I cristalli temporali. Quelle bizzarre forme della materia

Non stiamo vivendo un’avventura del Dr. Who e nemmeno siamo in un episodio di Star Trek.  I cristalli temporali esistono per davvero.

Un cristallo è un sistema solido in cui le singole componenti (molecole, atomi o ioni) occupano delle posizioni spaziali ben definite che si ripetono periodicamente nelle tre dimensioni dello spazio cartesiano (indichiamole per semplicità con xyz).

L’unità strutturale più piccola  la cui trasposizione nello spazio dà luogo ai cristalli si chiama cella unitaria. Se un materiale è formato da celle orientate tutte nello stesso modo, viene identificato come monocristallino; se le celle sono orientate in più direzioni diverse,  viene indicato come policristallino.

Se il concetto di cristallo si riferisce alla geometria spaziale “ordinata” di un sistema solido, cosa sono i cristalli temporali?

Nel 2013 Nature ha pubblicato una notizia ai limiti della fantascienza [1] in cui vengono riassunti i punti principali di una teoria di Frank Wilczek già premio Nobel per la fisica nel 2004  “for the discovery of asymptotic freedom in the theory of the strong interaction“. 

Wilczek, propone l’esistenza di cristalli, ovvero di materiali solidi, il cui “ordine” si estende non solo nelle tre dimensioni spaziali, ma anche in quella del tempo. Egli li chiama “cristalli temporali”.

Facciamo un esempio semplice cercando di usare un linguaggio quanto meno tecnico possibile.

Tutti sanno che la corrente elettrica è dovuta al movimento degli elettroni all’interno di un filo metallico. Durante il loro spostamento, gli elettroni incontrano una resistenza dovuta alla presenza dei nuclei degli atomi che compongono il filo. Se, però, il filo viene immerso in un gas liquido ad una temperatura vicina allo zero assoluto (- 273 °C), i movimenti vibrazionali dei nuclei si oppongono meno efficacemente agli elettroni consentendo a questi ultimi una sòrta di “moto perpetuo”.

La circolazione degli elettroni in una spira (che in linguaggio tecnico si chiama solenoide) immersa in elio liquido consente di generare un campo magnetico permanente che può essere usato per diversi scopi. Uno di questi è la risonanza magnetica nucleare. Essa può essere usata sia per ottenere spettri per l’identificazione delle caratteristiche strutturali delle molecole, che per ottenere immagini per scopi diagnostici.

Un solenoide immerso in elio liquido, grazie alla sua capacità di condurre la corrente senza resistenza, si chiama superconduttore.

In un esperimento mentale, Wilczek suggerisce che se si inducono delle interazioni nelle particelle di un solenoide superconduttore, senza che venga persa la proprietà di superconduzione, si può formare un nuovo stato della materia che egli chiama “solitone”. I solitoni, ovvero gli aggregati delle particelle suddette, sono in grado di oscillare periodicamente in modo tale che dopo un certo tempo (indichiamolo con t) essi ritornano nella loro posizione di partenza. Si realizza in t ciò che di solito siamo abituati a vedere in xyz.

Cosa vediamo quando osserviamo un sistema cristallino? Vediamo semplicemente una sequenza di questo tipo: ABCDABCDABCD…

ABCD è la cella cristallina. Essa è dotata di una certa forma. Per esempio, in modo semplicistico, si può trattare di un tetraedro. Il tetraedro si ripete nello spazio conferendo al materiale solido quella che noi definiamo struttura cristallina.

Se ora pensiamo che ABCD è un solitone, ovvero un aggregato di particelle di un superconduttore, possiamo dire che esso ha una proprietà particolare: è in grado di oscillare nel tempo, ovvero di muoversi, in modo tale che dopo ogni periodo t lo si ritrova di nuovo nella sua posizione. Si realizza quindi ABCDABCDABCD… in cui lo sviluppo non è più nello spazio xyz, ma nel tempo t.

L’esperimento mentale di Wilczek è diventato realtà. L’8 Marzo di quest’anno (2017) è stata pubblicata su Nature la realizzazione dei cristalli temporali [2]. Un gruppo di ricerca Statunitense ha generato un solitone fatto di Itterbio che ha mostrato le proprietà “cristallografiche” descritte da Wilczek.

Il futuro è vicino.

