Stucco e cosmetici: breve nota sugli isotiazoloni

5-cloro-2-metil-2H-isotiazol-3-one (anche indicato come metil cloro isotiazolinone) e 2-metil-2H-isotiazol-3-one (anche indicato come metil isotiazolinone) (Figura 1). Nomi difficili, vero? Hanno destato la mia curiosità perché li ho trovati nell’elenco dei componenti dello stucco che ho comprato per alcune riparazioni a casa (foto di copertina). Mi sono chiesto cosa fossero ed a cosa servissero.

Figura 1. Strutture del metti cloro isotiazolone e del metil isotiazolone

Ne è venuto che si tratta di composti abbastanza comuni e si usano in miscela  3:1 perché, in tale formulazione, hanno ottima attività  antimicrobica. Sono presenti in tanti prodotti come lo stucco della foto di copertina, parecchi disinfettanti per la casa e l’amuchina gel per le mani (Figura 2).

Figura 2. Composizione dell’amuchina gel disinfettante per le mani

Una breve ricerca su Google, però, consente di arrivare alla pagina Wikipedia relativa ai conservanti nei cosmetici (qui).  Da questa si evince che la miscela anzidetta viene anche addizionata ai prodotti cosmetici destinati al risciacquo per aumentarne la shelf life, ovvero, nel linguaggio comune, la data di scadenza.

Come per ogni prodotto, anche per la miscela 3:1 dei due isotiazoloni esiste la scheda di sicurezza.

Una scheda di sicurezza  è un documento in cui si riportano le caratteristiche chimico-tossicologiche di tutti i prodotti chimici e le norme di comportamento in caso di intossicazione da quel determinato prodotto. In altre parole è l’equivalente dei bugiardini presenti nelle confezioni dei farmaci. Tuttavia, mentre i bugiardini riportano gli effetti osservati indipendentemente dalla loro reale correlazione causale col farmaco, le schede di sicurezza riportano tutto quanto scientificamente testato sulla tipologia di prodotto che si sta maneggiando.

Le schede di sicurezza sono obbligatorie in ogni laboratorio perché ci aiutano a capire come dobbiamo comportarci nel caso in cui qualcuno di noi si dovesse intossicare o dovesse avere problemi di qualsiasi tipo con le sostanze che sta maneggiando.

La Figura 3 mostra l’immagine di  una scheda di sicurezza delio stucco contenente la miscela di cui state leggendo. Una scheda più completa e relativa proprio alla miscela dei due isotiazoloni è qui.

Figura 3. Scheda di sicurezza della miscela 3:1 di metil cloro isotiazolone e di metil isotiazolone

Dalla scheda si legge la seguente lista di pericolosità:

Tossicità acuta, Corrosione cutanea, Sensibilizzazione cutanea, Pericoloso per l’ambiente acquatico, tossicità cronica,  Tossico se ingerito. Tossico per contatto con la pelle. Tossico se inalato. Provoca gravi ustioni cutanee e gravi lesioni oculari. Può provocare una reazione allergica cutanea. Molto tossico per gli organismi acquatici. Molto tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata. 

Insomma, non è proprio uno scherzo. Si tratta di una miscela certamente utile, ma dal forte impatto ambientale e da maneggiare con cura.

Certamente “è la dose che fa il veleno”; questo vuol dire che solo alte concentrazioni della miscela possono portare agli effetti descritti.

Cosa vuol dire alte? Per esempio, si legge che la concentrazione letale che ha effetto sul 50% della popolazione  di pesci sottoposti a test corrisponde ad una quantità pari a 0.19 mg/L, mentre la concentrazione che ha effetto tossico sul 50% dei crostacei sottoposti a test è 0.16 mg/L. Gli esseri umani rispondono alla presenza di questo prodotto solo se lo ingeriscono o se sono particolarmente sensibili ad esso.

la Figura 4 mostra la foto della pelle irritata di una signora sensibile proprio alla miscela dei due isotiazoloni descritti in questa nota. La foto è presa da questo blog.

