Omeopatia e fantasia. Parte II

Qualche settimana fa ho dedicato una nota dal titolo “Omeopatia e fantasia” (clicca qui) ai risultati di Benveniste e Montagnier in merito ad uno dei cavalli di battaglia più incisivi di quelli che io definisco gli “amici dell’omeopatia”, ovvero la memoria dell’acqua. Ho messo in evidenza come il lavoro di Benveniste sia stato smentito dagli editor di Nature (rivista su cui il concetto di memoria dell’acqua fu pubblicato per la prima volta nel 1988) così come il lavoro di Montagnier sia risultato affetto da limiti sperimentali che hanno reso le conclusioni ivi contenute del tutto inaffidabili.

Tuttavia ho anche concluso che una anomalia chimica come la memoria dell’acqua non è passata inosservata e, dopo le pubblicazioni di Benveniste e Montagnier – nonostante tutti i limiti di cui ho discusso, il mondo scientifico non se ne è stato con le mani in mano.

Tutti noi lavoriamo per scrivere i nostri nomi nei libri di storia della scienza. Se “annusiamo l’affare”, ci buttiamo a pesce per essere tra i primi, se non i primi, a descrivere il modello più adatto per spiegare certi fenomeni strani. La conseguenza è che la letteratura è piena di studi i cui autori descrivono i loro infruttuosi tentativi di trovare la “pietra filosofale”. E’ quanto accaduto anche per la memoria dell’acqua. Ma andiamo con ordine ed applichiamo il metodo scientifico di cui ho già scritto qui, qui e qui.

La domanda

Alla luce dei risultati di Benveniste, immaginiamo che  un principio attivo lasci la sua impronta all’interno del solvente che lo contiene e che tale impronta permanga nel sistema dopo una sequenza di succussioni e diluizioni successive. Questa impronta deve essere fatta da molecole di acqua che si muovono a velocità differenti, ovvero ci si deve aspettare che le molecole di acqua  sui bordi dell’impronta debbano essere meno mobili di quelle più lontane dall’impronta.

Supponiamo ora che sia valido  quanto affermato da Montagnier in merito alla presenza di nano-strutture di acqua tenute assieme da radiazioni elettromagnetiche. Ci dovremmo aspettare anche in questo caso la presenza di acqua che si muove a differenti velocità. Infatti le molecole di acqua impegnate nella formazione di nano-strutture, trovandosi in domini chimici piuttosto ingombranti rispetto alle dimensioni di una singola molecola di acqua, si devono muovere più lentamente di quelle che sono posizionate in zone più lontane dalle predette nano-strutture.

E’ possibile trovare delle evidenze sperimentali che possano validare le ipotesi suddette formulate sulla base di studi ritenuti in ogni caso inaffidabili dalla comunità scientifica?

Gli esperimenti in risonanza magnetica nucleare

La risonanza magnetica nucleare (NMR) permette di studiare il comportamento della materia in presenza di campi magnetici ad intensità differente. Non è questa la sede per entrare nei dettagli della tecnica che possono essere trovati altrove [1].

In modo molto semplicistico possiamo dire che al variare dell’intensità del campo magnetico è possibile misurare la velocità con cui si muovono le molecole di acqua confinate in specifici intorni chimici. In particolare, per intensità basse del campo magnetico applicato, si possono monitorare le velocità di molecole di acqua che si muovono lentamente. Man mano che aumenta l’intensità del campo magnetico applicato si può monitorare la velocità di molecole di acqua che si muovono con velocità progressivamente più elevata.

Nel 1999, Rolland Conte et al. [2] pubblicano una “Theory of high dilutions and experimental aspects” dove vengono riportati dati sperimentali a supporto di una teoria delle “impronte” che sembra validare la presunta efficacia dell’omeopatia. Tuttavia, le evidenze sperimentali riportate in quel libro sono state completamente smentite dai lavori di Milgrom et al. [3] e Demangeat et al. [4]. Questi autori, infatti, hanno evidenziato, mediante applicazione della tecnica NMR, che i risultati di Rolland Conte e collaboratori sono ascrivibili ad artefatti derivanti da impurezze rilasciate dalle pareti dei recipienti di vetro usati per gli esperimenti. Nessuna “impronta” rilasciata dal soluto nel solvente e presente anche dopo un certo numero di diluizioni e succussioni, è stata  rilevata da Aabel et al. [5] che scrivono:

there is no experimental evidence that homeopathic remedies make any kind of imprint on their solvent, which can be detected with nuclear magnetic resonance”.

Alle stesse conclusioni giunge anche Anick [6] che riporta:

no discrete signals suggesting a difference between remedies and controls were seen, via high sensitivity 1H-NMR spectroscopy. The results failed to support a hypothesis that remedies made in water contain long-lived non-dynamic alterations of the H-bonding pattern of the solvent”.

Le evidenze di Milgrom et al., Demangeat et al., Aabel et al. e Anick, sono state recentemente confermate anche da Baumgartner et al. [7] che riportano:

No clear pattern emerged with respect to a difference between homeopathic preparations and controls or between homeopathic preparations”.

Da quanto appena riportato, si comprende che l’ipotesi sulla memoria dell’acqua è stata falsificata in senso popperiano. In altre parole l’uso di tale ipotesi consente di fare delle previsioni che, poi, non sono confermate dalla realtà sperimentale.

Quale conclusione si può trarre da questa lezione? La memoria dell’acqua semplicemente non esiste.

Andiamo oltre

Altre realtà sperimentali

Concentriamoci ora sul fenomeno della succussione ovvero dell’agitazione meccanica e violenta che, secondo Hannhemann, dinaminizzerebbe l’acqua rendendola capace di accumulare e potenziare l’essenza del principio attivo rendendolo efficace anche alle estreme diluizioni omeopatiche.

Tra le tecniche utilizzate per lo studio degli effetti della succussione sulla struttura dell’acqua sono da annoverare conduttimetria e calorimetria. La conduttimetria è un tipo di analisi attraverso cui si valuta la capacità dell’acqua di condurre la corrente elettrica. La conduttimetria, per esempio, consente di misurare l’effetto Grotthus di cui ho parlato qui. La calorimetria è una tecnica che consente la misura della quantità di energia coinvolta nei processi chimici. In altre parole,  l’idea alla base di queste misure è che i processi di diluizione e succussione che portano alla formazione di “impronte”, modificano la rete di legami a idrogeno in cui le molecole di acqua sono coinvolte. Queste modifiche sono individuabili sia attraverso la misura dell’energia (ovvero calore) coinvolta durante le trasformazioni che attraverso le alterazioni temporali delle proprietà conduttimetriche [8].

Sia le indagini conduttimetriche che quelle calorimetriche in cui si conclude che la succussione permette la formazione di strutture acquose coinvolte nelle proprietà dei rimedi omeopatici, sono state smentite in lavori apparsi recentemente in letteratura. Per esempio, Horatio Corti [9] riporta che tutti i lavori in cui si fa uso di conduttimetria soffrono di fallacie metodologiche. Per esempio, quando si descrive la succussione si scrive “violent agitaton”. Cosa vuol dire “agitazione violenta”? Ciò che è “violento” per me potrebbe non esserlo per altri. Sotto il profilo metodologico è sempre – e ribadisco sempre – necessario riportare le condizioni esatte con cui vengono preparati i campioni per le analisi. La base del metodo scientifico è quella di consentire a tutti i ricercatori interessati, di ripetere, se necessario, gli esperimenti fatti dai propri colleghi. Se mancano informazioni, gli esperimenti sono irripetibili ed irriproducibili; i fenomeni di cui si tenta di dare una spiegazione non sono osservabili; quei fenomeni non possono essere descritti e ricadono nell’ambito della pseudo scienza.

Si potrebbe argomentare che in alcuni lavori sia stato indicato che la succussione consiste:

in a single succussion process, 50–500 vertical strokes are given at the frequency of 0.83 Hz to the vessel containing the solution. In the case of the vortex, the time the vortex was present varied from 20 to 120 s” [10].

In altre parole, la succussione può essere effettuata in due modi. Una prima modalità consiste nell’agitare da 50 a 500 volte dall’alto verso il basso (ovvero in verticale) con una frequenza di 0.83 Hz il contenitore in cui vengono effettuate le diluizioni. Una seconda modalità consiste nell’usare un miscelatore “vortex” per un intervallo di tempo variabile da 20 a 120 s.

Sebbene quanto riportato possa sembrare ineccepibile sotto l’aspetto scientifico, in realtà le informazioni non sono sufficienti affinché la preparazione dei campioni possa essere considerata riproducibile. Infatti, manca l’indicazione relativa alla quantità di energia meccanica coinvolta nel processo di succussione.

In altri studi sui processi di succussione e diluizione, vengono prese in considerazione miscele acqua/biossido di silicio [8]. Ebbene, il biossido di silicio è un composto chimico, presente anche nel vetro, del tutto insolubile in acqua. In funzione delle dimensioni delle particelle di biossido di silicio, si può parlare di dispersione colloidale (particelle di dimensione compresa tra 2 x 10-9 e 2 x 10-6 m, ovvero tra 2 nm e 2 micron) o di sospensione (particelle con dimensione > 2 x 10-6 m, ovvero > 2 micron). È evidente, quindi, che le miscele biossido di silicio/acqua non sono “soluzioni” propriamente dette.

Non essendo delle soluzioni, ma delle dispersioni colloidali o addirittura delle sospensioni, le miscele acqua/biossido di silicio non possono essere campionate in modo riproducibile dal momento che la distribuzione del particolato solido nell’intera miscela dipende fortemente dalla turbolenza del sistema. Si tratta, in definitiva, anche in questo caso di un sistema irriproducibile che non consente ad altri ricercatori di poter controllare la validità delle osservazioni fatte da chi “esalta” la capacità “dinamizzatrice” della succussione.

Cosa dire poi dell’uso di bottiglie scure usate per la conservazione dei campioni? [11]  Il colore delle bottiglie è dovuto a composti contenenti nickel, ferro o altri ossidi di metalli di transizione che possono essere rilasciati nelle soluzioni. Queste impurezze, della cui presenza è stato già discusso nel paragrafo precedente in merito ai risultati NMR, possono inficiare sia le misure conduttimetriche che quelle calorimetriche.

Non si può, poi, non ricordare anche che  le “agitazioni violente” incrementano la solubilità dei gas in acqua portando alla formazione di nanobolle la cui presenza inficia ogni possibile tipo di analisi si decida di effettuare.

Non è un caso, quindi, che Verdel e Bukovec [12] affermino che quando tutte le possibili fonti di errori sono sotto controllo:

we found no differences in conductivities of aged mechanically treated solutions and aged untreated solutions

ovvero la succussione non produce effetti rispetto a soluzioni controllo.

Verdel e Bukovec evidenziano anche che le modifiche temporali nelle misure conduttimetriche dell’acqua possono essere ricondotti ad una proprietà anomala della stessa indicata come tissotropia. La tissotropia è una particolare caratteristica fisica di alcuni gel o liquidi per la quale la viscosità è più elevata in condizioni di riposo, mentre diventa via via più bassa man mano che aumenta l’agitazione meccanica.

Conclusioni I

Questa breve disamina sulle realtà sperimentali in merito all’omeopatia, ha evidenziato che non è vero quanto dicono gli amici dell’omeopatia in merito al mondo scientifico chiuso e sordo alle novità. Si tratta di fantasie di ignoranti che non hanno alcuna idea di come ci si muove nel mondo scientifico. Queste persone, che non hanno idea di cosa sia la Scienza, hanno in mente solo le biografie romanzate di grandi scienziati del passato e pensano che queste biografie romantiche riflettano esattamente il mondo nel quale io stesso mi muovo da circa 25 anni.

Conclusioni II

Anche sotto l’aspetto chimico, l’omeopatia altro non è che una vera e propria scemenza. C’è bisogno di prove per affermarlo? Secondo me, sì. Quando si fanno delle affermazioni in ambito scientifico bisogna sempre parlare con cognizione di causa. Bene hanno fatto i colleghi a fare esperimenti per individuare la validità della cosiddetta memoria dell’acqua. I risultati hanno dimostrato in modo ineccepibile che s tratta di una idea affascinante che, tuttavia, non ha alcun riscontro sperimentale. Si può accantonare senza alcuna difficoltà.

Conclusioni III

Ci sarà sicuramente qualcuno che penserà: “va bene. La memoria dell’acqua non è verificata e quindi non si può considerare. Ma l’omeopatia su di me funziona. Ci sarà qualche altro motivo”.

Il funzionamento dell’omeopatia è legato all’effetto placebo, un effetto non biochimico che si realizza solo in alcune condizioni e che, comunque, non consente di risolvere problemi seri. Ma questo sarà l’oggetto di un’altra nota.

Riferimenti e note

[1] D. Goldenberg (2016) Principles of NMR Spectoscopy, University Science Books; R. Kimmich (2011) NMR: Tomography, Diffusometry, Relaxometry. Springer 2nd ed.