Riferimenti

  1. Piers Coleman, 2013, Time crystals, Nature, 493: 166-167
  2. Zhang et al., 2017, Observation of a discrete time crystal, Nature, 543, 217 –220

Immagine di copertina: Reticolo cristallino del cloruro di sodio, Wikimedia commons

Svelato il mistero dei venti da eclisse

Svelato il mistero dei venti da eclisse

Non ho mai assistito ad una eclissi solare. Tuttavia chi l’ha fatto è testimone di un fenomeno molto singolare. Infatti, durante le eclissi solari il vento si attenua e cambia direzione [1].

Questa osservazione pare sia stata fatta già tre secoli fa, ma solo oggi è stata data una spiegazione attendibile del fenomeno [2].

Uno studio dei cambiamenti climatici a seguito di una eclissi solare avvenuta nel Marzo 2015 nel Regno Unito [3] ha dimostrato che la suddetta eclissi ha comportato non solo un aumento dell’umidità relativa, ma anche un raffreddamento con una diminuzione di circa un grado Celsius della temperatura al suolo.

Nel momento in cui si ha il raffreddamento per effetto dell’eclissi, l’aria al suolo si raffredda e tende a non andare più verso l’alto. La conseguenza è che non solo cambia la velocità del vento (il raffreddamento dell’aria comporta una riduzione della sua velocità) ma anche la direzione, non più dal basso verso l’alto, ma il contrario.

In definitiva, nessuno spirito maligno, nessun diavolo o dio alterato, ma solo “semplice” fisica.

PS. Spero di aver usato il linguaggio corretto. Non me ne vogliano i meteorologi.

Riferimenti
[1] http://earthsky.org/e…/solar-eclipses-have-an-effect-on-wind
[2] http://www.ibtimes.com/eclipse-wind-mystery-resolved-resear…
[3] http://rsta.royalsocietypublishing.org/…/…/20150224.full.pdf

Scoperta l’impronta di titanosauro.

Scoperta l’impronta di un titanosauro.

E’ appena apparsa la notizia che l’impronta enorme di un dinosauro (in particolare un titanosauro) è stata scoperta nel deserto del Gobi in Mongolia (https://it.wikipedia.org/wiki/Mongolia)

L’impronta, di 106 cm di lunghezza e 77 cm di larghezza, è stata scoperta in uno strato di suolo databile in un intervallo che va dai 70 ai 90 milioni di anni fa.

La fonte di questa notizia è il sito phys.org al link: http://phys.org/…/2016-09-giant-dinosaur-footprint-mongolia…

Non ci sono riferimenti scientifici al momento. Aspettiamo, quindi, un lavoro ad hoc in merito.

L’acido di Hitler

L’acido di Hitler

Sapevate che esiste l’acido di Hitler? Si tratta dell’acido ortocarbonico (H4CO4) la cui struttura assomiglia alla svastica nazista, da cui il nome (v. la figura a corredo di questa notizia).

Pare che calcoli computazionali abbiano permesso di ipotizzare la presenza di questo acido nel nucleo più interno di alcuni pianeti (Urano, nella fattispecie) come conseguenza di una reazione esotermica (ovvero che sviluppa calore) tra l’acqua e l’anidride carbonica quando la pressione cui le due molecole sono sottoposte arriva almeno a 314 GPa. Si legge 314 giga Pascal, ovvero una pressione che è circa 10000 volte più elevata della pressione atmosferica a livello del mare.

Lo studio condotto da ricercatori del Moscow Institute of Physics and Technology (MIPT) e del Skolkovo Institute of Science and Technology (Skoltech) apre nuove prospettive circa la chimica di molte molecole in condizioni estreme. L’acido ortocarbonico che è particolarmente instabile, risulta, infatti, stabile quando sottoposto alle alter pressioni.

I calcoli computazionali sono stati effettuati con un software che si chiama Universal Structure Predictor: Evolutionary Xtallography e consente di ipotizzare la presenza di molecole la cui esistenza è giudicata impossibile nelle condizioni di atmosfera e temperatura cui siamo abituati sulla Terra. In altre parole, lo scenario che si apre con l’uso del predetto software è molto intrigante perché ci permette di capire che la chimica che studiamo all’università può essere ben diversa rispetto a quella presente in altre regioni dello spazio profondo.