Figura 4. Effetti dovuti ad allergia agli isotiazoloni discussi in questa nota (Fonte: http://beautyblahblahblah.blogspot.it/2014/05/my-skin-allergy-methylisothiazolinone.html?spref=pi&m=1)

Cosa voglio concludere? A parte soddisfare la mia curiosità sugli isotiazolinoni di cui non conoscevo le caratteristiche antimicrobiche, voglio solo evidenziare che bisogna sempre agire con prudenza quando usiamo un qualsiasi prodotto sia cosmetico che per la pulizia personale o dei luoghi che frequentiamo. Evitiamo l’uso indiscriminato di cosmetici ed evitiamo di “farci il bagno” nei profumi. Oltre a rilasciare olezzi molto sgradevoli (non so voi, ma io provo fastidio quando sento profumi molto forti), senza saperlo possiamo essere intolleranti o anche allergici a qualunque delle componenti dei prodotti che usiamo e ci possiamo ritrovare nelle condizioni della foto in Figura 4.

 

Oreste Piccioni: storia di un Nobel negato

1959. Emilio Segrè e Owen Chamberlain ricevono il premio Nobel per la scoperta dell’antiprotone. Pochi sanno, però, che l’ideazione e l’input principale per la scoperta degli antiprotoni è opera di un altro fisico Italiano di nome Oreste Piccioni.

Nato a Siena nel 1915, Oreste Piccioni, pur avendo superato l’ammissione alla Normale di Pisa, si trasferisce a Roma dove si laurea in Fisica con Enrico Fermi. Durante gli anni della seconda guerra mondiale, lavora assieme a Conversi e Pancini con i quali riesce ad identificare il muone, fondando quella che oggi è conosciuta come “fisica delle particelle elementari”. Nonostante questa importantissima scoperta, nessuno dei tre studiosi vinse il premio Nobel.

La strumentazione che il trio Conversi, Pancini e Piccioni utilizzò per la scoperta del muone è oggetto di un aneddoto molto interessante.

Sembra che nella seconda metà del Luglio 1943, gli alleati bombardarono la città di Roma colpendo anche una parte degli edifici universitari. In quella circostanza i locali della Facoltà di Fisica furono risparmiati, ma, temendo un secondo attacco e per proteggere l’apparecchiatura appena ultimata, Conversi e Piccioni trasferirono tutto il loro laboratorio negli scantinati del liceo Virgilio nei pressi del Vaticano che, grazie ad accordi internazionali, non poteva essere bombardato. Fu proprio in questa sede che furono poste le basi per la scoperta del muone avvenuta dopo la liberazione di Roma.

Quella del muone non è stata l’unica scoperta di Piccioni. Quest’ultimo, infatti, mette a punto tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta, un apparato, chiamato cosmotrone, molto simile al bevatrone della Berkeley in California dove lavorava Segrè. In occasione di un congresso, Piccioni incontra Segrè ed assieme decidono di fare degli esperimenti per l’individuazione dell’antiprotone. Tuttavia, Segrè realizza gli esperimenti assieme a Chamberlain durante l’assenza di Piccioni il quale si trova, quindi, escluso dalla pubblicazione grazie alla quale i due vincono il premio Nobel.

Nonostante Segrè e Chamberlain avessero riconosciuto i suoi meriti sia nel lavoro del 1955 che nel discorso di assegnazione del Nobel nel 1959, Piccioni è sempre stato tenuto dietro le quinte con promesse varie.