[2] R.R. Conte et al. (1999) Theory of high dilutions and experimental aspects. Paris: Polytechnica. Tradotto e pubblicato da Dynsol Ltd, Huddersfield

[3] LR Milgrom et al. (2001) On the investigation of homeopathic potencies using low resolution NMR T2 relaxation times: an experimental and critical survey of the work of Rolland Conte et al. British Homeopathic Journal, 90: 5-12

[4] JL Demangeat et al. (2004) Low-field NMR water proton longitudinal relaxation in ultrahigh diluted aqueous solutions of silica-lactose prepared in glass material for pharmaceutical use. Applied Magnetic Resonance. 26: 465-481

[5] S Aabel et al. (2001) Nuclear magnetic resonance (NMR) studies of homeopathic solutions. British Homeopathic Journal, 90: 14-20

[6] DJ Anick (2004) High sensitivity 1H-NMR spectroscopy of homeopathic remedies made in water.  BMC Complementary and Alternative Medicine, 4: 15 DOI: 10.1186/1472-6882-4-15

[7] S. Baumgartner et al. (2009) High-field 1H T1 and T2 NMR relaxation time measurements of H2O in homeopathic preparations of quarrtz, sulfur, and copper sulfate. Naturwissenschaften, 96: 1079-1089

[8] V. Elia et al. (2004) New physico-chemical properties of extremely diluted aqueous solutions. A calorimetric and conductivity study at 25°C, Journal of Thermal Analysis and Calorimetry, 78: 331–342; V. Elia et al. (2005) Hydrohysteretic phenomena of “Extremely Diluted Solutions” induced by mechanical treatments: a calorimetric and conductometric study at 25 °C. Journal of Solution Chemistry, 34: 947-960; V. Elia et al. (2007) The “Memory of Water”: an almost deciphered enigma. Dissipative structures in extremely dilute aqueous solutions. Homeophaty 96: 163–169; V. Elia et al. (2008) New physico-chemical properties of extremely dilute solutions. A conductivity study at 25 °C in relation to ageing. Journal of Solution Chemistry, 37: 85–96

[9] H.R. Corti (2008) Comments on “New Physico-Chemical Properties of Extremely Dilute Solutions. A Conductivity Study at 25 °C in Relation to Ageing”, Journal of Solution Chemistry 37: 1819–1824

[10] V. Elia et al. (2005) Hydrohysteretic phenomena of “Extremely Diluted Solutions” induced by mechanical treatments: a calorimetric and conductometric study at 25 °C. Journal of Solution Chemistry, 34: 947-960

[11] V. Elia et al. (2004) New physico-chemical properties of extremely diluted aqueous solutions. A calorimetric and conductivity study at 25°C, Journal of Thermal Analysis and Calorimetry, 78: 331–342

[12] N. Verdel e P. Bukovec (2014) Possible further evidence for the thixotropic phenomenon of water, Entropy 16: 2146-2160

Fonte dell’immagine di copertinaultimi studi

Antivaccinisti ed immunità di gregge

Antivaccinisti

Molte volte si sente dire da parte degli antivaccinisti: “ma se una persona è vaccinata contro una patologia, perché dovrebbe temere i non vaccinati? Questi non possono trasmettere la patologia ai vaccinati”.

Sembra intuitivo, vero? Ma quante volte ho dovuto evidenziare che la scienza è contro intuitiva?

Sebbene quanto affermato dagli antivaccinisti sembri logico, in realtà denota solo una scarsa conoscenza della biochimica di base.

Batteri e virus sono in grado di moltiplicarsi molto velocemente, più velocemente di quanto facciano gli esseri umani ed in numero nettamente superiore a noi.

Durante le fasi della crescita batterica o della replicazione dei virus, tra i miliardi di batteri e virus che si producono, se ne otterrà sempre un piccolo numero che ha subito delle mutazioni genetiche.

Queste ultime sono tali da non consentire la “sopravvivenza” di questo sparuto numero di mutanti nelle condizioni ambientali in cui essi si trovano. Tuttavia, se le condizioni cambiano, saranno proprio questi pochi mutanti a sopravvivere e a produrre la popolazione in grado di resistere alle mutate condizioni ambientali.

Ognuno di noi è portatore di batteri e virus. Il nostro organismo è un vero e proprio laboratorio chimico in cui questi minuscoli “esserini” prosperano e si moltiplicano.

Il compito dei vaccini è quello di permettere al nostro organismo di sviluppare delle squadre di sorveglianza in grado di riconoscere tra i miliardi di esserini anzidetti quelli che possono portare a delle patologie serie. Una volta individuati i “cattivi”, le squadre di sorveglianza (ovvero i carabinieri all’interno del nostro organismo) procedono all’isolamento ed alla neutralizzazione di questi portatori di patologie.

In altre parole quando ci vacciniamo è come se dotassimo le squadre di carabinieri che controllano lo stato di salute del nostro corpo delle foto segnaletiche dei “cattivi”.

Quando i “cattivi” penetrano dentro di noi, vengono individuati  dai carabinieri grazie alle foto segnaletiche  che abbiamo fornito tramite i vaccini. I carabinieri, quindi, si muovono e  provvedono all’isolamento ed alla neutralizzazione dei “cattivi”.

Se il numero di persone non vaccinate è molto alto, diciamo per comodità al di sotto del 95% che è un numero che in questi giorni abbiamo spesso letto, accade che anche i vaccinati rischiano di essere preda delle patologie dei non vaccinati.

Perché?

Ricordate che ognuno di noi contiene miliardi di esserini? Ebbene più aumenta il numero di individui non vaccinati, più il numero di esserini portatori di patologie aumenta. Più questo numero aumenta più aumenta la possibilità che si sviluppino esserini cattivi mutati. Questi cattivi mutati non corrispondono più alle foto segnaletiche che abbiamo inviato ai carabinieri che controllano lo stato di salute del nostro corpo. La conseguenza è che quando i cattivi mutati penetrano nell’organismo vaccinato, non vengono riconosciuti come “cattivi” e fanno danni.

Capito ora perché è importante portare la percentuale di vaccinati al di sopra di certe soglie? In questo modo impediamo che avvengano le trasformazioni che consentono a batteri e virus cattivi di “mimetizzarsi” e di non essere riconosciuti come tali dal nostro sistema immunitario che è stato “abituato” a riconoscerli senza la maschera dovuta alla mimetizzazione.

Gli antivaccinisti hanno torto. Non è vero che chi è vaccinato non deve preoccuparsi dei non vaccinati. Se il numero dei non vaccinati è molto alto, anche i vaccinati possono cadere preda delle patologie per cui sono state effettuate le vaccinazioni. Infatti virus e batteri mutati, grazie all’elevata percentuale di non vaccinati, non sono più riconoscibili dal sistema immunitario dei vaccinati.

Note, commenti e riferimenti 

  1. Tutto quanto illustrato spiega perché, per esempio, ogni anno bisogna rifare il vaccino anti-influenzale. Pur essendo il virus dell’influenza sempre lo stesso, ogni anno si ripresenta con una “maschera” diversa. Il nostro sistema immunitario, che l’anno precedente era stato abituato a riconoscere una certa “maschera”, non è in grado di riconoscere la nuova “maschera”. La conseguenza è che ogni anno dobbiamo inviare al nostro sistema immunitario le foto segnaletiche relative al nuovo aspetto che il virus dell’influenza ha assunto rispetto all’anno precedente.
  2. La velocità con cui i batteri si moltiplicano e subiscono mutazioni rende conto del motivo per cui abbiamo bisogno di nuovi e più efficaci antibiotici ogni anno che passa. Infatti grazie alla loro rapida crescita, la probabilità che mutazioni casuali producano batteri resistenti agli antibiotici che usiamo è molto alta. La conseguenza è che gli antibiotici attualmente in uso diventano sempre meno utili.
  3. Batteri e virus non fanno altro che attuare le normali strategie per la sopravvivenza contro cui noi dobbiamo opporci con gli strumenti che abbiamo, ovvero le vaccinazioni e formulati farmaceutici sempre più nuovi ed efficaci.
  4. Per approfondire: R. Burioni, Il vaccino non è un’opinione; A. Grignolio, Chi ha paura dei vaccini

Fonte dell’immagine di copertinahttp://www.genitoripiu.it/news/allerta-vaccinazioni-dallistituto-superiore-di-sanita

Omeopatia e fantasia

Omeopatia e fantasia. La proposta di Benveniste
Nel 1988 il gruppo di ricerca gestito dal Professor Benveniste pubblica su Nature un lavoro nel quale si evidenzia come l’attività di certi anticorpi permane anche dopo le diluizioni estreme tipiche dei rimedi omeopatici. L’ipotesi formulata per spiegare questi risultati inattesi è che l’impronta degli anticorpi venga in qualche modo “memorizzata” all’interno della struttura dell’insieme di molecole di acqua. Sarebbe questa “traccia” lasciata dagli anticorpi a indurre gli effetti biochimici dei rimedi omeopatici, secondo i fautori dell’omeopatia. Ipotesi indubbiamente affascinante ma che, essendo basata su affermazioni straordinarie, richiede prove straordinarie.
Ho già avuto modo di spiegare che gli stessi editor di Nature si riservarono la possibilità di verificare la validità delle procedure utilizzate per l’ottenimento di quei risultati che apparentemente avrebbero dovuto consentire la riscrittura completa di tutti i libri di testo di chimica e fisica.
I risultati dell’indagine condotta dal comitato di esperti di Nature non hanno lasciato dubbi: il lavoro del gruppo gestito da Benveniste sopravvaluta gli effetti che gli autori riportano nelle loro conclusioni, manca di riproducibilità, manca di una seria valutazione degli errori sperimentali sia casuali che sistematici (per esempio gli autori non hanno fatto sforzi per eliminare i pregiudizi di conferma) e le condizioni del laboratorio non offrono sufficienti garanzie per una interpretazione oggettiva, e quindi credibile, dei dati
Nonostante la bocciatura, gli amici dell’omeopatia tornano periodicamente alla carica con la memoria dell’acqua.

Omeopatia e fantasia. La proposta di Montagnier
Subito dopo aver vinto il Nobel per la scoperta del virus HIV, quello responsabile dell’AIDS, Luc Montagnier pubblica un lavoro dal titolo “Electromagnetic signals are produced by aqueous nanostructures derived from bacterial DNA sequences”. I risultati di questo lavoro hanno eccitato, e tuttora eccitano, i fautori dei rimedi omeopatici. Infatti, Montagnier riporta che alcune sequenze di DNA sarebbero in grado di emettere delle radiazioni elettromagnetiche a bassa frequenza capaci di produrre degli insiemi nano-strutturati di molecole di acqua che permarrebbero in soluzione anche in assenza delle sequenze di DNA che li hanno prodotti. I nano-aggregati sarebbero a loro volta in grado di emettere le stesse onde elettromagnetiche delle sequenze di DNA. Si ottiene, in definitiva, una trasmissione delle informazioni contenute nelle sequenze di DNA a tutta la soluzione.
La novità del lavoro di Luc Montagnier è legata al fatto che la trasmissione elettromagnetica descritta occorre anche in assenza di soluto. In altre parole, i frammenti di DNA che innescano la trasmissione sembrano lasciare il loro “ricordo” all’interno della soluzione. Questo ricordo è riconducibile alle nano-strutture acquose che contengono l’informazione lasciata dal DNA. Montagnier si spinge anche oltre. Egli, infatti, ipotizza che tutte le patologie possano essere di origine batterica o virale, anche quelle per cui attualmente non sono riconosciute cause di questo tipo, come per esempio l’autismo. Secondo Montagnier, le non determinabili quantità di DNA immerse nel nostro organismo da questi “vettori” trasmetterebbero, attraverso l’acqua presente nel nostro sangue, le informazioni relative alle patologie di cui cadiamo preda.

Bello vero? L’ha detto un premio Nobel. Chi sono io per contraddire uno che è arrivato nell’Olimpo degli scienziati? Devo essere umile ed accettare le parole di Montagnier.

Sapete qual è il problema? Che io non solo non sono umile quando si parla di scienza, ma lo sono ancora meno quando si parla di chimica. Divento veramente antipatico se chi mi dice queste cose è uno che non solo non conosce la chimica, ma si dice pure simpatizzante dell’omeopatia. Se poi è un chimico (o in generale uno scienziato) simpatizzante dell’omeopatia, allora divento un antipatico intransigente e passo a trattare questo scienziato per quello che è: un ignorante assoluto.

Ma vediamo perché.