Per approfondire:

https://theanalyticalscientist.com/…/hitlers-acid-in-uranus/

http://www.universetoday.com/…/uranus-neptune-may-keep-hit…/

http://han.ess.sunysb.edu/uspex_manual/uspex_manual.pdf

Emergenza punteruolo rosso in Sicilia

Emergenza punteruolo rosso

Qualche anno fa si presentò in Sicilia (ed in tutto il nostro paese) un “simpatico” coleottero chiamato “punteruolo rosso” per il suo colore e per il fatto che ha un “corno” a forma di punteruolo sulla testa. Questo insetto, proveniente dall’Asia ed arrivato in Italia dal Nord Africa grazie all’importazione di piante infette, depone le uova nelle parti tenere delle palme (per esempio in prossimità di “ferite” delle piante o alla base delle foglie). Le larve, che hanno un apparato masticatorio molto sviluppato, scavano gallerie per arrivare nelle zone più interne delle palme e cibarsi della cellulosa lì presente. Il risultato finale è che le palme “muoiono”. Migliaia di palme in Sicilia e nel resto d’Italia sono state abbattute perché, una volta infettate, diventano poco stabili e rischiano di cadere provocando danni a cose e persone. Tante università in Italia sono state impegnate nella ricerca di rimedi efficaci per contrastare l’infestazione da punteruolo rosso. Anche l’Università degli Studi di Palermo è stata coinvolta nella lotta a questo coleottero. Da qualche tempo la lotta sembrava finita. Ed invece è notizia di qualche giorno che il punteruolo rosso si è adattato alle palme che in precedenza non prendeva in considerazione. Pare che una infestazione da punteruolo rosso stia distruggendo le palme nane nel territorio di Segesta. Si ripresenta, quindi, il problema di qualche anno fa. In Europa mancano i predatori naturali del coleottero, per cui il contrasto biologico sembra poco praticabile. Rimane l’attacco con insetticidi che, tuttavia, è particolarmente invasivo e può dare problemi anche all’uomo. La lotta e, di conseguenza, la ricerca continua e non si può fermare.

Per approfondire:

I batteri dal movimento fototattico

I batteri dal movimento fototattico

L’evoluzione è veramente affascinante. Consente di scoprire mondi nuovi tali da far rimanere a bocca aperta chiunque sia un minimo assetato di conoscenza. Esistono batteri che si sono evoluti in modo da avere un metabolismo che consente loro di sfruttare l’energia solare per andare verso la luce o allontanarsi da essa all’occorrenza. Lo studio del metabolismo di questi batteri pare abbia consentito l’elaborazione di minuscoli robot dal comportamento fototattico dalle potenzialità notevoli. Sembra, infatti, che questi “robottini” potranno essere utilizzati in campo medico per riparare in modo mirato, guidati dalla luce, le ferite nel corpo umano.

Il micro mondo immaginato da Asimov in uno dei suoi romanzi si sta realizzando

Per saperne di più:

https://www.sciencedaily.com/releas…/2016/…/161004105038.htm

The Higgs bison

The Higgs bison

Quanti di voi leggendo il titolo hanno pensato ad un errore di battitura? In effetti è noto il bosone di Higgs ed è ragionevole pensare che io mi metta a descrivere sulla mia pagina una cosa del genere. Ed invece no. Ritengo che il bosone di Higgs sia fin troppo inflazionato. Molto meglio parlare del bisonte di Higgs. Mi incuriosisce molto la storia evolutiva di un mammifero Europeo.

Qualche ora fa è apparso su Nature Communications un articolo in merito a indagini genetiche compiute su resti fossili. È emerso che i nostri progenitori dell’era glaciale conoscevano una tipologia di bisonte che per scherzo gli scienziati coinvolti nello studio hanno indicato come “Higgs bison”. Si tratta di un ibrido tra il progenitore estinto delle moderne vacche ed un bisonte che viveva circa 120000 anni fa nei prati ghiacciati tra l’Europa ed il Messico. Questo ibrido vissuto un po’ di tempo fa sembra essere il progenitore dei moderni bisonti che vivono protetti tra la Polonia e la Bielorussia. La conoscenza del suddetto ibrido da parte dei nostri progenitori sembra testimoniata da dipinti rupestri trovati sulle mura di diverse caverne in giro per l’Europa.