Scrive Di Trocchio nel suo libro sulle bugie nella scienza che:

“Segrè riuscì a convincerlo a desistere da passi ufficiali promettendogli che se fosse stato zitto avrebbe ricevuto dei “favori” dalla potente comunità dei fisici di Berkeley. Piccioni aveva molto bisogno di quell’aiuto perché il suo carattere estroso e le simpatie di sinistra continuavano a far ritardare la sua pratica per ottenere la cittadinanza americana. Oltretutto c’era chi lo trattava in modo molto più duro di Segrè. Quando infatti si era azzardato a scrivere una lettera di protesta a Ernest Orlando Lawrence, premio Nobel nel 1939, e allora direttore del Radiation Laboratory dove si trovava il Bevatron, ottenne solo di essere perentoriamente convocato e poi ammonito, in presenza di altri due premi Nobel, a non creare ulteriori disturbi. Uno dei due Nobel presenti a quella discussione era Edwin McMillan, che assunse la carica di direttore alla morte di Lawrence nel 1958. Non appena seppe dell’assegnazione del Nobel a Segrè e Chamberlain Piccioni tornò di nuovo alla carica e si presentò nel suo ufficio. In presenza di Segrè, McMillan gli promise che se fosse stato zitto avrebbe fatto in modo di usare la sua influenza perché egli fosse raccomandato per il conferimento di un premio Nobel.  Fu per queste promesse che Piccioni decise di tacere e di aspettare. Ma aspettò troppo e quando si rese conto che tutti ormai si erano dimenticati del Nobel promesso si decise a far causa. Troppo tardi. Il tribunale riconobbe che il comportamento di Segrè aveva causato notevoli danni alla sua carriera ma non poteva certo conferirgli quel Nobel che si era troppo ingenuamente lasciato scappare. Oltretutto quando nel 1972 egli si decise a rivolgersi alla legge tutta la comunità scientifica gli fu contro perché aveva osato portare nell’aula di un tribunale, per la prima volta in duemila anni di storia della scienza, una polemica che tutti consideravano soltanto scientifica. Uno scienziato che volle rimanere anonimo dichiarò a Deborah Shapley che raccontò la vicenda su «Science»: «Queste sono accuse che si possono fare davanti ad un bicchiere di birra e allora magari riesci anche ad ottenere comprensione e simpatia ma esprimerle ufficialmente ed in pubblico è condannabile da ogni punto di vista».”

In una comunicazione di Piccioni a Conversi del 1971, il primo evidenzia:

“It is a fact which I have discovered, in my silent, so to say, litigation with Segrè and Chamberlain, that people have two notions in their mind as to why they work in scientific research. One is that when they have something of their own interest in question, they would kill their mother in order to have a little bit more credit. But the other one is that we should all work for the beauty of science or maybe for the benefit of mankind, not asking for credit whatsoever. It is amazing how many of our colleagues live their entire life on this double standard, but they do.”

Il passo in grassetto evidenzia che il mondo scientifico è fatto da esseri umani che, pur di assurgere alla gloria dei libri di testo, sarebbero disposti a tutto. In effetti ancora oggi esistono scienziati che passerebbero sopra ogni cosa per i loro interessi personali (il caso Wakefield e la falsa correlazione autismo-vaccini è l’esempio recente)

 

Per saperne di più

F. Di Trocchio, Le bugie della scienza, Ed. Oscar Mondadori

http://www.scienzainrete.it/italia150/oreste-piccioni

http://www.treccani.it/enciclopedia/oreste-piccioni_(Dizionario-Biografico)/

https://agenda.infn.it/getFile.py/access?resId=0&materialId=slides&confId=2016

Fonte dell’immagine di copertinahttp://www.guidetothecosmos.com/about.htm

 

 

Zanzare e zampironi

Estate. Tempo di zanzare e tempo della nostra quotidiana lotta contro questi insetti fastidiosi.