Cosa non va nel lavoro di Montagnier (parte I)
Se si legge il lavoro di Montagnier si nota subito una cosa. Esso è stato inviato alla rivista il 3 Gennaio, revisionato dopo suggerimenti ricevuti da revisori anonimi il 5 Gennaio e pubblicato in via definitiva il 6 Gennaio 2009. Tre giorni per inviare, revisionare e pubblicare un lavoro scientifico in cui si riportano delle informazioni che possono cambiare radicalmente le nostre conoscenze chimiche e fisiche, è eccezionale. L’ipotesi di Montagnier, infatti, tenderebbe a ridisegnare completamente tutto quanto sappiamo sull’acqua. I modelli che abbiamo usato fino ad ora e che funzionano perfettamente devono essere o rivisti o abbandonati.
Una rivista che pubblica così velocemente è encomiabile. Vuol dire che essa è molto efficiente nella scelta dei revisori anonimi e nel successivo processo di revisione ed editing. I revisori si sono, evidentemente, dichiarati disponibili a leggere e commentare il lavoro di Montagnier in tempi veramente ridotti. Si sono detti disponibili a sottrarre tempo prezioso al loro lavoro di ricerca e didattica per una incombenza che è fondamentale nel mondo scientifico: la peer review o revisione tra pari. Questo va bene. Anche a me capita di fare revisioni solo uno o due giorni dopo aver ricevuto la richiesta da parte delle riviste del mio settore.
Cosa dire, però, del servizio editoriale della rivista? Indubbiamente si è dimostrato particolarmente efficiente. Infatti, poche ore dopo aver ricevuto i commenti dei revisori, l’editore ha contattato gli autori che immediatamente hanno provveduto alle eventuali revisioni suggerite. Infine, nel giro di altre poche ore il lavoro è stato formattato secondo gli schemi della rivista, le bozze inviate agli autori, corrette e restituite alla rivista che ha poi pubblicato immediatamente il lavoro.
Posso dire che sono invidioso? A me è capitato che le uniche volte in cui le informazioni in merito ad un mio lavoro siano arrivate entro 48 ore dall’invio ad una rivista è perché il lavoro non era stato considerato pubblicabile sulla rivista stessa. Ma io non sono un Nobel e devo essere umile.
Peraltro io non sono neanche editor-in-chief né chairman dell’editorial board delle riviste su cui pubblico come, invece, lo è Luc Montagnier. Basta andare sul sito de “Interdisciplinary Sciences: Computational Life Sciences” della Springer e cercare nell’editorial board staff per trovare il nome di Montagnier associato alla carica di Chairman dell’editorial board staff. Non è che l’efficienza precedentemente discussa potrebbe essere dovuta al fatto che il Professor Montagnier abbia agito contemporaneamente come autore, editore e revisore del suo stesso lavoro? Se fosse così, sarebbe un plateale caso di scienza patologica legato ad un comportamento an-etico.
Ma io non sono nessuno e devo essere umile. Soprattutto queste mie elucubrazioni sanno di complottismo. Ed allora entriamo nel merito.

Cosa non va nel lavoro di Montagnier (parte II)
Da una lettura accurata del lavoro si evince che Montagnier fa ampio uso della tecnica PCR (polymerase chain reaction che in Italiano è conosciuta come reazione di amplificazione a catena). Si tratta di una tecnica che consente di amplificare (ovvero ottenere in gran quantità ed in poche ore) una specifica sequenza di DNA. Il limite di questa tecnica risiede nel fatto che occorre molta attenzione perché il rischio di contaminazione dei campioni è molto alto. Per esempio, l’amplificazione del DNA umano risulta facilitata dal fatto che frammenti di pelle sono presenti un po’ ovunque. Essi tendono ad accumularsi, anche se non ce ne accorgiamo, nei tubicini Eppendorf (citati nel lavoro di Montagnier) utilizzati proprio per la reazione di amplificazione a catena. Una volta che il DNA, o suoi residui, sono stati amplificati, non è possibile riconoscere quale parte del campione prodotto viene dal contaminante e quale, invece, dal sistema nucleotidico che si intendeva realmente amplificare. Un altro limite della tecnica è che possono avvenire delle reazioni collaterali tra i reagenti utilizzati che producono delle sequenze di DNA indistinguibili da quelle che realmente interessano. Per poter essere certi che la PCR abbia condotto ai risultati sperati è necessario effettuare dei controlli negativi, ovvero dei test che consentano di escludere senza ombra di dubbio che le reazioni occorse durante l’amplificazione non prodotto contaminazione. Nel lavoro di Montagnier non c’è alcuna descrizione di tali controlli. I suoi risultati possono essere inficiati da ogni possibile tipo di contaminazione. In altre parole tutto ciò che è stato detto in merito al lavoro di Benveniste si può riprendere e ripetere per quello di Montagnier.

Conclusioni
Anche se i lavori cardine cui fanno riferimento gli amici dell’omeopatia sono fallaci sotto l’aspetto metodologico, ci sarà sempre qualcuno che dirà: “va bene. I lavori che hai preso in considerazione hanno dei punti deboli, ma l’omeopatia funziona. Bisogna solo cercare il perché”.
Non è così, mio caro lettore ignorante e seguace della fede omeopatica. L’omeopatia funziona solo nella tua testa. I rimedi omeopatici non hanno alcun effetto se non quello placebo. E quest’ultimo funziona solo se sei in stato di veglia, cosciente e se nessuno ti dice che quanto assumi è solo acqua e zucchero. Insomma, il rimedio omeopatico su di te funziona perché, anche se non lo vuoi ammettere (e chi lo vorrebbe?), sei un ipocondriaco, cioè un malato immaginario. Questa tua condizione, che ti piaccia o no, ti rende facile preda di maghi, fattucchiere, imbonitori e venditori di olio di serpente.

Post-Conclusioni
Il mondo scientifico non è rimasto indifferente all’ipotesi di Montagnier. Esistono un po’ di lavori con i quali gli scienziati hanno cercato di individuare le nano-strutture acquose. Ma questa è storia per un altro post.

 

Critica alle critiche. Un errore comune nel processo di debunk

Il processo di debunk è estremamente importante in questa epoca famosa per la post-truth. Tutti possono scrivere in rete e tanti si inventano notizie per acchiappare click e guadagnare con la pubblicità. Molti sono, però, in cerca di notorietà per soddisfare il proprio egocentrismo. Tra questi anche molti studiosi che utilizzano questa notorietà per reperire fondi per portare avanti ricerche piuttosto improbabili. Ed ecco che così nascono e si diffondono movimenti a favore dell’omeopatia (che altro non è che un approccio magico alla risoluzione di problem di salute) e movimenti antivaccinisti (che, utilizzando paure ataviche ed ingiustificate, non fanno altro che aprire la strada a patologie che solo apparentemente sembrano innocue o debellate).

Ben vengano allora blogger, youtuber ed altri personaggi che dal mondo scientifico si immettono nella divulgazione per contrastare in modo corretto, con informazioni di prima mano, l’onda antiscientifica. Leggo sempre con piacere la competenza con cui i debunker (nome corretto di chi lotta contro I movimenti antiscientifici) affrontano i “fuffari” in rete.

Nei giorni passati ho letto con enorme interesse un articolo scritto dal Dr. Salvo Di Grazia conosciuto in rete come MedBunker. È a questo link.

Nel suo lavoro, MedBunker affronta con competenza e cognizione di causa i problemi legati all’intervista rilasciata dalla Dr.ssa Gatti nel servizio della trasmissione Report in merito ai vaccini.

MedBunker ci fa capire come le affermazioni fatte dalla Dott.ssa Gatti in merito alle nanoparticelle nei vaccini siano infondate. Lo fa in modo molto semplice.

Tanto per capire di cosa si parla, le nanoparticelle sono sistemi solidi dispersi in un mezzo qualsiasi e si distinguono, solo ed esclusivamente, per le loro dimensioni. Il suffisso “nano”, infatti, significa 10-9, ovvero 1/1000000000. Anteporre il suffisso “nano” alla parola “particella” significa solo dire che si stanno prendendo in considerazione sistemi solidi le cui dimensioni ricadono nell’ordine del miliardesimo di metro. In altre parole, le nanoparticelle possono essere di ogni tipo. Esistono nanoparticelle di origine organica, come nanoparticelle di origine inorganica.

Quando insegno la chimica del suolo, evidenzio che sistemi chimici che hanno le dimensioni anzidette e che sono disperse nella fase acquosa dei suoli, costituiscono quelli che vengono indicati come “colloidi del suolo”. I minerali argillosi e la sostanza organica naturale sono i due tipici esempi di “nanoparticelle” (i primi di origine inorganica, la seconda di origine organica) presenti in natura.

MedBunker ha ragione. Le nanoparticelle sono ovunque. Sono tossiche? Dobbiamo averne paura? Certamente no. La tossicità di un sistema chimico (qualunque sia la sua dimensione) dipende da tanti fattori tra cui, non ultimo e molto importante, la concentrazione. È la dose che fa il veleno come ci ha insegnato Paracelso. Tuttavia non voglio scrivere un trattato di tossicologia chimica.

In questa sede voglio centrare la mia attenzione su quello che io reputo un errore sempre più frequente nei processi di debunk e che potrebbe, a mio avviso, spuntare le armi che abbiamo a disposizione per contrastare il proliferare di sciocchezze on-line. Prendo ad esempio MedBunker solo perché è l’ultimo degli articoli in cui ho notato questo errore. Non me ne voglia Salvo Di Grazia se uso il suo lavoro per scrivere questa nota. La stessa tipologia di errore l’ho trovata ovunque, anche nelle discussioni interminabili nei vari siti di debunk che gestisco in rete.

MedBunker, dopo aver smontato le argomentazioni della Dottoressa Gatti in merito alle nanoparticelle nei vaccini, scrive:

Il suo microscopio ha trovato migliaia di nanoparticelle in flaconi di vaccino. Prima lo ha fatto sapere tramite internet e poi con un libro, edito da Macrolibrarsi, casa editrice specializzata in libri sui misteri, sugli UFO e sui poteri paranormali. Ma in effetti non era sufficiente e tutti le chiedevano a gran voce di pubblicare (come dovrebbe fare qualsiasi scienziato) in una rivista scientifica, non ci pensa due volte ed in effetti lo faPeccato che la rivista scientifica che ha scelto è praticamente sconosciuta, non ha nemmeno un “impact factor” (fattore d’impatto, misura l’importanza di una rivista scientifica) ed il suo editore, Medcrave, è noto per essere un “predatory journal“, cioè un editore che accetta qualsiasi cosa, dallo studio vero a quello falso o stupido, dietro pagamento, protagonista persino di un editoriale del BMJ sulle mail indesiderate, lo spam, che arriva ai ricercatori con la richiesta di pubblicare qualcosa“.

Era proprio necessario invocare i “predatory journals”? Era proprio necessario evidenziare che il giornale scelto dalla Dottoressa Gatti è privo di impact factor?

Come probabilmente è noto, sono nel mondo scientifico da quasi una trentina di anni. In tutti questi anni ho operato come peer reviewer (ovvero revisore scientifico) per tantissime riviste. Da Nature a Ciencia Rural, la prima con impact factor altissimo, la seconda con impact factor molto basso, ma egualmente dignitosa e piena di lavori estremamente interessanti. Ho operato come revisore scientifico per riviste appena nate prive, per questo motivo, di impact factor e per riviste che nel tempo non hanno mai avuto un impact factor. Ebbene sì, per essere indicizzati ed avere un IF bisogna affidarsi alla Thomson Reuters, agenzia privata, oggi proprietà della Clarivate Analytics,  che chiede un “obolo” che non tutti sono in grado di/o vogliono pagare. In alternativa indicizzazioni gratis si possono ottenere mediante altre agenzie come Google Scholar, Scopus, ResearchGate ed oltre. Spuntano agenzie di rating bibliografico ogni momento. Non è detto che una rivista indicizzata con Google Scholar, Scopus o altro, sia indicizzata anche dalla Thomson Reuters. Ed in ogni caso, quale indice è quello più qualificato? Chi decide quale parametro bibliometrico è migliore? In ambito accademico e per il mio settore disciplinare, per esempio, si è deciso arbitrariamente che Thomson Reuters e Scopus debbano essere le uniche agenzie da considerare per il superamento dell’abilitazione scientifica nazionale. Altri settori possono decidere altrimenti. Molti colleghi decidono arbitrariamente che il loro indice di Hirsch (o h-index, un parametro quantitativo che misura l’impatto che il singolo scienziato ha sulla sua comunità di riferimento) debba essere quello di Google Scholar perché questo motore è in grado di indicizzare molto di più rispetto ai motori precedentemente citati. Io stesso per esempio ho un h-index che varia in funzione del motore di ricerca presso cui i miei lavori sono indicizzati. Un motore di ricerca che indicizza un numero di lavori inferiore ad un altro, produrrà un h-index inferiore perché, gioco forza, non può prendere in considerazione le citazioni dei lavori che non è in grado di indicizzare. Non si possono mettere nel computo “oggetti” che, di fatto, per quel motore non esistono.

Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’impact factor delle riviste di cui ha parlato MedBunker nel sua articolo. Ci sono riviste indicizzate un po’ ovunque e non sempre l’IF elaborato dai diversi database coincide.

È vero. Ci sono riviste “predatorie” che pubblicherebbero di tutto pur di battere cassa. Ma è altrettanto vero che il giudizio che un peer reviewer elabora su uno specifico articolo è indipendente da tutti i parametri quantitativi precedentemente citati. Ogni reviewer (revisore) valuta il merito del lavoro che è chiamato a giudicare. Non si possono certo replicare in laboratorio gli esperimenti di cui si legge in un lavoro (è impossibile e un revisore avrebbe bisogno di fondi e personale in gran quantità pe replicare gli esperimenti di altri). Si valuta la congruenza tra il disegno sperimentale, i dati ottenuti e le conclusioni elaborate. Se c’è congruenza, il lavoro passa e viene pubblicato. Se non c’è congruenza, il lavoro viene rifiutato o accettato con major/minor revisions, ovvero si chiede all’autore (autori) di rivedere il lavoro e la procedura sperimentale perché sono state notate delle fallacie.

In modo oggettivo MedBunker evidenzia che il lavoro della Dr.ssa Gatti è stato preso in considerazione nel merito da qualcun altro. Ed è ciò che, secondo me, deve essere l’unica cosa da prendere in considerazione: tutto il resto non conta. Che la casa editrice sia “predatoria”, che la rivista non sia “impattata” non sono argomentazioni da prendere in considerazione. Ciò che va evidenziato è l’incongruenza del disegno sperimentale rispetto ai dati prodotti ed alle conclusioni raggiunte. Nient’altro. Il lavoro è stato pubblicato. È stato oggetto di revisione? Sì. Allora bene. La revisione non è stata assegnata a “giudici” esperti. Questo deve essere segnalato alla rivista che prenderà, poi, le opportune decisioni. È così che, a mio avviso, si cresce. Non puntando il dito contro il contenitore per evidenziare le mancanze del contenuto.