Per saperne di più

http://www.nature.com/articles/ncomms13158

Le ombre ed il principio di Archimede

Le ombre ed il principio di Archimede

Il principio di Archimede ci insegna che un corpo immerso in un liquido riceve una spinta verso l’alto con una forza che è pari al peso del volume di liquido spostato. Questo principio, che descrive la cosiddetta spinta idrostatica, è alla base del principio di funzionamento di barche, navi e sottomarini. Tuttavia, mentre è abbastanza evidente cosa accade con oggetti così pesanti, è meno noto come il principio di Archimede possa spiegare il fatto che gli insetti camminino sull’acqua. Per questo motivo un gruppo di ricercatori ha inventato un modo per “misurare” la spinta idrostatica degli insetti. Hanno proiettato le ombre degli insetti “camminatori” su un foglio bianco posto alla base di un acquario. Utilizzando delle opportune fotografie, hanno messo in relazione l’intensità delle ombre generate dalla deformazione della superficie dell’acqua da parte delle zampette con la quantità di acqua che viene rimossa grazie ai peli presenti sulle zampette stesse. I ricercatori hanno concluso che la spinta idrostatica che consente agli insetti di camminare sull’acqua è legata proprio all’acqua rimossa grazie a questi “peletti”. La comprensione di questo meccanismo può essere alla base per la costruzione di microbot in grado anche essi di camminare sull’acqua

Per saperne di più:

https://www.sciencedaily.com/releas…/2016/…/161019132924.htm

http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acs.langmuir.6b02922

Fortuna o bravura? osservazioni inusuali sul metodo scientifico.

Fortuna o bravura?

Si sa come funziona il metodo scientifico. Si osserva un fenomeno; si fanno delle ipotesi; si eseguono esperimenti; se l’ipotesi è verificata, si rifanno esperimenti cercando di invalidare le ipotesi fatte; se l’ipotesi non viene falsificata, allora può essere considerata come un utile modello della realtà, fino a quando un nuovo modello più completo non sostituisca quello vecchio.

Una parte importante di tutto questo è la pubblicazione dei risultati. Uno studioso che segue il metodo scientifico, ad un certo punto della sua attività, mette assieme quello che ha fatto in uno scritto (una volta si chiamava manoscritto) e lo sottopone all’attenzione della comunità internazionale di riferimento. L’intento è l’avanzamento delle conoscenze, ovvero mettere a disposizione i propri risultati in modo tale che chiunque voglia possa riprodurre gli stessi risultati, formulare nuove ipotesi e sostituire il vecchio modello.

Quanto di ciò che viene pubblicato e diventa noto al grande pubblico è dovuto a reale bravura dello studioso e quanto a pura fortuna? Oggi uno studio “scientifico” ce lo dice. Science, nella sezione News [1], riporta che è vero che uno studioso deve avere una grande preparazione per poter affrontare un problema più o meno complesso, ma è anche vero che la “comunicazione” gioca un ruolo importante. Non basta essere bravi, ma bisogna anche saper comunicare quello che si fa. Bastano bravura e comunicatività? No. Serve anche la fortuna. Devo dire che non mi aspetavo di veder sdoganato il fattore “C” [2] sotto l’aspetto scientifico…Va bene…diciamo sotto l’aspetto statistico che è meglio. In ogni caso l’articolo nelle News di Science è abbastanza divertente. Ne raccomando la lettura 🙂

Riferimenti:

[1] http://www.sciencemag.org/…/hey-scientists-how-much-your-pu…

[2] fattore “C”. C’è bisogno di definirlo? 😀

Le piante a l’anidride carbonica di origine antropica

Le piante e l’anidride carbonica di origine antropica

Una interessante sorpresa è riportata in un recente lavoro apparso on line ieri 8 Nov 2016 su Nature Communications.

Gli autori hanno evidenziato che sembra esserci una “pausa” nell’incremento di anidride carbonica atomosferica ed un decremento nella frazione antropogenica della stessa, sebbene le emissioni di CO2 di origine antropica non solo non sono diminuite, ma, addirittura, aumentate. Questa pausa viene attribuita ad un effetto a lungo termine delle corrette pratiche agronomiche che privilegiano l’ecosistema terrestre come carbon sink (ovvero serbatoio per immagazzinare il carbonio impedendone la degradazione a CO2) e all’effetto che sia le grosse quantità di CO2 che le temperature in aumento hanno sul metabolismo vegetale.

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