Uno dei prodotti più utilizzati nelle nostre case per la lotta alle zanzare è lo zampirone. Sì, quella spirale di colori differenti di cui un esempio vedete nell’immagine di copertina. Il suo nome, ormai entrato nell’uso comune, deriva da un chimico di Mestre (sì, proprio un Italiano nato vicino a Venezia) che nel 1862 incominciò a studiare in che modo sfruttare delle conoscenze acquisite intorno al 1840. Questo chimico si chiamava Giovanni Battista Zampironi e le conoscenze che decise di utilizzare erano relative alla scoperta, fatta appunto nel 1840, che i fiori di piretro, un tipo di margherita originaria del Caucaso,  funzionavano molto efficacemente per tener lontane le zanzare. Il Dr. Zampironi  pensò bene di brevettare dei coni antizanzare che chiamò piroconofobi, ovvero “coni fumiganti che fanno paura” (Figura 1).

Figura 1. Immagine dei piroconofobi

Questo nome, per nulla accattivante e certamente difficile da ricordare, si riferiva al fatto che i coni, contenenti polvere di piretro (50%), nitrato di potassio (35%) per favorire la combustione, leganti e addensanti (15%), come la polvere di radice di altea e la gomma adragante, una volta in fase di combustione, emanavano un fumo denso in grado di tener lontane le zanzare.

La  forma a spirale degli attuali zampironi non è stata opera del chimico Italiano, ma di un imprenditore giapponese che, all’inizio del XX secolo pensò di fabbricare dei bastoncini di incenso antizanzare utilizzando la polvere di piretro importata dagli Stati Uniti. Per una storia completa dell’evoluzione della forma degli zampironi si può far riferimento a Wikipedia.

Oggi sappiamo che i principi attivi contenuti nelle polveri secche del fiore di piretro sono le piretrine con attività repellente o neurotossica per le zanzare. La struttura  generale di questi composti è riportata in Figura 2.

Figura 2. Formula generale delle piretrine (da http://www.chimicamo.org/tutto-chimica/insetticidi-organici-naturali.html)

Le piretrine ricadono sotto la denominazione di “sostanze naturali” perché si estraggono da organismi vegetali, come i fiori di piretro o quelli di Chrysanthemum cinerariaefolium, nei quali hanno una funzione difensiva, ovvero servono a tener lontani i predatori.

Attualmente negli zampironi sono presenti dei piretroidi, ovvero delle piretrine di sintesi, che hanno efficacia analoga a quella dei prodotti naturali.

Figura 3. Composizione di zampironi RAID reperibili facilmente in commercio

La Figura 3 mostra la composizione di zampironi commerciali nei quali è contenuta la palletrina (Figura  4).

Figura 4. Formula di struttura della palletrina

La palletrina ha una funzione repellente per le zanzare ed un discreto impatto ambientale dal momento che è altamente tossica per trote e persici, per le api e risulta particolarmente dannosa per alcuni crostacei acquatici oltre ad avere una moderata tossicità per gli uccelli.

La Figura 5 mostra la composizione di zampironi commerciali di una casa diversa da quella mostrata in precedenza.

Figura 5. Composizione chimica di zampironi disponibili in commercio

In questo caso il principio attivo è la esbiotrina (Figura 6) che non solo ha attività repellente ma anche neurotossica nei confronti delle zanzare.

Figura 6. Struttura dell’esbiotrina

L’esbiotrina  mostra  tossicità acuta per i pesci e per i topi ed è inserita in alcune liste di interferenti endocrini, sebbene non esistano ancora studi dettagliati sui suoi effetti nell’uomo.

La Figura 7 mostra la composizione di un repellente anti zanzare usato normalmente nelle piastrine elettriche.

Figura 7. Composizione delle piastrine elettriche antizanzare

In questo caso il principio attivo è la transflutrina (Figura 8).

Figura 8. Struttura della transflutrina

Si tratta di uno dei più potenti insetticidi attualmente in commercio ad azione veloce e bassa persistenza. Non si riportano al momento studi sui possibili effetti tossici su fauna acquatica e mammiferi.