In merito alle riviste predatorie ed al perché su di esse molti autori Italiani inviino i loro prodotti, nonché i limiti dei database che indicizzano le riviste predatorie, si trova qualcosa a questo link o a quest’altro.

Fonte dell’immagine di copertina: http://www.metropolitanrisk.com/about-us/our-blog/7-common-commercial-insurance-myths

Medicina e pseudoscienza. Considerazioni e note

Medicina e pseudoscienza.
La salute tra scienza e falsi miti nell’era 2.0
“.

È stato un convegno molto interessante e particolarmente istruttivo. Si sono ritrovati a Roma, nella sala convegni dell’Ergife Palace Hotel dal 7 all’8 Aprile 2017, medici, psicologi, chimici e divulgatori scientifici di varia estrazione culturale per fare il punto della situazione sul livello della comunicazione scientifica nell’era della post-verità. Oggi più che mai si sente la necessità di scendere dai propri scranni – una volta si sarebbe detto “uscire dalla torre eburnea” – per informare, al di fuori delle aule universitarie, l’intera comunità in merito al progresso a cui siamo arrivati per la salvaguardia della salute pubblica. Oggi, come un secolo fa, impazzano maghi, imbonitori e ciarlatani. Questi, sfruttando la buona fede delle persone, fanno circolare informazioni perniciose e fuorvianti in merito all’efficacia di farmaci e cure per malattie più o meno invalidanti. Il loro solo scopo è quello di vendere i propri rimedi universali a prezzi esorbitanti per arricchirsi mediante lo sfruttamento della disperazione di amici, parenti e familiari di persone affette da patologie attualmente incurabili e particolarmente dolorose. Fino ad ora gli esponenti del mondo scientifico avevano deciso di non scendere “in singolar tenzone” contro antivaccinisti, omeopati, venditori di fumo convinti che la “verità” si facesse strada da sola nelle menti delle persone; ma soprattutto convinti che la propria attività scientifica fosse molto più importante che scendere in strada a conversare col “volgo”: “faccio grandi scoperte che mi porteranno gloria e fama. Il popolo comune mi dovrà ringraziare per i miei sforzi”; ecco quello che, più o meno velatamente, tutti abbiamo pensato.
Purtroppo non funziona così.
Attualmente le fonti di informazione sono molteplici; non ci sono più solo le aule universitarie a cui possono accedere potenzialmente tutti, ma che sono aperte, praticamente, solo a chi se lo può permettere.

Il ruolo della rete

Oggi la rete è quella che corrisponde all’enciclopedia Britannica di quando ero piccolo. Anzi, sotto il profilo economico, la rete internet è anche migliore dell’enciclopedia Britannica perché più accessibile. Mentre scienziati e tecnici erano impegnati a discutere tra loro e produrre informazione su riviste tecniche non accessibili a tutti, i venditori di olio di serpente accedevano alla rete ed occupavano gli enormi spazi che gli scienziati avevano lasciato liberi nell’assurda convinzione che le cose si sarebbero “aggiustate” da sole. Il risultato è stato il proliferare di teorie astruse come quelle sulla terra piatta, l’antivaccinismo e l’omeopatia, solo per citarne alcune. Ma se la terra piatta può essere considerata una nota di colore nell’enorme autostrada dell’idiozia umana, antivaccinismo, omeopatia, teorie anti-chemioterapiche etc. non sono così innocue. I disperati, quelli che hanno ingiustificate paure ataviche, coloro che hanno timore delle responsabilità, possono “attaccarsi” alle forme più disparate di antiscientificità e diffondere informazioni sbagliate col rischio di sottrarsi alle cure efficaci o promuovere il ritorno di epidemie di patologie erroneamente ritenute scomparse. È notizia dell’ultima ora, per esempio, che gli Stati Uniti considerano l’Italia un paese a rischio a causa della progressiva riduzione vaccinale che sta facendo aumentare il numero di casi di morbillo nella popolazione. Pur essendo noi nell’Europa avanzata tecnologicamente, siamo considerati come un paese in via di sviluppo. E questo grazie alla capacità imbonitrice di maghi e fattucchieri ed alla “ignavia” di chi ha sempre considerato la comunicazione divulgativa non importante nel panorama della propria attività scientifica.

TIPPING POINT

Il convegno organizzato dalla C1V edizioni è stato un punto di svolta.

Ha evidenziato tutte le carenze attualmente presenti nel mondo scientifico in merito alla comunicazione di massa ed ha puntualizzato che occorrerebbero strumenti migliori di quelli attuali per contrastare l’antiscientificità dilagante. Quali? Per esempio l’apertura di corsi universitari dedicati alla comunicazione scientifica. Non basta essere ottimi ricercatori per saper comunicare, così come non basta essere ottimi divulgatori per saper fare ricerca. Occorrono figure intermedie; figure multilingue, ovvero che siano in grado di comprendere sia il linguaggio ipertecnico degli scienziati che quello più popolare delle persone comuni che, col loro contributo, permettono il lavoro dei tanti, sebbene ancora troppo pochi, impegnati nella ricerca e nello sviluppo della conoscenza. Non è più il tempo dei cavalieri solitari che partono lancia in resta ed affrontano i pericoli da soli; non è più il tempo di far combattere battaglie epiche ed epocali a persone solitarie; persone come Piero Angela hanno fatto scuola; hanno aperto la strada. Ora tocca a tutti noi, coinvolti più o meno approfonditamente nello sviluppo della ricerca scientifica, scendere in strada e far capire che non siamo novelli Frankenstein, non siamo mostri che vogliono assoggettare il mondo ai propri desideri, ma solo persone che, per più o meno ottimi motivi, hanno solo il desiderio di far progredire l’umanità.

L’omeopatia. Una pratica esoterica senza fondamenti scientifici

OMEOPATIA: Il contesto storico

Il 10 (o l’11, non si sa bene) Aprile 1755 nasce a Meißen, in Germania, Samuel Hahnemann. Non tutti sanno di chi si tratti, ma basta una veloce ricerca in rete per scoprire che Samuel Hahnemann è colui che ha inventato l’omeopatia.

La seconda metà del Settecento e tutto l’Ottocento hanno visto progressi scientifici e tecnologici senza pari; basti pensare che tra il 1777 ed il 1778 Lavoisier scopre il ruolo dell’ossigeno nella combustione e nella respirazione animale[1]; tra il 1773 ed il 1780 Priestley scopre il ruolo delle piante nel purificare l’aria contaminata da anidride carbonica[1]; nel 1775 Cavendish propone un esperimento per misurare la densità della Terra mentre nel 1784 scopre la composizione precisa dell’aria oltre a proporre una sintesi dell’acqua[1]; nel 1783 i fratelli Montgolfier realizzano il sogno dell’uomo: il volo con la mongolfiera[2]; nel 1800 Volta scopre la pila[3]; tra il 1802 ed il 1810, Dalton enuncia la legge delle proporzioni multiple, la legge delle pressioni parziali ed introduce la teoria atomica[1]; nel 1803 Berthollet dimostra “che il risultato di una trasformazione chimica è modificato dalle proporzioni relative delle sostanze messe a reagire, e dalle condizioni fisiche – temperatura, pressione, ecc. – in cui essa avviene”[1]; nel 1804 Trevithick inventa la locomotiva a vapore su rotaia[4]; tra il 1803 ed il 1824, Berzelius scopre il cerio, il selenio, il torio, isola il silicio, lo zirconio ed il tantalio e studia i composti del vanadio, oltre a formulare per primo la teoria dell’isomerismo[1]; nel 1828, Wöhler per primo dimostra come un composto organico, ovvero un composto implicato nella vita, possa essere ottenuto dalla reazione di due composti inorganici, ovvero non coinvolti nei processi vitali, contribuendo ad abbattere la teoria della “vis vitalis”[5] proposta dal suo maestro Berzelius[1]; tra il 1814 ed il 1841 Avogadro pubblica i suoi lavori in cui dimostra che “volumi uguali di gas diversi, alla stessa temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole”[6], oltre ad elaborare teorie sulla densità dei gas e la costituzione della materia[1]; nel 1847, Semmelweis intuisce le cause della febbre puerperale e propone l’uso dell’ipoclorito di sodio per la disinfezione delle mani dei medici impegnati tra i reparti di ostetricia e di medicina legale[7]; intorno al 1860, Cannizzaro contribuisce a rafforzare le ipotesi di Avogadro, scopre che l’idrogeno è una molecola biatomica e pubblica la reazione di dismutazione della benzaldeide che oggi è conosciuta come reazione di Cannizzaro[1].

Dettagli molto più approfonditi e di carattere didattico sulla storia della scienza possono essere trovati sia nel riferimento [1] che nei riferimenti [8], [9], [10] e [11].

In pratica, il periodo in cui Hahnemann svolge la sua attività di medico vede la nascita e lo sviluppo di teorie più o meno note, oggi ancora valide, molte attualmente inglobate in modelli di carattere più generale, altre del tutto scomparse. Tra queste ultime ricordiamo la teoria della “vis vitalis”[5], elaborata da Berzelius, con la quale si tentava di spiegare l’origine della vita e la teoria della generazione spontanea[12] che, nella prima metà del 1800, era sostenuta ancora da personalità come de Lamarck e Saint-Hilaire. Queste erano teorie valide nel contesto storico in cui furono sviluppate quando ancora non si sapeva dell’esistenza di forme di vita microscopiche e non si disponeva degli strumenti adatti per poterle riconoscere.

La medicina era ancora agli albori come scienza e si basava essenzialmente sul fatto che le malattie erano intese come alterazioni degli equilibri tra i quattro umori (sangue, flemma, bile nera e bile gialla) e le quattro condizioni fisiche (caldo, freddo, umido e secco)[13]. Il ritorno all’equilibrio poteva essere assicurato solo attraverso pratiche che oggi noi chiameremmo magiche: purghe, unguenti, emetici e salassi.

Era anche il tempo in cui il metodo scientifico, basato sulla sperimentazione e la riproducibilità, veniva ampiamente applicato in molti rami della scienza sebbene, molte volte, con estrema rudimentalità (sia di esempio la storia di Semmelweis ostracizzato dalla comunità medica a causa delle sue osservazioni sperimentali[7]). Ed è stato proprio l’applicazione di un rudimentale metodo scientifico a portare Hahnemann all’elaborazione di quella che è indicata come “medicina omeopatica”.

Le origini dell’omeopatia

Nel tentativo di spiegare il significato di “malattia” e di “cura della malattia” in modo più efficace rispetto agli inefficienti riti magici che prevedevano purghe, unguenti, emetici e salassi, Hahnemann rielabora la teoria della “vis vitalis”[5] introducendo il concetto di malattia intesa come una alterazione dello stato di salute causato da un “miasma”[14]. Quest’ultimo viene considerato come una esalazione che altera il funzionamento della “vis vitalis” e, di conseguenza, le proprietà dell’organismo. Quando l’organismo tenta di opporsi spontaneamente all’aggressione del “miasma”, ottiene solo l’incremento della patologia. In altre parole, il “miasma” si identifica con una condizione progressivamente peggiorativa, non risolvibile spontaneamente, dello stato di salute [14]. Il “miasma”, inoltre, non agisce allo stesso modo su tutti gli organismi. Individui diversi sviluppano un tipo di malattia il cui percorso dipende dal loro personale modo di essere. In altre parole, la malattia è indipendente dall’ambiente e relativo invece alla costituzione interna dell’individuo. Da ciò nasce la necessità della cura soggettiva, non valida per tutti, individuata solo attraverso una indagine “olistica” che tenga conto dell’interazione della “vis vitalis” con tutte le componenti dell’organismo malato.

A una tale conclusione Hahnemann giunge applicando su se stesso il metodo scientifico basato sulle osservazioni sperimentali. Infatti, per capire in che modo la corteccia dell’albero della china agisse nel riordinare il flusso della “vis vitalis” nell’organismo ammalato di malaria, egli si sottopone (da sano) ad una cura che prevede dosi progressivamente più elevate della predetta corteccia. All’aumentare delle dosi, Hahnemann osserva sintomi del tutto simili a quelli della malaria: debolezza, brividi e febbre[13]. Quindi, se un individuo sano, che assume un dato rimedio, rivela i sintomi della malattia che viene debellata quando lo stesso rimedio è assunto da un individuo malato, ne viene che il modo migliore per eliminare le cause dell’alterazione alla “vis vitalis”, riportando l’organismo alle sue funzioni originali, è quello del “chiodo scaccia chiodo”, ovvero il rimedio deve indurre la stessa malattia che si intende sconfiggere. Da qui il termine “omeopatia” per indicare “il simile cura il simile” contrapposto ad “allopatia” in cui la malattia viene combattuta con rimedi che si oppongono alla stessa. Inoltre, Hahnemann suggerisce che più bassa è la concentrazione del principio che viene assunto dal malato e migliore è la sua efficacia, contravvenendo a quelli che erano i principi basilari della farmacologia ben noti anche nel suo tempo[13].
In particolare, egli suggerisce che per “attivare” la “vis vitalis” del rimedio è necessario effettuare diluizioni successive utilizzando il metodo della “succussione”, ovvero lo scuotimento sistematico delle miscele seguendo dei criteri che oggi definiremmo magici[13].

