaricare un programmino di chimica computazionale che io uso sul tablet. Si chiama WebMO. La versione per iPad che uso io costa solo circa 5 €. Non penso che l’acquisto sia impossibile per te. Grazie a questo programmino è possibile disegnare la molecola di anidride carbonica e studiarla in tutte le sue caratteristiche. È un programmino estremamente intuitivo e facile da usare. Superato il panico di chi non conosce la chimica vedrai che lo apprezzerai molto.

Ebbene, caro Enrico, grazie a questo programmino, la molecola di anidride carbonica è quella che ti riporto qui sotto:

Ho evidenziato gli atomi di ossigeno e di carbonio in modo da permettere al programmino di fornire la distanza tra questi due atomi. Come leggi in basso, la distanza è circa 1.275 Å, ovvero 1.275 x 10-10 m. Se consideriamo, in prima approssimazione, la molecola di anidride carbonica in continua rotazione, possiamo considerarla come una sfera del diametro pari a 2 x 1.275 x 10-10 m, ovvero una sfera del diametro di 2.550 x 10-10 m.

Adesso, come si faceva alle scuole elementari, facciamo il rapporto tra le dimensioni di un poro di una mascherina e quella del diametro della sfera suddetta:

0.2 x 10-6 m/2.55 x 10-10 m = 784

In altre parole, mio caro Enrico, il poro più piccolo della mascherina più efficace è circa 800 volte più grande della molecola di anidride carbonica.

Sai cosa vuol dire questo?

Leggo da Wikipedia che tu sei alto 1.73 m. Se immagini di essere la molecola di anidride carbonica, devi moltiplicare la tua altezza per 784 ed ottieni la larghezza del tunnel nel quale decidi di passare. Si tratta, cioè, di un tunnel la cui larghezza è di circa 1356 m, ovvero 1 km e circa 400 m. Non mi vorrai mica far credere che non riesci ad attraversare un buco di questa larghezza?

Capisci, adesso, caro Enrico, perché hai detto una sciocchezza sesquipedale?

Ti saluto affettuosamente ricordando sempre con enorme piacere, oltre che tanta nostalgia per il tempo passato, i tuoi film ed il tuo famoso Rugantino.

Tuo,

Rino

Fonte dell’immagine di copertina

Dubbi sul vaccino anti-Covid russo

Recentemente è apparso su The Lancet, autorevole rivista scientifica di carattere medico, un lavoro che illustra l’efficacia di un vaccino anti-Covid sviluppato da ricercatori russi. Il lavoro è disponibile qui. Tuttavia, dall’analisi dei dati riportati nel lavoro, sono venuti fuori alcuni limiti che fanno dubitare della serietà del lavoro. È per questo che alcuni scienziati, tra cui il sottoscritto, si sono fatti latori di una lettera aperta in cui chiedono di poter analizzare i dati bruti da cui sono state ottenute le figure che sembrano artefatte.

La lettera è disponibile cliccando sulla figura qui sotto


La stessa lettera è stata pubblicata su Il Foglio (qui)

Oli, sali e zuccheri

Oggi ho trovato una bella sorpresa on line. La C1V edizioni ha reso disponibili le presentazioni fatte nel 2018 in occasione del secondo Convegno Nazionale Medicina e Pseudoscienza (CNMP).  Durante il convegno ho fatto una lunga lezione divulgativa sulle false informazioni in merito agli oli, ai sali ed agli zuccheri. Qualche mese dopo avrei pubblicato “Frammenti di Chimica” in cui si trovano molte delle cose che ho detto in quel convegno.
Se volete divertirvi ad ascoltarmi, qui sotto ci sono i miei tre interventi.

Prima parte

Seconda parte

Terza parte

In realtà il congegno del 2018 è stato molto ricco. Hanno partecipato tutti gli scienziati attivi nella lotta alle bufale: da Silvio Garattini a Piero Angela, da Roberto Burioni a Francesco Galassi e tanti tanti altri. Se volete fare un viaggio nel tempo e partecipare al convegno, potete iscrivervi al canale YouTube della C1V e ascoltare tutte le presentazioni. Basta cliccare sull’immagine qui sotto.