Conclusioni

Esistono in commercio tantissimi repellenti per le fastidiosissime zanzare. Tutti contengono principi attivi che hanno effetti nocivi anche sull’ambiente. Per questo motivo occorre molta cautela nel loro utilizzo e nella loro dismissione. Ricordo che, anche se sintetici, questi principi attivi hanno la stessa efficacia dei prodotti naturali. Non sono più tossici solo perché di origine antropica. In generale, è buona norma fare attenzione nella manipolazione di ogni sostanza potenzialemte tossica sia essa di origine naturale che sintetica.

Per saperne di più

Sulla tossicità e l’impatto ambientale dei prodotti antizanzare consultare il seguente link: http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/quaderni/ambiente-societa/Quad_AS_10_15_ProfilassiAntiZanzare.pdf

Fonte dell’immagine di copertina: https://www.mosquitoweb.it/insetticidi/zampirone.html

Inizia lo spettacolo, preparate il popcorn

Vagando qui e lì tra le strade di Palermo sotto il sole di un’estate Siciliana abbastanza torrida, vado alla ricerca di notizie estive, quindi leggère, da poter proporre in questo blog. Ed ecco all’improvviso la classica bancarella che propone sacchetti e confezioni di popcorn. Mi viene in mente quando da piccolo i miei genitori compravano il mais e, dopo averlo riposto in una pentola chiusa, preparavano questa pietanza con noi ragazzini che aspettavamo lo scoppiettio tipico della formazione dei fiocchi .

Come mai i chicchi di mais scoppiano assumendo quella tipica forma a fiocco di neve che viene indicata come popcorn?

C’entra qualcosa la fisiologia del chicco di mais.

Il chicco di mais è fatto per lo più di amido. La parte più interna del chicco contiene intrappolata una piccolissima quantità di acqua. Quando il chicco viene posto a contatto di una superficie calda, la temperatura interna del chicco diventa più alta di quella di ebollizione dell’acqua. Quella piccola quantità di acqua intrappolata nella parte più interna del chicco passa dalla fase liquida a quella gassosa.
Come anche i bambini sanno, un gas, come il vapor d’acqua, tende ad espandersi. Per questo motivo, il repentino passaggio dell’acqua dalla forma liquida a quella gassosa fa esplodere il chicco con il caratteristico “pop” da cui il nome di popcorn.

Nel processo di esplosione, il chicco si comporta come un calzino rovesciato, ovvero la parte interna diventa esterna ed assume la fisionomia che tanto affascina i bambini. In pratica, l’amido, non più compresso, si espande per effetto dell’esplosione e forma il fiocco. Se ci sono delle microfratture nel nocciolo del chicco di mais, l’acqua vapore fuoriesce gradualmente e non si ottiene alcun fiocco. Ecco perché in fondo alla padella in cui prepariamo il popcorn si può trovare qualche chicco che non si è trasformato in fiocco: si tratta di chicchi che contengono al loro interno delle microfratture che non gli consentono di esplodere.

https://youtu.be/9QE2E9cT7SM

Vi starete sicuramente chiedendo da dove vien fuori questa informazione. Ebbene, nel 2015 un gruppo di ricerca Francese pubblica un lavoro dal titolo “Popcorn: critical temperature, jump and sound” che potete trovare qui. In questo lavoro, gli autori descrivono una serie di filmati al rallentatore che ha consentito loro di spiegare un fenomeno su cui fino ai giorni nostri aleggiava ancora un alone di mistero.

Per saperne di più

La scienza messa a nudo

Fonte della foto di copertina : Fir0002/Flagstaffotos da Wikimedia commons

Il filmato è preso dal materiale supplementare del lavoro che trovate qui

Chimica ed archeologia: il fuoco greco

Avete mai sentito parlare del fuoco greco? Si tratta di un’arma micidiale usata per la difesa di Costantinopoli, l’odierna Istanbul, contro gli attacchi di Arabi, Bulgari ed Avari.