Il falso mito del riduzionismo scientifico

Oggi sappiamo che uno dei ruoli svolto dalla ventina di molecole ad azione antimalarica nella corteccia dell’albero della china è quello di inibire la sintesi di un enzima coinvolto nei processi di detossificazione del gruppo eme che si ottiene per effetto della “digestione” dell’emoglobina da parte dei parassiti che inducono la malaria. Infatti, il gruppo eme è tossico per questi parassiti. Essi dispongono di un enzima che distrugge l’eme rendendolo innocuo. Gli alcaloidi della corteccia dell’albero della china impediscono l’azione del predetto enzima e consentono all’eme di agire contro i parassiti stessi. Dettagli e meccanismi di azione dei diversi alcaloidi antimalarici si possono trovare in un documento word scaricabile qui.

La conoscenza del meccanismo di azione degli alcaloidi della corteccia della china è stata resa possibile da un approccio riduzionista, ovvero dalla considerazione che un qualsiasi complesso chimico (dalla roccia, ad un organismo monocellulare, fino all’uomo) è fatto dall’interazione di tante parti ognuna della quali ha una ben precisa funzione. Quindi, se vogliamo sapere come funziona un determinato metabolita, innanzitutto dobbiamo isolarlo e purificarlo. Una volta purificato ne individuiamo la struttura e ne comprendiamo il ruolo biologico sulla base del principio di relazione tra struttura chimica ed attività biologica: una molecola che ha una certa struttura chimica ha solo quella particolare funzione biologica. Una qualsiasi variazione strutturale (per esempio un cambiamento di isomeria) altera la funzione biologica della molecola che, di conseguenza, non è più in grado di assolvere al suo ruolo nell’organismo.

Solo chi non è troppo addentro a fatti scientifici, come spesso capita quando si interloquisce con pseudo filosofi che pensano di conoscere il mondo meglio di chiunque altro, ritiene che i processi di riduzione di un complesso alle sue componenti sia perdere di vista l’organismo in tutta la sua complessità. Le argomentazioni “olistiche” sostenute dai fautori dell’omeopatia si possono riassumere nella banale affermazione che le proprietà di un organismo vivente non sono date dalla somma delle singole componenti che lo caratterizzano, ma sono qualcosa di più. In altre parole, ancora più banalmente, secondo i fautori dell’omeopatia è sempre valida la regola che 2 + 2 > 4 (Figura 1).
Questa è una fallacia logica (oltre che ignoranza scientifica) che può essere confutata molto semplicemente facendo l’esempio dello studio delle proprietà dell’acqua.

Figura 1. Schema comparativo tra il metodo applicato dai fautori dell’omeopatia ed il metodo scientifico. Senza alcuna conoscenza di base, le proprietà dei sistemi complessi sembrano inconciliabili con le proprietà delle singole componenti. Il risultato sembra, quindi, che 2+2=10. In realtà, l’approfondimento delle proprietà chimico fisiche delle singole componenti, consente di spiegare le proprietà emergenti dalle interazioni tra singole molecole di acqua (ovvero, per es., che il ghiaccio galleggia sull’acqua liquida) che non sono racchiuse in nessuna delle singole componenti che contraddistingue la molecola. In definitiva, ogni singolo step conoscitivo corrisponde all’operazione (2 + 2 = 4). La somma totale delle conoscenze dà il risultato corretto di 10.

L’acqua è una molecola di formula H2O, ovvero è costituita da idrogeno ed ossigeno nel rapporto 2 : 1. L’idrogeno è un elemento della tavola periodica con numero atomico 1 e peso atomico di circa 1 u.m.a. (unità di massa atomica), l’ossigeno ha numero atomico 8 e peso atomico di circa 16 u.m.a. Queste informazioni, pur essendo basilari, non ci dicono assolutamente nulla in merito al ruolo svolto da idrogeno ed ossigeno nel modulare le proprietà dell’acqua. Per poter capire nei minimi dettagli il comportamento dell’acqua, abbiamo bisogno di un grado di conoscenza ulteriore. In altre parole abbiamo bisogno di sapere in che modo idrogeno ed ossigeno interagiscono tra loro. Per poterlo sapere abbiamo bisogno di introdurre gli orbitali atomici che si combinano a formare gli orbitali molecolari. Non è questa la sede per andare troppo nei dettagli.
Basti sapere che l’utilizzo del formalismo degli orbitali molecolari consente di capire che la molecola dell’acqua ha una struttura tetraedrica in cui due vertici sono occupati dai due atomi di idrogeno ed altri due dai doppietti solitari dell’ossigeno. Il centro del tetraedro è occupato dall’ossigeno. Queste informazioni non sono ancora sufficienti a capire perché l’acqua ha il comportamento che noi conosciamo, ovvero perché il ghiaccio galleggia e perché il volume dell’acqua aumenta quando la temperatura scende intorno ai 4 °C. Il gradino di conoscenze successivo consiste nel capire in che modo le diverse molecole di acqua interagiscono tra di loro. Senza utilizzare troppi dettagli, si può dire che le molecole di acqua, ognuna occupante una certa porzione di spazio tridimensionale, si legano tra loro mediante legami ad idrogeno in modo tale da formare dei “clusters” (ovvero gruppi di molecole) fatti da tetraedri in cui una molecola di acqua centrale lega altre quattro molecole di acqua (via legami a idrogeno) disposte lungo i vertici di un tetraedro. Bastano queste informazioni a spiegare perché il ghiaccio galleggia? Non ancora. Abbiamo bisogno di un andare un gradino oltre le nostre conoscenze. Per poter spiegare la più bassa densità del ghiaccio rispetto all’acqua liquida, abbiamo bisogno di sapere quali sono le peculiarità del legame a idrogeno. Affinché un legame a idrogeno si possa formare, devono essere rispettati sia dei requisiti energetici che dei requisiti geometrici. Questi ultimi consistono nel fatto che il legame O-H (legame covalente) in una molecola di acqua deve essere allineato col legame H…O (legame a idrogeno) a formare un unico asse (geometria lineare del legame a idrogeno)[15]. Quando l’acqua si raffredda, la geometria lineare si deve conservare. Questo implica che le diverse molecole di acqua si dispongono in posizioni ben precise allontanandosi le une dalle altre ed aumentando, di conseguenza, lo spazio tra di esse con diminuzione della densità. Il risultato finale di tutta questa conoscenza è che il ghiaccio galleggia sull’acqua liquida e, per questo, nel 1912 il Titanic[16], non potendo violare il principio di incompenetrabilità dei corpi[17], è affondato.

Come si evince dalla complessa spiegazione appena riportata (schematizzata nella Figura 1), da nessuna parte del ragionamento basato su modelli scientifici è riportato che 2 + 2 è diverso da 4. Anzi, le proprietà dell’acqua solo apparentemente sembrano essere un miracolo. Esse non sono altro che il risultato emergente dalla complessità delle proprietà chimico fisiche delle singole componenti della molecola in cui ogni livello di conoscenza corrisponde alla semplice operazione matematica (2 + 2 = 4). È l’assenza di conoscenze, associata alla convinzione che le spiegazioni scientifiche siano intuitive (mentre tutte le spiegazioni scientifiche sono contro intuitive), a generare i mostri pseudo scientifici che nella fattispecie si identificano con l’omeopatia.

Il falso mito della memoria dell’acqua

Non è un caso che l’acqua sia stata usata come esempio per evidenziare le fallacie cognitive di chi pensa che l’omeopatia sia la panacea di ogni male. Attualmente, non essendo più sostenibile la concezione di “vis vitalis”, i supporters dell’omeopatia si aggrappano all’idea che la struttura dell’acqua sia come un materasso memory-foam. In pratica, sulla base di lavori scientifici di cui si è dimostrata l’inconsistenza[18], viene affermato che la validità dell’omeopatia risiede nel fatto che la struttura dei “clusters” dell’acqua è modificata dalla presenza del principio attivo. L’impronta del principio attivo rimane inalterata nei processi di diluizione. L’alterazione della struttura dei “clusters” indurrebbe delle variazioni nei campi elettromagnetici generati dagli elementi che compongono l’acqua. Sono questi campi elettromagnetici che indurrebbero il processo di guarigione dell’organismo malato[18]. A parte l’inconsistenza scientifica delle affermazioni anzidette (nessuna di esse è mai stata provata), proviamo a ragionare sulle alterazioni dei campi elettromagnetici.

Una tecnica analitica molto nota in chimica è la risonanza magnetica nucleare[19]. Essa si basa sull’alterazione delle caratteristiche fisiche dei nuclei presenti nelle molecole grazie all’applicazione di campi magnetici aventi ben precise intensità. Senza entrare troppo nei dettagli che sono oltre gli scopi di questa nota, basti sapere che l’uso dei campi magnetici ad intensità variabile consente di monitorare la dinamica (ovvero il movimento) delle molecole di acqua in tutte le condizioni. Chi volesse approfondire può far riferimento ad un lavoro pubblicato su eMagRes nel riferimento [20]. Se i “clusters” dell’acqua fossero come i materassi memory-foam, ovvero se la rete tridimensionale di legami a idrogeno fosse modificata dall’impronta del principio attivo, ci dovremmo aspettare dinamiche differenti delle molecole di acqua soggette alle deformazioni anzidette. Queste dinamiche si dovrebbero riflettere sulla velocità con cui un nucleo (nella fattispecie quelli degli atomi di idrogeno dell’acqua) cede la sua energia per effetto dell’interazione con i campi magnetici ad intensità variabile. Ed invece il modello matematico che descrive la velocità appena citata e riportato nel riferimento [21] indica chiaramente che al tendere a zero della concentrazione di soluto (ovvero di un qualsiasi composto disciolto in acqua), l’acqua si comporta esattamente come se non avesse mai contenuto alcun soluto. Non c’è alcuna traccia della memory-foam, ovvero dell’impronta lasciata dal soluto nella rete tridimensionale dei legami a idrogeno. Questa riportata è solo una delle tante prove contro la memoria dell’acqua. Molte altre se ne possono trovare in letteratura e molti lavori pubblicati evidenziano gli errori commessi negli esperimenti a supporto della fantomatica memoria dell’acqua[18]. Da dove nasce la fama della memoria dell’acqua? Dal fatto che l’industria omeopatica è molto remunerativa: i formulati omeopatici costano parecchio e possono essere considerati a ragion veduta un vero e proprio lusso. Individuare una pseudo spiegazione scientifica aiuta molto nel marketing e nella vendita di prodotti omeopatici incrementando, in questo modo, l’indotto economico e l’arricchimento di gente senza scrupoli che sfrutta la credulità della gente. Inoltre, la pseudo spiegazione ammanta di scientificità qualcosa che scientifico non è, mettendo in pace l’animo delle persone che temono le proprie paure e hanno necessità di rivolgersi all’omeopatia. A nulla vale l’avvertimento in base al quale un formulato omeopatico funziona meglio se si fa una vita sana. Se si fa una vita sana, ovvero alimentazione corretta senza eccessi e sana attività fisica, non c’è bisogno né di medicinali veri e propri né di formulati omeopatici. Neanche vale dire che in caso di malattia conclamata il formulato omeopatico coadiuva le cure più tradizionali dall’efficacia acclarata. Lavori di letteratura dimostrano chiaramente che l’attività dei formulati omeopatici è del tutto simile al placebo[22] per cui, a parte influenzare l’approccio psicologico del paziente con la malattia, non hanno alcuna utilità medica.

Il falso mito dei miliardi di molecole nelle preparazioni omeopatiche

Ho già avuto modo di scrivere in merito al mito secondo cui i preparati omeopatici sono efficaci perché conterrebbero ancora miliardi di molecole di principio attivo[23]. Tuttavia, come dicevano i nostri antenati “repetita iuvant”. Innanzitutto, l’affermazione secondo cui in un formulato omeopatico si “agitano” miliardi di molecole fa un poco a pugni sia con la presunta memoria dell’acqua che col fatto che un prodotto omeopatico non è considerato un farmaco vero e proprio. Forse chi fa questa affermazione non si rende neanche conto che contraddice se stesso. Se il formulato omeopatico contiene miliardi di molecole di principio attivo, allora, secondo chi afferma ciò, la sua presunta efficacia è dovuta al fatto che può essere considerato alla stregua di un farmaco vero e proprio. E se è così, perché i formulati omeopatici non sono soggetti alla stessa legislazione (nazionale ed internazionale) dei farmaci veri e propri secondo cui prima di essere immessi nel mercato essi devono superare dei test molto stringenti in merito alla loro tossicità? Se l’attività dei formulati omeopatici è dovuta alla presunta presenza di miliardi di molecole, perché c’è bisogno di trovare una spiegazione scientifica in merito alla memoria dell’acqua dal momento che sono i miliardi di molecole ancora presenti ad avere una qualche attività?

Ma veniamo al punto. Chi afferma che nei formulati omeopatici ci sono miliardi di molecole che si agitano, non dice una sciocchezza vera e propria. Sta semplicemente usando una parte dei fatti rigirandoli a proprio uso e consumo secondo delle abitudini che sono consolidate e riconosciute. In ambito scientifico si parla di “cherry picking”, ovvero, tra tutto ciò che mi serve, prendo solo le informazioni che fanno comodo al mio caso e mi consentono di avallare le mie idee. Si chiama anche “bias cognitivo”. Si tratta della nostra predisposizione a voler prendere in considerazione solo ed esclusivamente ciò di cui siamo già convinti. Questi sono errori in cui possono incorrere tutti. Tuttavia, chi si occupa di scienza è, in genere, più allenato delle persone comuni, che non hanno basi scientifiche, e sanno riconoscere, per lo più, queste fallacie. Ai fini esemplificativi sono costretto ad entrare in alcuni tecnicismi che spero di spiegare nel modo più semplice possibile senza appesantire un discorso già pesante e tecnico di suo.