 

Su Vandana Shiva e la pseudoscienza

Sono ben note le posizioni antiscientifiche di Vandana Shiva, la guru indiana dell’agricoltura biologica, che segue la filosofia secondo cui “l’agricoltura industriale sarebbe foriera di quasi tutti i disastri economici, ecologici e umanitari del pianeta” (qui).  Non è un caso che il mondo scientifico italiano si sia recentemente ribellato alla decisione del Ministro Fioramonti di indicarla come consulente del MIUR (qui). La stessa Società Italiana di Agronomia è intervenuta nel dibattito, come si evince da questo link, evidenziando che la scelta della Shiva quale consulente del Ministero contrasti con i parametri che il MIUR ha deciso di utilizzare per la costruzione di commissioni di alto profilo scientifico come quelle coinvolte nell’Abilitazione Scientifica Nazionale:

Un ministero che a giusta ragione stabilisce e impone criteri di valutazione e di qualificazione di ricercatori, docenti, strutture di ricerca e Università, che ci sottopone, ripeto a giusta ragione, a continue valutazioni della performance, VQR, abilitazioni basate su indici bibliometrici etc., dovrebbe adottare gli stessi criteri, e anche molto più severi, per istituire commissioni di alto profilo scientifico. Tali commissioni spesso danno un indirizzo sociale, economico e politico a un intero paese. […] La qualificazione scientifica (della SHIVA) è fondata su 62 pubblicazioni, poche delle quali affrontano in modo sistematico i temi della sostenibilità e dell’ecologia e totalizza su Scopus un h index di 13, di gran lunga al di sotto della qualificazione scientifica della maggior parte dei nostri colleghi che su questi temi, in maniera rigorosa, hanno prodotto molte e specifiche pubblicazioni”.

Queste appena riportate sono le parole che il Presidente della Società di Agronomia, Professor Michele Perniola, rivolge a chi considera la Shiva la candidata ideale per occupare il posto di responsabilità che il Ministro Fioramonti aveva deciso di affidarle.

Anche la rete informale Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura (SeTA) è intervenuta con una lettera aperta (qui) nella quale viene riportato che:

Tra i più vocali venditori di fumo nel campo del negazionismo scientifico in agricoltura si pone senza dubbio Vandana Shiva, esponente di un antiscientismo radicale e militante e nota per aver diffuso grazie ad una efficace strategia comunicativa alcune fra le peggiori e più tenaci bugie che inquinano il dibattito pubblico. In proposito, si ricordano le sue bugie circa i suicidi degli agricoltori indiani dovute alla coltivazione di cotone transgenico, fino alle recenti bugie circa le cause e i rimedi per il disseccamento rapido dell’ulivo nel nostro Paese: bugie raccontate a fronte di lauti guadagni, considerate le parcelle richieste per i suoi numerosi interventi. Per non parlare delle bugie circa la sterilità delle colture OGM. Oggi non esiste al mondo nessun seme sterile di nessun tipo di pianta Ogm. Moltissimi, anche tra gli scienziati che operano in altri campi sono persuasi da questa bufala, e da parte nostra non ci stancheremo mai di ripetere che è un falso entrato nelle teste di tantissime persone e che inquina da decenni il dibattito su questi temi. A fronte di questi fatti, è impensabile che in un paese occidentale avanzato come il nostro ci si possa avvalere proprio presso il ministero dell’università e della ricerca scientifica della consulenza di Vandana Shiva sul tema dello sviluppo sostenibile: le idee da lei espresse, infatti, portano al più ad un sottosviluppo insostenibile, per la popolazione e per l’ambiente insieme”.

Ma non è solo la scienza italiana ad essere stanca delle sciocchezze, in termini scientifici, propalate da una persona che con l’agricoltura ha poco o niente a che fare. Anche gli scienziati d’oltre oceano sono stanchi.

Il 23 Gennaio 2020 è prevista alla Stanford University (California, USA) una lecture di Vandana Shiva dal titolo “Soil not Oil: Biodiversity-based Agriculture to Address the Climate Crisis” (qui).