Prendiamo in considerazione una soluzione acquosa satura[24] di vitamina C (anche definito come acido ascorbico) che corrisponde ad una concentrazione di 1.87 mol/L ed indicata anche come 1.87 M[25]. Diluiamo questa soluzione di acido ascorbico (che tecnicamente si chiama soluzione madre) in un rapporto 1 : 100 con acqua. Diluire 1 : 100 significa che preso 1 della soluzione madre aggiungo 99 di acqua. Naturalmente mi sto riferendo ai volumi, per cui 1 mL di soluzione madre viene addizionato con 99 mL di acqua. Quale sarà la concentrazione finale? È facile. Basta semplicemente dividere la concentrazione della soluzione madre per 100, ovvero il volume espresso in millilitri della soluzione finale. Quindi la nuova soluzione ha concentrazione 1.87 x 10^(-2) M. Andiamo avanti e diluiamo la nuova soluzione in rapporto 1 : 100. Si ottiene una soluzione la cui concentrazione è la centesima parte di quella iniziale, quindi: 1.87 x 10^(-4) M. Se continuiamo n volte, la soluzione finale avrà concentrazione 1.87 x 10^(-2n) M.

Nel linguaggio usato dagli omeopati sto facendo le famose diluizioni CH, ovvero centesimali, per cui

CH = 1.87 x 10^(-2) M

2CH = 1.87 x 10^(-4) M

………..

nCH = 1.87 x 10^(-2n) M

Quale sarà il numero di molecole di acido ascorbico nella soluzione nCH? Si dimostra che il numero di molecole presente in una data soluzione si ottiene moltiplicando il numero di moli della sostanza per il numero di Avogadro[6], ovvero per un numero che è 6.022 x 10^23. Di conseguenza, il numero di molecole di acido ascorbico nella soluzione a concentrazione 1.87 x 10^(-2n) M sarà:

1.87 x 10^(-2n) x 6.022 x 10^23 molecole/L = 11.3 x 10^(23-2n) molecole/L

In pratica dopo 12 diluizioni centesimali (n = 12), si ottiene una soluzione che contiene 1.13 molecole per litro o, in soldoni, 1 molecola per litro. Ne viene che dopo 20 diluizioni centesimali (n=20), di fatto non c’è più nulla nella soluzione. Si tratta solo di solvente, ovvero di acqua.

Non voglio essere, però, così drastico e mi fermo a 5 diluizioni centesimali (n = 5). Il numero di molecole è 11.3 x 10^13 molecole/L. In effetti, nella soluzione 5CH ci sono 113000 miliardi di molecole per litro. Allora i fautori dell’omeopatia hanno ragione. Ci sono ancora miliardi di molecole in soluzione. Certo che ci sono! L’unico problema è che nel mondo biochimico (quello del quale dobbiamo tener conto quando si discute di salute umana) non conta il valore assoluto relativo al numero di molecole, ma la concentrazione delle stesse espressa in mol/L o M (si parla, in pratica, di effetto concentrazione). In altre parole 113000 miliardi di molecole corrispondono ad una concentrazione di 1.87 x 10^(-10) M. Cosa significa questo numero? Significa che ci sono circa 2 moli di acido ascorbico ogni 0.1 nL di acqua[26]. Questo corrisponde ad una concentrazione di 3.29 x 10^(-2) ppb[27], ovvero in un litro di acqua ci sono 3.29 x 10^(-2) μg di acido ascorbico . Se consideriamo che la dose minima giornaliera di acido ascorbico indicata nel Codex Alimentarius per evitare lo scorbuto è di 30 mg, ne viene che dovremmo bere circa 100 L di formulato omeopatico 5CH di acido ascorbico al giorno. Adesso, considerando che una giornata di veglia è fatta di 12 ore, possiamo concludere che dovremmo assumere almeno 8 L di formulato 5CH di acido ascorbico all’ora. Tuttavia, la dose letale media di acqua corrisponde alll’assunzione di 5 L in una sola ora. Ciò comporta la morte fisica. Il gioco omeopatico vale, quindi, la candela?

Conclusioni

La medicina omeopatica fa parte della nostra storia scientifica. È stato un modo per cercare di dare spiegazioni in un momento preciso del nostro tempo, quando le conoscenze biochimiche erano ancora agli albori e la delucidazione del metabolismo umano di là da venire. Non si può far finta che non sia esistita, ma certamente lo sviluppo e l’evoluzione delle conoscenze scientifiche hanno reso obsolete le trovate metafisiche di Samuel Hahnemann. Molte altre teorie sono apparse e poi scomparse nel corso della storia della scienza ed oggi le ricordiamo solo per il ruolo che hanno svolto nel contesto storico in cui sono nate. L’azione del tempo le ha rese obsolete e prive di significato. Oggi l’omeopatia può essere considerata, senza tema di smentita, solo una pratica esoterica priva di ogni validità scientifica e come un ramo secco nell’immenso albero delle nostre conoscenze.

Qui di seguito il video della mia presentazione sull’omeopatia tenuta al Caffè dei Libri di Bassano del Grappa il 29 Dicembre 2016

Riferimenti e note

[1] http://www.liberliber.it/mediateca/libri/t/thorpe/storia_della_chimica/pdf/thorpe_storia_della_chimica.pdf

[2] http://www.luccaballoonclub.it/docs/aerostatica.pdf

[3] http://online.scuola.zanichelli.it/chimicafacile/files/2011/02/app72.pdf

[4] http://www.cornish-mining.org.uk/sites/default/files/5%20-%20Richard%20Trevithick%20(1771-1833)%20and%20the%20Cornish%20Engine.pdf

[5] La “vis vitalis” è una forza metafisica che determina le proprietà strutturali e funzionali di ogni organismo. I patogeni responsabili delle malattie alterano la fluidità della “vis vitalis” e, di conseguenza, comportano alterazioni delle caratteristiche funzionali del corpo e le sensazioni sgradevoli associate alle malattie. Solo il mondo organico è caratterizzato dalla “vis vitalis” mentre è esclusa da quello inorganico. Mondo organico e mondo inorganico sono caratterizzate da chimiche differenti. La sintesi di Wöhler che converte isocianato di ammonio (un sale inorganico) in urea (un composto organico) è stato il primo esempio del superamento del concetto di “vis vitalis” legato alla incompatibilità tra chimica organica e chimica inorganica.

[6] Kotz J. C., Treichel P. M., Townsend J. R. Chimica, quinta ed. italiana, EdiSES, 2012

[7] http://www.treccani.it/scuola/lezioni/in_aula/fisica/storia_scienze/4.html

[8] Bill Bryson, breve storia di (quasi) tutto, Guanda editore

[9] Isaaac Asimov, Breve storia della biologia, Zanichelli

[10] Isaac Asimov, Breve storia della chimica, Zanichelli

[11] Isaac Asimov, Il libro di fisica, Ed. Oscar Mondadori

[12] La teoria della generazione spontanea si basa sull’assunzione che la vita sorga spontaneamente da materiale inanimato di natura organica in quanto dotato di “vis vitalis”. La vita non può nascere spontaneamente dal materiale inorganico in quanto questo non è dotato della “vis vitalis”. Benché ancora sostenuta da alcuni, già all’inizio del XIX secolo la teoria della generazione spontanea era considerata obsoleta perché erano stati fatti esperimenti che dimostravano come la vita non potesse essere generata dal materiale organico in assenza di aria. http://online.scuola.zanichelli.it/barbonescienzeintegrate/files/2010/03/V09_01.pdf

[13] Silvio Garattini, Acqua fresca, Sironi editore

[14] http://omeopatia.org/upload/Image/convegno/FAGONE-26-10-2011-Relazione.pdf

[15] http://www1.lsbu.ac.uk/water/water_hydrogen_bonding.html

[16] http://www.laputa.it/ritrovamento-titanic/#4/41.73/-49.95

[17] http://www.laputa.it/blog/del-perche-non-possiamo-attraversare-i-muri-come-harry-potter/

[18] http://www.nature.com/news/2004/041004/full/news041004-19.html

[19] Conte e Piccolo, (2007) Solid state nuclear magnetic resonance spectroscopy as a tool to characterize natural organic matter and soil samples. The basic principles, Opt. Pura Apl. 40 (2): 215-226 (http://www.sedoptica.es/Menu_Volumenes/Pdfs/259.pdf)

[20] Conte e Alonzo (2013) Environmental NMR: Fast-field-cycling Relaxometry, eMagRes 2: 389–398 (https://www.researchgate.net/publication/278307250_Environmental_NMR_Fast-field-cycling_Relaxometry)

[21] Conte (2015) Effects of ions on water structure: a low-field 1H T1 NMR relaxometry approach Magnetic Resonance in Chemistry 53: 711–718 (https://www.researchgate.net/publication/267288365_Effects_of_ions_on_water_structure_A_low-field_1H_T1_NMR_relaxometry_approach)

[22] Shang, Huwiler-Müntener, Nartey, Jüni, Dörig, Sterne, Pewsner, Egger (2005) Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects? Comparative study of placebo-controlled trials of homoeopathy and allopathy The Lancet 366: 726-732 (http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(05)67177-2/abstract)

[23] http://www.scetticamente.it/articoli/approfondimenti/244-sulle-dichiarazioni-della-siomi-la-societa-italiana-di-omeopatia-e-medicina-integrata.html

[24] Una soluzione si dice satura quando il soluto ha raggiunto la sua concentrazione massima nel solvente ed aggiunte successive determinano la precipitazione del soluto.

[25] M sta per molarità ed è un modo di esprimere la concentrazione del soluto in un solvente. Corrisponde al numero di moli (mol) di soluto per unità di volume di solvente espresso in litri (L). La mole, per convenzione internazionale, corrisponde alla quantità di sostanza contenuta in 0.012 kg dell’isotopo 12 del carbonio. Operativamente, per calcolare il numero di moli si divide il peso della sostanza di interesse, espresso in grammi, per il suo peso formula (o peso molecolare, nel caso di molecole) espresso in g/mol.

[26] Il simbolo nL sta per nanolitro e corrisponde alla miliardesima parte del litro.

[27] Il simbolo ppb indica le parti per miliardo. È un modo di esprimere la concentrazione non più in uso nel sistema internazionale (SI) pur essendo rimasto nel linguaggio tecnico di laboratorio. Se si prende un oggetto e lo si divide in un miliardo di pezzettini, uno solo di essi corrisponde ad una parte sull’intero miliardo. Nel nostro caso 1 ppb corrisponde ad 1 microgrammo (μg) di acido ascorbico per Litro di acqua.

Pubblicato anche su www.laputa.it/omeopatia

Anche agli scienziati piace scherzare. La bufala dell’uomo del Piltdown

Piltdown. Sussex. Gran Bretagna. Anno 1912. Viene ritrovato il cranio di un ominide a metà tra uomo e scimmia. L’annuncio del ritrovamento viene dato nel Dicembre dello stesso anno nel convegno della Geological Society of London. Qui i due autori della comunicazione, Dawson (autore del ritrovamento) e Woodward, battezzarono l’ominide a cui apparteneva il cranio col nome di Eoanthropus dawsoni o anche uomo del Piltdown.

Al momento della scoperta del cranio dell’uomo del Piltdown, la teoria dell’evoluzione di Darwin aveva circa 53 anni – la famosa “Origine delle specie” aveva visto la luce intorno al 1859 – e si rincorrevano le interpretazioni più disparate sia per la comprensione dell’origine dell’uomo, sia per denigrare la teoria anzidetta che toglieva l’essere umano dal centro del creato per porlo in una dimensione meno centrale dell’universo.

Origine della specie

Secondo le prime interpretazioni della teoria di Darwin, l’essere umano doveva essere considerato come un diretto discendente delle scimmie. In altre parole, le scimmie avrebbero subito nel corso del tempo  delle costanti e continue trasformazioni mediate sia dall’ambiente che dalle abilità necessarie a sopravvivere ai cambiamenti ambientali.Secondo questa interpretazione, il passaggio graduale dalla scimmia all’uomo deve necessariamente aver prodotto degli ominidi con caratteristiche intermedie tra le due specie.

Una via di mezzo

L’uomo del Piltdown si pone a metà tra la scimmia e l’uomo dal momento che mostra caratteristiche simili a quelle di una scimmia, nella parte mandibolare del cranio, ed a quelle dell’uomo, nella parte superiore del cranio. Si tratta, quindi, dell’anello mancante. Nel 1953, però, gli studiosi del British Natural History Museum e dell’Università di Oxford capirono che il cranio ritrovato da Dawson era un falso. Indagini successive hanno confermato l’origine truffaldina del cranio dell’uomo di Piltdown evidenziando che Dawson “limò” e mise assieme ossa umane (di circa 700 anni) con ossa di diverse tipologie di scimmia.

Oggi sappiamo che l’evoluzione non è andata come si credeva all’inizio del XX secolo.