Contro l’ufficializzazione presso una prestigiosa università statunitense delle sciocchezze pseudoscientifiche di Vandana Shiva si sono schierati molti accademici di istituzioni sparse in tutto il mondo. Tra le autorità scientifiche schierate contro la lecture di Vandana Shiva ci sono, per esempio, Sir Richard John Roberts (Chief Scientific Officer, New England Biolabs, Ipswich, MA e 1993 Nobel Laureate in Physiology or Medicine) e Nina Fedoroff (Penn State University Emeritus Professor of Biology, former President of the American Association for the Advancement of Science, AAAS).

I docenti/ricercatori anzidetti, insieme ad altri di qua e di là dell’Atlantico (tra cui anche chi scrive), hanno sottoscritto una lettera aperta (a cui tutti sono invitati ad aderire) al Rettore della Stanford University e ai dirigenti del Woods Institute, che ospiterà il convegno, organizzato da una società studentesca nella quale  evidenziano come la Shiva abbia una assurda tendenza alle sciocchezze (come quella secondo cui i semi sterili – che ovviamente non possono germogliare – possono diffondere la sterilità), sia famosa per la sua proverbiale ignoranza (per esempio, affermando che le proteine Bt sono tossiche per tutte le forme viventi, mentre invece lo sono solo per alcune classi di insetti chiaramente identificate e non per pesci, uccelli e mammiferi), abbia la tendenza poco elegante ad offendere (per esempio quando paragona gli agricoltori che decidono liberamente di usare colture OGM a stupratori), rifiuti la tecnologia per alleviare le fatiche (soprattutto di donne e bambini) legate al diserbo manuale, o rifiuti tout court l’uso dei fertilizzanti in agricoltura, paragonandoli ad armi di guerra.

Cosa potrà mai suggerire questa persona, con le sue idee antiscientifiche ed eticamente spregevoli, per aiutare a risolvere i problemi dell’agricoltura, del clima, della biodiversità e della sicurezza alimentare , se non continuare a propalare la pseudoscienza di cui è forte sostenitrice?

Cosa mai può aver spinto i vertici della Stanford University ad accettare che dei propri studenti abbiano invitato Vandana Shiva a tenere una lecture in occasione di un evento dedicato a Stephen Schneider, climatologo di fama mondiale presso la medesima università?

Cliccando qui o sulla figura qui sotto si aprirà il link alla lettera aperta degli scienziati di tutto il mondo alla Stanford University

Questo articolo è apparso sulla Newsletter n. 11 della Società Italiana di Scienza del Suolo

L’immagine di copertina è stata ottenuta da Wikimedia Commons

Il glifosato nei lavori medici

Uso questo spazio per esprimere la mia rabbia contro certi sedicenti scienziati che si permettono di pubblicare certe cose senza aver fatto un minimo di analisi critica dei dati che raccolgono. Quello che fa più male è che uno si fa in quattro per insegnare ai propri studenti il valore dell’analisi critica dei dati e poi appaiono in letteratura risultati che non stanno né in cielo né in terra. Il problema, poi,  è che, essendo questi dati pubblicati, vengono presi senza senso critico e sbattuti in faccia a chi invoca attenzione alla lettura dei lavori scientifici.

Certo che se non entro nei dettagli, si capisce poco. Chiedo scusa ma sono veramente indignato.

Nelle solite discussioni Facebook sto intervenendo in un post in cui per l’ennesima volta si demonizza il glifosato. Un medico ha inserito un link ad una notizia (qui) dalla quale è possibile accedere ad un lavoro scientifico in cui si mette in correlazione causa-effetto il glifosato ed il tumore al fegato (qui). Quando si legge il lavoro pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology, si arriva ad un punto in cui è scritto:

Glyphosate (women, 0.373 μg/L; standard deviation [SD], 0.41 vs men, 0.215 μg/L; SD, 0.17) (F = 5.18; P = .025) and glyphosate residue (women, 0.833 μg/L; SD, 0.67 vs men, 0.594 μg/L; SD, 0.38) (F = 4.09; P = .046) were elevated in women as compared with men“.

Hai voglia adesso a spiegare agli studenti l’importanza delle cifre significative (qui) quando in un lavoro pubblicato è scritto 0.373 ± 0.41 μg/L, oppure 0.215 ± 0.17 μg/L, oppure 0.833 ± 0.67 μg/L, o ancora 0.594 ± 0.38 μg/L. Ma, cosa ancora più grave, come si fa a spiegare agli studenti che non è possibile trarre una qualsiasi conclusione quando l’errore sperimentale è grande quanto il dato stesso (ovvero l’errore è del 100%)?

E quello che ho individuato non è l’unico passo falso. Eccone un altro:

In multivariate models adjusting for age, sex, and body mass index, as compared with patients without NASH, AMPA (F = 5.39; P = .022) and glyphosate residue (F = 7.43; P = .008) were elevated in patients with definite NASH (Table 1). When compared with patients without advanced fibrosis (stages 0 and 1), patients with advanced fibrosis (stages 2, 3, and 4) had elevated AMPA (0.196 μg/L; SD, 0.20 vs 0.365 μg/L; SD, 0.33) (F = 9.44; P = .003), glyphosate residue (0.525 μg/L; SD, 0.38 vs 0.938 μg/L; SD, 0.372) (F = 11.9; P = .001), and glyphosate (0.230 μg/L; SD, 0.19 vs 0.351 μg/L; SD, 0.45) (F = 4.13; P = .046), respectively“.

Anche in queso caso si traggono conclusioni sulla base di risultati sperimentali con errori vicini o molto vicini al 100%.

Ma è mai possibile che i reviewers non si siano accorti di un simile obbrobrio scientifico?

E questo è solo uno dei lavori che i detrattori del glifosato usano come leva per spingere all’abolizione dell’uso di questo erbicida in agricoltura.

Fonte dell’immagine di copertina: https://it.wikipedia.org/wiki/Glifosato

Bere tanti succhi di frutta fa male

Sulla mia bacheca Facebook appaiono tante notizie. Sono soprattutto di carattere scientifico, dal momento che ho selezionato le cose in modo tale che mi appaiano prima queste rispetto ad altre. Tra le notizie scientifiche, oggi mi compare quella che dà il titolo a questo breve articoletto: “Bere tanti succhi di frutta fa male” (in basso lo screenshot dalla mia bacheca. Se cliccate sull’immagine si apre il link alla fonte della notizia)

Il web-magazine che riporta questa notizia è una fonte attendibile nell’ambito della divulgazione scientifica. Peraltro fa un lavoro egregio riportando notizie di lavori recenti in ambito medico senza alcuna inferenza soggettiva. Insomma, riportano le notizie che appaiono sulle riviste specialistiche traducendo il linguaggio tecnico in uno più facilmente comprensibile dalla massa delle persone che non hanno una preparazione specialistica. Fanno, in altre parole, quello che ci si aspetta da professionisti della divulgazione.

Ed allora perché sto scrivendo questa nota con termini che fanno chiaramente capire i miei intenti polemici? Non me la prendo con MedicalXpress, bensì con gli autori del lavoro che essi citano e che potete trovare cliccando sull’immagine qui sotto


Proviamo a leggerlo assieme.

Gli autori si chiedono ” Is the consumption of sugary beverages (ie, sugar-sweetened beverages and fruit juices) associated with an increased mortality risk?” ovvero: il consumo di bevande dolcificate – laddove per dolcificate intendono addizionate di zucchero (che si suppone sia il saccarosio) – tra cui i succhi di frutta, sono legate al rischio di una mortalità più elevata?

La domanda sembra legittima: se abusiamo di bevande zuccherate rischiamo o no di accorciare la nostra vita?

Per rispondere a questa domanda, gli autori hanno raccolto una serie di dati studiando il comportamento di ben 13 440 adulti con età ≥ 45 anni, specificando che hanno preso in considerazione sia bianchi che neri, nell’ambito di un progetto intitolato: “The Reasons for Geographic and Racial Differences in Stroke (REGARDS)“.

Considerazioni sul termine “razza”

Già il titolo del progetto, molto onestamente, mi dà fastidio.