In realtà, l’uomo, così come tutte le specie viventi, si è evoluto per come lo conosciamo oggi grazie all’azione congiunta di “caso e necessità”.  In altre parole, modifiche ambientali del tutto casuali – come terremoti ed inondazioni – alterano l’habitat tipico in cui gli organismi vivono. Nell’ambito di una stessa popolazione esiste un certo numero di individui che, a causa di modificazioni genetiche casuali, si ritrova ad essere maggiormente adattato alla sopravvivenza nelle nuove condizioni ambientali. Per questo motivo, proprio gli individui più abituati alle nuove condizioni ambientali riescono ad avere maggiore possibilità riproduttiva. La conseguenza è che, nel corso del tempo, gli individui più adatti sono quelli che predominano, mentre quelli meno adatti si estinguono. Grazie a questo modello evolutivo possiamo dire che non ci dobbiamo aspettare nessun “anello mancante”. Uno scherzo come quello effettuato nel 1912 oggi sarebbe solo una bufala da primo Aprile.

Per saperne di più

Svolta nella beffa del Piltdown

La bufala dell’uomo di Piltdown

Il pesce d’aprile del 1912

Acque micellari. Il ruolo del marketing e la comunicazione scientifica

Recentemente, in questo blog, ho riproposto una brevissima nota sulle acque micellari; una nota che avevo scritto già un po’ di tempo fa su facebook. Ha avuto un successo di pubblico notevole dal momento che ha raggiunto più di 57000 utenti (Figura 1).

Figura 1. Successo di pubblico per la nota sulle acque micellari

Nonostante l’evidenza scientifica sul ruolo che svolgono questi prodotti cosmetici, che è la medesima dei saponi, c’è stata una sòrta di sollevazione popolare. Da un lato sono state fatte considerazioni pseudo scientifiche sul modo in cui ho comunicato una cosa che ai miei occhi – e non solo – appare abbastanza ovvia; dall’altro è stata invocata a gran voce la necessità di rispettare ogni opinione, anche quelle che danno contro ogni evidenza e modello di carattere scientifico. La cosa bella è che questa sollevazione è avvenuta in gruppi e pagine  popolati da scettici o, quanto meno, presunti tali. Questo significa che queste persone dovrebbero farsi qualche domanda in più rispetto a quello che è il modo di pensare complottistico. Evidentemente non è così e quando le bufale toccano la propria sfera personale, si alza un muro che impedisce ad ognuno di noi di essere razionale.

Le Figure 2 e 3 mostrano uno spaccato delle diverse tipologie di contestazioni cui la mia nota ha dato luogo.

Figura 2. Considerazioni pseudo scientifiche
Figura 3. Considerazioni ad personam

A questo punto rientro nel mio ruolo chimico ed utilizzerò un linguaggio tecnico così da puntualizzare l’incongruenza di quanti si sono sentiti toccati in prima persona da considerazioni che avevano il solo scopo di evidenziare che il marketing manipola informazioni serie adattandole ai desiderata del mercato.

Il mercato lo facciamo tutti noi. Se siamo impreparati o se non siamo in grado di capire ciò che leggiamo, siamo noi i responsabili in prima persona della propagazione di sciocchezze, notizie infondate e bufale.

Tensioattivo o surfattante?

Nelle mie note ed elucubrazioni faccio uso dei due termini “surfattante” e “tensioattivo” in modo assolutamente libero. In italiano essi sono sinonimi. Del resto basta andare on line e ricercare il termine “surfattante” nella enciclopedia Treccani per trovare la seguente definizione

surfattante agg. e s. m. [dall’ingl. surfactant, acronimo della locuz. surf(ace) act(ive) a(ge)nt «agente superficialmente attivo»]. – Sinon., meno com., di tensioattivo”.

Micelle o non micelle? Questo è il problema

Non è parte dei programmi di studio di tutti i chimici. Per esempio io ho affrontato questi problemi quando mi sono impegnato nella ricerca sulla chimica delle sostanze umiche ed ho avuto necessità di approfondire la chimica fisica delle interazioni deboli. All’epoca studiai un bellissimo libro dal titolo The hydrophobic effect: formation of micelles and biological membranes” (autore Tanford, anno 1980, Editore Wiley intescience) in cui si riporta chiaramente il meccanismo della formazione di emulsioni olio/acqua. Una emulsione è una dispersione di piccole goccioline di olio in acqua (in realtà la definizione è un poco più complessa, ma mi sto soffermando solo sulla miscela che ci interessa per rispondere alle critiche che contestano quanto ho scritto nella nota sull’acqua micellare). Queste goccioline si formano per effetto di due “forze” contrastanti. Da un lato le molecole che costituiscono l’olio  sono anfifiliche (ovvero hanno una testa polare ed una coda apolare), dall’altro le molecole di acqua sono polari. La solubilizzazione di un soluto in un solvente è una vera e propria reazione chimica che segue il seguente percorso:

soluto-soluto → 2 soluto

solvente-solvente → 2 solvente

soluto + solvente → soluto-solvente

In altre parole, le molecole di soluto interagiscono tra loro, esattamente come fanno quelle di solvente. Perché il soluto si possa “sciogliere” nel solvente è necessario che esso si solvati, ovvero venga “circondato” da molecole di solvente. A tale scopo si devono rompere le interazioni soluto-soluto e solvente-solvente per la formazione di interazioni soluto-solvente. Questo è possibile solo se le interazioni soluto-solvente sono della stessa natura o più forti di quelle solvente-solvente e soluto-soluto. Essendo le molecole di olio anfifiliche, mentre quelle di acqua polari, si può qualitativamente dire che l’interazione tra queste due tipologie di molecole non è conveniente. Per questo motivo le molecole di olio tendono ad “isolarsi” da quelle di acqua formando delle goccioline. Come sono fatte queste goccioline? Sono fatte da una parte interna in cui interagiscono tra loro tutte le componenti più idrofobiche e da una superficie esterna dove sono localizzate le componenti più polari che possono “sopportare” la presenza dell’acqua. Si realizza, cioè, una situazione simile a quella descritta in Figura 4.

Figura 4. Struttura di una gocciolina di olio. La componente interna è isolata dalle molecole di acqua esterne da una superficie costituita dalla componente più polare delle molecole di olio.

Come è fatta una micella? Esattamente nello stesso modo. Senza scomodare il Tanford citato sopra, una micella è definita, nell’enciclopedia Treccani, come

aggregato in soluzione acquosa di molecole anfifiliche; le catene idrofobe idrocarburiche si trovano all’interno e i gruppi idrofili (polari o ionici) all’esterno in contatto con il solvente.

In altre parole, non c’è nessuna bestialità in quanto ho scritto. Mi rendo conto, tuttavia, che chi non ha molta familiarità con la chimica di questi sistemi complessi possa essere stato tratto in inganno.

Frittata con uova di gallina o con uova di storione?

Una delle critiche che mi sono state mosse è nell’aver detto che i surfattanti sono tutti uguali tanto è vero che qualcuno ha scritto: “Anche le uova di gallina sotto sale sono caviale, laddove per uovo, in senso lato si intende una cellula gametica aploide”.

Non sono un biologo, ma se prendo la definizione di uovo nell’enciclopedia Treccani trovo che uovo è

In biologia, il gamete femminile costituito da una cellula di varie dimensioni (detto perciò anche cellula uovo), di forma per lo più sferica, ellissoidale o cilindrica, che si origina generalmente nell’ovario e ha accumulati, nel suo citoplasma, materiali nutritizî di riserva (tuorlo o vitello o plasma nutritivo) per lo sviluppo dell’embrione

Lascio al lettore la libertà di leggere per intero la definizione di “uovo” nell’enciclopedia al link già inserito. Tuttavia, a me sembra di capire che non c’è differenza alcuna nella definizione di uovo di storione, gallina o struzzo. Sono tutte uova. Ci sono anche ricette di frittate di uova di storione. Si veda per esempio qui. Che le acque micellari siano in tutto e per tutto acqua e sapone, non è un errore. Il meccanismo di funzionamento dei saponi è il medesimo e l’effetto sulla pulizia della pelle anche.

Possiamo usare un tensioattivo per il forno a scopo cosmetico?

Non sono mancati commenti pseudo ironici del tipo:  “Ma infatti, stasera andate a casa, e struccatevi col fornet, tanto sempre detergente è, anche quello ha le micelle”. I prodotti per uso topico sono surfattanti come quelli del prodotto per la pulizia dei fornelli, ma devono rispettare dei requisiti di anallergicità e atossicità che quelli per i fornelli non hanno. Quindi, la battuta non fa tanto ridere. Non seguite questo consiglio perché rischiereste di farvi veramente male.

Relazione struttura-attività

Una delle critiche che mi sono state fatte è quella che riporto qui sotto:

“Io credevo di trovare un articolo ben più “scientifico”, in questo caso quelle poche righe sono aria fritta. Non si parla di concentrazioni, proporzioni, nulla. Lo posso dire anche io che ho fatto un esame di Chimica Organica in cui ho letto mezza pagina su come agisce un sapone che “acqua micellare” contiene la parola “micelle” che sono una proprietà dei saponi allora “acqua micellare” = “acqua e sapone”. Ma effettivamente non è così. La pelle non si deterge meglio con l’acqua micellare che con acqua e sapone solo perchè si è fermamente convinti che lo faccia. Se due animali perfettamente identici ma che volano uno a 3 metri dal suolo e uno a 4 possono essere due specie diverse, non vedo perchè due composizioni chimiche differenti con evidenti effetti differenti non possano essere, appunto, due robe differenti.”

Chi ha scritto queste cose sta cercando di dire che “acqua e sapone” e “acqua micellare” sono due cose diverse. In realtà, come ho già detto, non è così. Il meccanismo di funzionamento delle acque micellari è lo stesso dei saponi e, più specificatamente, dell’acqua e sapone. La differenza, se proprio ne vogliamo trovare una, è la concentrazione di surfattante Le acque micellari sono prodotti che io definisco “saponi omeopatici” per effetto del fatto che la quantità di tensioattivo è molto più bassa che in un sapone normale.

Le critiche continuano:

“Comunque è quantomeno antiscientifico (nella Galileana concezione del termine) da parte di laureati ammettere che anche se ci sono ingredienti in più “è la stessa cosa”. Se addirittura il semplice orientamento nello spazio conferisce a due molecole identiche proprietà diverse, perché due miscele (miscele si intenda nel più volgare possibile, poiché non vorrei incappare in uso di termini errati) con ingredienti diversi devono essere la stessa cosa?”

“Spiego il termine “Galileana concezione”. Un vero scienziato, non si figurerebbe mai di semplificare due cose alla stessa cosa. Anzi, si chiederebbe perché due composti apparentemente simili hanno azioni così diverse. Pensate applicato alla cura del cancro: direste mai che due cose sono uguali se hanno la stessa composizione ma una cura il cancro e l’altra no? Direste che è marketing? Oppure vi chiedereste perché?”

Da chimico posso dire con certezza che le elucubrazioni appena riportate sono una miscela di cose verosimili e cose chiaramente insensate sotto l’aspetto scientifico. Mi sembra evidente che la critica cerca di spostare l’attenzione all’isomeria conformazionale ovvero ad un tipo particolare di isomeria per cui due molecole che sono descritte dalla stessa identica formula bruta, hanno tuttavia una struttura differente per effetto della diversa orientazione nello spazio di uno o più gruppi funzionali. Per saperne di più potete andare al seguente link. Faccio un esempio molto banale considerando il talidomide (Figura 5).

Figura 5. Strutture enantiomeriche del talidomide. La figura è presa da www.chimicare.org

Si tratta di una molecola in cui uno degli atomi di carbonio ha quattro sostituenti diversi. Grazie a ciò, esso può esistere in due forme isomeriche (più correttamente si dovrebbe dire enantiomeriche) di cui una, la forma indicata con S ha effetti teratogeni (in parole semplici interferisce col normale sviluppo del feto ed una delle conseguenze è la focomelia), mentre l’altro, l’isomero R, non ha lo stesso effetto. Quest’ultimo, in particolare, interviene nei processi metabolici associati alla nausea, attenuandola. Negli anni Sessanta del ventesimo secolo questa molecola era il principio attivo di un farmaco anti nausea per donne gravide. Fu ritirato dal commercio perché il farmaco conteneva entrambi gli isomeri e provocò la nascita di più di 10000 (diecimila) bimbi focomelici. Oggi questo principio attivo è usato per la cura di diverse patologie invalidanti. Ma non è questo il punto. Il punto è che le due molecole mostrate in Figura 5 non sono uguali. Pur avendo la stessa formula bruta e pur avendo lo stesso nome, hanno attività biochimica e proprietà differenti per cui esse sono differenti. Non sono la stessa molecola. E’ questo il motivo per cui è necessario andare a differenziare le due molecole indicando nel loro nome le caratteristiche ottiche che le contraddistinguono. Al contrario del talidomide e degli isomeri conformazionali, acque micellari e saponi sono esattamente la stessa cosa. Entrambi contengono dei surfattanti che hanno esattamente la stessa funzione, ovvero la rimozione dello sporco.

Una incomprensione del concetto struttura-attività si riscontra anche nella considerazione secondo cui: “applicato alla cura del cancro: direste mai che due cose sono uguali se hanno la stessa composizione ma una cura il cancro e l’altra no? Direste che è marketing? Oppure vi chiedereste perché?“. Due cose chimicamente uguali non possono avere effetti biochimici differenti. A questo punto credo che il lettore si sarà convinto sulla base dell’esempio fatto prima descrivendo brevemente la chimica del talidomide. Allo stesso modo due miscele identiche curano entrambe la stessa particolare tipologia di cancro. Se una delle due miscele non funziona è perché non è adatta a quella particolare forma di cancro per cui è stata utilizzata.