Non sono un native English speaker, per cui mi faccio aiutare da un dizionario monolingue (TheSage, scaricabile liberamente qui) per capire cosa voglia dire “racial”. Qui sotto ciò che mi ha fornito la ricerca:

Da quanto si legge nella figura, il termine “racial” in inglese ha la stessa accezione di “razziale” in italiano.

Che il termine “razza” e gli aggettivi ad esso correlati vengano utilizzati da politici di varia estrazione per far leva sulla pancia di persone che hanno una visione della società civile che non va oltre il proprio ombelico, mi sta bene. Si tratta di politica. Secondo me andrebbe fatta in un altro modo, ma non si può pretendere che tutti abbiano il medesimo livello culturale. E’ compito del comparto istruzione, quindi anche il mio, fare in modo che certi concetti vengano diffusi e compresi, sempre che non ci sia asservimento al potere (qui il manifesto della razza del 1938 che fu firmato da “eminenti scienziati” dell’epoca, mentre qui  un eloquente documento che riporta anche la lista dei 12 professori universitari, gli unici, che rifiutarono il giuramento al fascismo – quindi al potere costituito – nel 1931).

Che il termine venga utilizzato da scienziati per dar titolo ad un progetto scientifico, mi infastidisce non poco. Cliccando sull’immagine qui sotto si apre un ottimo articolo apparso nel 2005 a firma del Prof. Luigi Cavalli Sforza e riproposto da Il Sole24Ore nel Settembre 2018 – per commemorare la morte del Prof. Cavalli Sforza avvenuta un paio di giorni prima – in cui si capisce come il concetto di “razza” applicato agli esseri umani non abbia alcun significato.

Tutti coloro che si occupano di scienza dovrebbero sapere ciò che dice il Prof. Cavalli Sforza, anche gli scienziati che hanno firmato l’articolo di cui si sta discutendo in questa sede e che lavorano ad Atlanta – capitale della Georgia (USA), uno dei sette stati che diedero vita alla Confederazione che scatenò la guerra civile americana e combatté contro l’abolizione della schiavitù.

Ma la mia vena polemica non è destinata all’uso inopportuno dell’aggettivo “razziale”. Va ben oltre.

Continuiamo la lettura.

Gli autori dichiarano

On enrollment in the REGARDS study, diet was assessed using a self-administered Block 98 food frequency questionnaire (FFQ), a validated semiquantitative FFQ that assesses the usual dietary consumption of 110 food items (NutritionQuest). For each food item included in the FFQ, participants were asked about their usual consumption patterns during the preceding year, with response options ranging from never to every day. In addition to frequency of consumption, participants were asked to estimate the usual quantity of food consumed as either the number of specified units or the portion of food served on a plate. The FFQ survey form was given to participants during the baseline in-home visit. Once completed, they were mailed by participants in preaddressed envelopes to the REGARDS operations center. Questionnaires were verified for completeness and sent to NutritionQuest for analysis”.

In pratica è stato somministrato un questionario al quale i candidati al progetto hanno dovuto dare risposta. A questo questionario che ha consentito la selezione dei pazienti, hanno fatto seguito interviste telefoniche a cadenza semestrale:

Study participants (or their family members) were interviewed by telephone every 6 months to log all hospital visits or death events“.

Il resto dello studio è tutta una descrizione dei risultati ed una discussione che mi ricorda molto da vicino quella fatta per il progetto EPI3 di cui ho parlato sia nel mio libro “Frammenti di chimica” che nel mio blog (qui sotto):

Omeopatia e fantasia. Parte V. Aggiornamenti

Manca un controllo, un bianco, da usare come riferimento per capire se, effettivamente, l’abuso delle bevande dolcificate sia veramente correlato ad una elevata probabilità di morte. Inoltre, il lavoro si basa su interviste (come per il progetto EPI3 già ampiamente criticato) in cui si dà una grande importanza alla componente soggettiva di chi viene intervistato. Come conseguenza dei pochi limiti che ho evidenziato, viene elaborata una correlazione che potrebbe essere senza causazione tra mortalità e bevande dolcificate.