Le acque micellari e loro composizione

In una delle tante risposte alla mia nota, c’è chi ha inserito la fotografia mostrata in Figura 6. Lo scopo era quello di far vedere che le acque micellari sono diverse dai saponi. Devo dire che questa cosa mi ha lasciato molto perplesso. Se io voglio difendere la mia causa e voglio far vedere che una cosa è differente da un’altra, non inserisco solo gli ingredienti di ciò che cerco di difendere, ma anche quelli della cosa che reputo differente.

Figura 6. Etichetta di un’acqua micellare proposta da un utente per dimostrare la differenza tra acque micellari e saponi

Ricopio qui quanto magistralmente scritto nel sito www.chimicamo.org:

I saponi sono sali solubili di acidi grassi quali l’acido oleico, l’acido stearico, l’acido palmitico, l’acido laurico e l’acido miristico. I saponi sono caratterizzati da una parte idrofoba costituita da una lunga catena carboniosa e da una parte idrofila costituita dal gruppo funzionale dell’acido carbossilico. Le soluzioni acquose di sapone si comportano come dispersioni colloidali a carattere micellare e sono dotate di reazione alcalina in seguito al grado di idrolisi del sapone nell’acqua. I saponi abbassano la tensione superficiale dell’acqua favorendo la stabilità e la formazione della schiuma. L’azione detergente è dovuta a diversi fattori tra cui l’attività capillare della soluzione acquosa che imbeve il tessuto staccandone lo sporco che viene allontanato dalla schiuma.

Quindi come si comportano i saponi in acqua? Formano micelle, ovvero sistemi chimici come quelli illustrati in Figura 4. E come funzionano le micelle fatte dalle componenti su citate? In modo semplicistico, le micelle fatte da aggregati degli acidi grassi riportati in Figura 7 non fanno altro che “intrappolare” le molecole che costituiscono la “macchia” permettendone l’allontanamento con l’acqua.

Figura 7. Acidi grassi i cui sali sodici sono tipicamente presenti nei saponi

Quando vi lavate le mani con una saponetta, oppure usate un sapone liquido cosa state facendo? Semplicemente state facendo interagire le componenti dei saponi con l’acqua in modo tale che si formino delle micelle. Queste ultime abbassano la tensione superficiale dell’acqua permettendo un migliore contatto tra l’acqua e la vostra pelle. Vi strofinate le mani in modo tale da permettere alle micelle a stretto contatto delle mani di interagire con lo sporco. Sciacquate le mani per allontanare le micelle che hanno “intrappolato” lo sporco.

Come funzionano le acque micellari? Tralasciando l’enorme quantità di profumi ed eccipienti vari che hanno il solo scopo di darvi una sensazione di “pelle liscia”, l’azione detergente è del tutto simile a quella descritta per i saponi. Le micelle possono essere fatte non dai sali degli acidi grassi riportati in Figura 7, ma dai gliceridi (mono, di, e tri) che li contengono. Per esempio, la composizione dell’acqua micellare riportata in Figura 6 riporta la presenza di gliceridi contenenti acido caprico (C10H20O2) e caprilico (C8H16O2) oltre che PEG 6 (PEG è l’acronimo di polietilenglicole che – questa è solo una curiosità – io utilizzavo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta come supporto solido per la sintesi in fase solida di oligonucleotidi ciclici. Come si vede il PEG è un tipico prodotto di sintesi che può avere diversi utilizzi. Si tratta del classico prodotto di sintesi che viene spacciato come naturale nelle acque micellari a loro volta considerate prodotti naturali o, comunque, più naturali dei saponi).

Per inciso il PEG 6 capric/capryl gliceride costa 1 euro ogni 25 g di prodotto. Tuttavia come indicato nella sua scheda di sicurezza è tutt’altro che un prodotto innocuo:

Non è un prodotto cosmetico pronto all’uso. Non deve essere utilizzato direttamente. Se non correttamente manipolato, può presentare controindicazioni e /o pericoli per la persona. Conservare lontano dalla portata dei bambini, fonti di calore, umidità e luce diretta. Evitare di inalare. Conservare a temperatura ambiente nel contenitore originale. Proteggere dal freddo e dal caldo eccessivi, non esporre ai raggi diretti del sole. Non utilizzare dopo la data di scadenza indicata. Non disperdere nell’ambiente il contenitore una volta esaurito il prodotto. Il prodotto contiene solo componenti biodegradabili. Nella diluizione indicata il prodotto non interferisce con gli impianti di trattamento delle acque reflue.

Conclusioni

Indipendentemente da quello che potete pensare, da un punto di vista chimico acque micellari e saponi sono prodotti che funzionano nello stesso modo. Se diluite un sapone liquido, lo applicate ad un batuffolo di ovatta e lo usate per pulirvi un pezzettino di pelle, avrete un effetto pulente del tutto analogo a quello di un’acqua micellare. L’effetto irritante che sentite quando usate un sapone tout court è legato alla sua concentrazione. Diluendolo, ne attenuate anche gli effetti. Del resto, leggendo la storia delle acque micellari, si evince che esse sono nate proprio per questo ad opera degli estetisti al lavoro sulle modelle durante le sfilate di moda. Per evitare gli effetti irritanti dovuti all’uso dei saponi, hanno pensato bene di diluire gli stessi. Poi sono arrivati i chimici coadiuvati dai pubblicitari che hanno esaltato proprietà che, in realtà, sono tipiche di tutti i surfattanti.

In definitiva, comprate quello che vi pare ma sappiate che state comprando semplicemente acqua e sapone.

Fonte dell’immagine di copertina: http://it.paperblog.com/review-acqua-micellare-lycia-3134640/

Fonte dell’immagine di chiusura: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Thats_all_folks.svg

Radar e carote. Quando le bufale aiutano a vincere la guerra

Radar e carote. Cosa c’entrano radar e carote gli uni con le altre? E perché le sciocchezze, oggi indicate col termine “bufala”, aiutano a vincere la guerra?

In realtà si tratta di un aneddoto che risale al secondo conflitto mondiale e che ha coinvolto scienza e scienziati in relazione al fatto che gli anni immediatamente precedenti la guerra sono stati ricchi di scoperte scientifiche nel campo biochimico. Fu infatti tra gli anni Venti e Trenta del Ventesimo secolo che venne individuato il ruolo di molte vitamine tra cui la vitamina A o retinolo.

Si scoprì che precursore di questa molecola, importante anche nei processi chimici legati alla visione (una rappresentazione di tale processo è nella figura di copertina), era il beta-carotene, molecola contenuta in parecchi alimenti di origine vegetale, tra cui le carote.

La seconda guerra mondiale conta diversi episodi di coraggio e tantissime innovazioni tecnologiche. Una di queste fu l’invenzione del radar  che, durante la battaglia d’Inghilterra, fu risolutivo per la sconfitta della Luftwaffe e la determinazione dell’andamento della guerra.

Ed allora cosa c’entrano radar e carote? In che modo sono correlati tra di loro?

Si narra che i Tedeschi fossero alla ricerca dei motivi per cui i piloti della RAF (Royal Air Force) fossero superiori a quelli della Luftwaffe. I primi pare sapessero anticipare le mosse dei secondi potendo colpirli ed abbatterli in tempi molto rapidi. Il trucco era nell’uso della tecnologia del radar che consentiva di “vedere” gli aerei nemici molto tempo prima del loro arrivo nei pressi delle bianche scogliere di Dover.

Ma c’era la guerra. Il radar ed il suo innovativo uso in campo bellico doveva essere protetto. Non si poteva permettere che una tale tecnologia cadesse nelle mani del nemico.

Cosa inventò il controspionaggio Inglese? Approfittando delle delucidazioni biochimiche in merito ai processi della visione e dal ruolo svolto dal beta-carotene come precursore del retinolo, le spie Inglesi sparsero la voce che la superiorità in battaglia del piloti della RAF fosse dovuta alla loro alimentazione a base di carote. Esse consentivano il potenziamento della vista dei militari che, per questo, erano in grado di individuare gli aerei nemici con largo anticipo rispetto al loro arrivo sulle coste Britanniche.

Non si sa se i Tedeschi abbiano abboccato ad una simile sciocchezza. In ogni caso, ancora oggi sia le mamme Inglesi che quelle Tedesche hanno una predilezione per le carote come alimento principe per la nutrizione dei loro pargoli.

Per saperne di più 

Le carote e la vista

La biochimica della visione

Fonte dell’immagine di copertina http://www.oilproject.org/lezione/come-funziona-la-vista-sono-utili-carote-beta-carotene-5280.html

La chimica e le bufale. Il caso del pediluvio detossificante

Negli anni Novanta fu pubblicizzato – e venduto a caro prezzo – un sistema terapeutico per detossificare l’organismo.  Veniva chiamato “pediluvio detossificante” o anche “acqua detox”.

Cos’è  il pediluvio detossificante?

Si tratta di un semplice catino – dalla forma più o meno appariscente – in cui versare acqua, qualche sale, immergere i piedi e far passare la corrente. Il risultato di questo trattamento è la soddisfazione dell’utente che si sente meglio perché le sue “tossine” sono passate all’acqua nel catino per effetto del passaggio di corrente. Come prova di efficacia, l’acqua si colora di un colore bruno rossastro ed emana un odore di cloro più o meno intenso. L’odore di cloro è associato all’eliminazione del cloro dall’organismo.

Bello vero? Chi può credere a una cosa del genere? Devo dire che di boccaloni ce ne sono molti e molti ritengono che questo approccio consenta il miglioramento della propria salute perché le bioenergie vengono indirizzate meglio per effetto della fuoriuscita delle tossine.

Ma cosa accade in realtà?

Qui ci viene in aiuto la chimica; l’elettrochimica a voler essere precisi.
Prima però voglio evidenziare che il termine “bioenergia” usato dagli ideatori di questo pediluvio detossificante non ha alcun significato. È la classica parola ad effetto scenico che serve per prendere all’amo gli stupidi o, più politically correct, quelli che di chimica e scienza non sanno nulla. Ed aggiungo che maggiore è la propria ignoranza scientifica, più elevata è la stima e la considerazione che questi individui hanno di sé e delle proprie conoscenze.

Andiamo avanti.

Anche se dovrebbe essere nozione comune – sebbene da quello che leggo in rete non necessariamente è così perché l’ignoranza chimica, in particolare, e quella funzionale più in generale, dilagano – l’acqua è un ottimo conduttore di corrente. Perché, tuttavia, l’acqua possa operare come conduttore di corrente è necessario che essa contenga disciolti dei sali. Il movimento degli ioni all’interno della soluzione, quando viene applicata una differenza di potenziale, è associato al passaggio di corrente di cui dicevo. Se l’acqua non contiene ioni, ovvero sali disciolti, al massimo orienta il suo dipolo lungo la direzione del campo elettrico applicato, ma non c’è passaggio di corrente.

Gli ideatori del pediluvio detossificante questo lo sanno bene. Ed infatti suggeriscono l’addizione di sali all’acqua del pediluvio detossificante affermando che bisogna utilizzare “ioni attivi”. Anche questa è tutta scenografia. Il termine “ioni attivi” non significa nulla sotto il profilo chimico.

Continuiamo

Gli elettrodi usati per il pediluvio detossificante sono di ferro. In presenza di acqua e sali cosa accade? In realtà i sali servono per la corrente, ciò che accade e che consente la colorazione dell’acqua e viene associato all’eliminazione di tossine è a carico dell’ossigeno e dell’anidride carbonica disciolti.

Adesso faccio il chimico. Ecco quanto accade:

4Fe +3O2 + 6H2O → 4Fe(OH)3

2Fe(OH)3 → Fe2O3 ∙ 3H2O↓

2Fe(OH)3 + 3CO2 + 3H2O → Fe2(CO3 )3 ↓ + 3H2O

In altre parole il ferro metallico viene ossidato ad idrossido ferrico che a sua volta si trasforma in ossido ferrico idrato solido. L’idrossido ferrico reagisce anche con l’anidride carbonica disciolta per formare un carbonato ferrico solido. La miscela bruno-rossastra a forma di piccole scaglie è dovuta alla miscela di questi due composti solidi.

Ma c’è di più

Non mi sono dimenticato dell’odore di cloro. L’acqua del catino del pediluvio detossificante contiene cloruri sia di origine minerale che aggiunti sotto forma di sali. Il passaggio di corrente permette l’ossidazione dello ione cloruro a gas cloro da cui il tipico odore che si sente.

Conclusioni

Usate pure il pediluvio detossificante spendendo i vostri soldi come vi pare. Ma sappiate che non viene eliminata alcuna tossina. Tutto quello che vedete è una serie di processi elettrochimici. Se dopo il trattamento vi sentite meglio non è perché siete purificati, ma semplicemente è effetto placebo legato al fatto che non ammetterete mai di aver speso soldi – fossero anche pochi euro –  facendovi prendere in giro da degli imbonitori che vi hanno venduto il più classico olio di serpente.

Per saperne di più

La bufala del pediluvio detossificante fu scoperta dal Dr. Goldacre ed è descritta in modo semplice in B. Goldacre,  2013, La cattiva scienza, Bruno Mondadori ed.

Se volete sapere qualcosa sui processi di corrosione: http://www.chimica-online.it/download/corrosione.htm

Fonte dell’immagine di copertina: http://www.newliferadio.it/pediluvio-ionico-informazioni-essenziali/

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