Correlazione e casusazione

Immaginiamo di elaborare un progetto nel quale è previsto che vengano intervistate qualcosa come 50000 persone. Le domande vertono sull’uso di prodotti da agricoltura biologica e sulla eventuale presenza, in ogni famiglia, di individui con disturbi dello spettro autistico. Una possibile correlazione è quella riportata nella seguente figura:

fonte

Da questa figura si può concludere che il consumo di cibo biologico è correlato ai disturbi dello spettro autistico. Invito, tuttavia, i lettori a voler leggere la fonte prima di trarre conclusioni in merito.

Immaginiamo ora un altro progetto in cui, attraverso interviste telefoniche, si cerca di comprendere quanti suicidi attraverso impiccagione, strangolamento e soffocamento siano avvenuti in un certo lasso di tempo e quale tipologia di rivista stessero leggendo i malcapitati nel periodo immediatamente precedente la loro morte. Potrebbe venir fuori una cosa come quella della figura qui sotto:

fonte

Da questa figura si capisce che le spese per finanziare la scienza, lo sviluppo delle tecnologie in generale e quelle per andare nello spazio, in particolare, sono direttamente responsabili dei suicidi per impiccagione, strangolamento e soffocamento. Anche in questo caso invito i lettori ad accedere alla fonte della figura prima di esprimere ogni opinione in merito.

Di correlazioni senza causazioni ne possiamo fare parecchie. Anche un paio di anni fa avevo evidenziato come il consumo abitudinario di mozzarelle fosse direttamente responsabile della capacità degli studenti statunitensi di conseguire un dottorato in ingegneria civile (qui sotto il link)

Correlazioni e causalità ovvero delle fallacie degli antivaccinisti

Conclusioni

A onor del vero, gli autori dello studio concludono il loro lavoro scrivendo:

Despite the availability of a large national sample, the number of participants who died during the relatively short follow-up period was small. This increases the risk of a type 2 error, particularly in stratified analyses. In addition, sugary beverage consumption was based on self-report, which is subject to an underreporting bias, specifically for SSBs, that has been shown to differ by a respondent’s weight status, among other factors.25 In addition, beverage exposure estimates were available only at baseline. The extent to which that measure reflects consumption throughout the follow-up period is unknown. Furthermore, we were unable to estimate consumption of all types of SSBs, including sweetened teas, which is known to be high among some adults. Nevertheless, it is important to note that the absence of these data is likely to have biased the observed associations toward the null. Third, nearly one-third of the REGARDS cohort did not complete an FFQ, which may have led to selection bias, compromising the interval validity of our study“.

In altre parole, gli stessi autori si rendono perfettamente conto che le loro conclusioni non sono definitive e che lo studio avrebbe dovuto essere fatto prendendo in considerazione un approccio differente.

Nonostante questa conclusione che consente di dire che lo studio deve essere preso con le mollette, cosa pensate titoleranno le migliori testate giornalistiche quando si accorgeranno di poter scrivere “contrordine compagni. I succhi di frutta fanno male“, potendo in questo modo ottenere tanti like e tante condivisioni che vuol dire anche tanta pubblicità?

Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto io mi vado a sbafare un ottimo succo di frutta. Visto che aumento la mia possibilità di morire (cosa che comunque accadrà), che almeno possa avvenire mentre si sviluppa in me la sensazione di soddisfazione conseguente all’aver assunto una bevanda dolcificata.

Fonte dell’immagine di copertina

Agricoltura biodinamica: tra magia e fantasia

Quante volte ho scritto di agricoltura biodinamica? Non si contano più (es. qui). Tra litigate in rete con pseudo scienziati di ogni tipo, persone che invadono senza alcun ritegno campi in cui non sono assolutamente competenti, personaggi che mascherano con la pseudo scienza i loro tornaconti personali, è diventato piuttosto noioso parlare sempre delle stesse cose. Tuttavia, ritengo che tornare di tanto in tanto alla carica sia piuttosto utile per non dimenticare che, nonostante gli sforzi compiuti, ci sono sempre quelli che continuano imperterriti a diffondere le cretinate più assurde.

L’ultima sciocchezza che mi è capitato di leggere è riportata su una rivista on line. Si tratta di WineNews, una rivista del settore enologico che riporta di una nuova tecnica biodinamica per la produzione di uno Champagne.
Riporto qui sotto per comodità il breve articolo che potete leggere anche qui:

Gli appassionati di vino sono sempre a caccia di particolarità e novità. E dovranno aspettare fino al 2021 per poter degustare il primo champagne prodotto con la fermentazione in botti d’oro. A firmarlo, come giù riportato in passato da WineNews, la maison Champagne Leclerc Briant, che ha annunciato la data di rilascio al magazine Uk “The Drink Business”. Lo champagne, annata 2016, sarà prodotto dalla fermentazione nelle botti da 228 litri, fatte di acciaio all’esterno, ma rivestite di oro a 24 carati all’interno, create dall’azienda specializzata GD Industries. E sarà un vino prezioso in assoluto, visto che le uve arrivano dal vigneto La Croisette, una parcella di Chardonnay ad Epernay, che fa parte dei 14 ettari di proprietà della Maison. Vigneto che ha una particolarità, perché se tutta l’azienda è gestita secondo i criteri della biodinamica, nel vigneto La Croisette, spiega l’azienda, non è mai stata toccata da prodotti chimici di sintesi. Una scelta, quella dell’oro, dovuta al fatto che, spiega lo “chef de cave” Hervet Jestin, “l’oro amplifica i livelli dell’attività del sole durante la prima fermentazione, e crea connessioni con l’attività del cosmo”.

Si comprende che la tecnica messa a punto prevede la fermentazione in una botte rivestita all’interno di oro. Perché proprio questo prezioso metallo? È riportato in neretto: l’oro amplifica l’attività del sole e crea connessioni con l’attività del cosmo.

Siamo nel 2019, ovvero siamo nel ventunesimo secolo. Siamo andati più volte sulla Luna; abbiamo inviato nello spazio profondo astronavi alla scoperta di forme di vita simili alla nostra; abbiamo mappato il genoma umano; abbiamo prodotto macchinari avanzatissimi per la diagnostica medica così da essere in grado di scoprire patologie in tempi così rapidi da poter assicurare con ottime probabilità una sopravvivenza un tempo impossibile; stiamo studiando i computer quantistici e tanto altro ancora. È mai possibile che si debbano leggere ancora ed ancora queste enormi stupidaggini sull’influenza del sole e le connessioni col cosmo? Ma è mai possibile che l’autore di questo articolo non abbia provato un minimo di vergogna nel riportare in merito a fantasiosi influssi astrali? Perché non ha commentato in merito? Per quale motivo non ha fatto fare la figura dell’ignorante allo pseudo enologo che si è permesso di dire le sciocchezze che tutti possiamo leggere? Dove si è laureato questo enologo? Ha studiato un minimo di biochimica? Ma c’è qualcuno che veramente crede a queste stupidaggini?

Mi verrebbe da dire: se c’è qualcuno che le dice, se c’è qualcuno che le riporta senza battere ciglio, vuol dire che c’è anche qualcuno che evidentemente crede a queste scempiaggini. Del resto le leggi del mercato sono chiare: se c’è una domanda, c’è necessariamente anche un’offerta.

Cosa concludere?
La fermentazione alcolica è un processo ben noto. Se volete averne un’idea dettagliata basta cliccare qui o leggere la figura riportata nell’immagine di copertina.

Come si evince, non c’è alcuna connessione con forze cosmiche e attività solari. Chi ha detto queste cose è indubbiamente uno che di biochimica non capisce assolutamente nulla. Vuole solo giustificare il prezzo sicuramente esoso a cui venderà le sue bottiglie per effetto del fatto che l’oro a 24 kt con cui intende ricoprire la superficie interna delle sue botti è particolarmente costoso.

Ognuno può fare quel che vuole dei propri soldi e del proprio destino, ma almeno non cerchi di prendere per idioti chi li ascolta o legge.

Immagine di copertina: La fermentazione alcolica (Fonte)


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