Fonti antiche riportano non solo della potenza distruttrice di tale arma, ma anche del terrore che essa suscitava nella mente dei nemici. Infatti, la peculiarità di quest’arma era il suo enorme potere detonante, l’infiammabilità, l’impossibilità di spegnerlo con l’acqua, il fatto che sembrava bruciare anche l’acqua e la sua tossicità. Tutte queste caratteristiche assieme generavano terrore e, si sa, una battaglia si vince anche e soprattutto col terrore, ovvero spaventando i nemici che sono, quindi, portati a combattere meno energicamente.

Ma non è questa la sede per una digressione storica o psicologica. Qui voglio solo puntare l’attenzione sulla chimica del fuoco greco.

Come era fatto?

In realtà la ricetta del fuoco greco non è nota esattamente. Tuttavia, fonti antiche riportano che esso fosse una miscela di calce viva, salnitro, zolfo e nafta/pece. Quelli che leggete sono ingredienti noti fin dall’antichità. Anche gli antichi Romani conoscevano questi prodotti. La nafta/pece era oltremodo nota in Oriente ed a Costantinopoli, in particolare, che deteneva il potere proprio sulle terre in cui questo prodotto maleodorante era particolarmente facile da trovare.

Ma veniamo alla chimica del funzionamento del fuoco greco.

La calce viva è ossido di calcio (CaO) che a contatto con l’acqua porta alla formazione di idrossido di calcio con una reazione fortemente esotermica:

CaO + H2O = Ca(OH)2 + E

Il calore (E) generato dalla reazione anzidetta serve per innescare la reazione di degradazione del salnitro, ovvero del nitrato di potassio (KNO3) anch’esso ben noto nell’antichità, secondo lo schema:

2KNO3 + E = 2KNO2 + O2

L’ossigeno prodotto da questa reazione, assieme al calore generato dalla reazione di formazione dell’idrossido di calcio, innesca la combustione della nafta/pece secondo lo schema:

CnHm + (n + m/4)O2 = nCO2 + (m/2)H2O

La nafta/pece è una miscela di idrocarburi (CnHm) più leggera dell’acqua ed immiscibile in essa. Questo vuol dire che non solo la nafta/pece galleggia sull’acqua, ma anche che essa si spande sulla superficie dell’acqua ed una volta a fuoco, le fiamme non possono essere spente mediante l’uso di acqua.

L’alta temperatura generata sia dalla reazione della calce viva  con l’acqua che dal processo di combustione della nafta/pece, innesca la reazione di ossidazione dello solfo ad anidride solforosa (SO2). Questa a contatto dell’acqua genera acido solforoso (H2SO3) che è particolarmente tossico:

S + O2 = SO2

SO2 + H2O = H2SO3

Gli alchimisti Bizantini dovevano essere veramente dei fini conoscitori della natura e dell’uomo per aver ideato un’arma di distruzione di questa portata la cui temibilità è riconosciuta ancora oggi

Per saperne di più:

http://tutto-sapere.blogspot.it/2015/09/sul-fuoco-greco.html

http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=446

http://www.medioevouniversalis.org/phpBB3/viewtopic.php?f=11&t=156#p6883

pH. Il suo significato nei sistemi complessi (Parte I)

Quanti di voi sanno che cos’è il pH? Stiano zitti i chimici, i periti chimici e tutti coloro che hanno studiato, ad un qualsiasi livello, la chimica.

Bene. Mi perdoneranno tutti coloro che hanno studiato o studiano la chimica, ma devo dare la definizione di pH  a tutti coloro che non hanno idea, se non vaga, di cosa significhi questa parola.

Non è una parola magica; non è neanche un rito magico di carattere esoterico. Si tratta semplicemente di un modo che i chimici usano per riportare quella che è la concentrazione di ioni idrogeno (H+) in una soluzione acquosa. Mi diranno i chimici più estremi che il pH si può valutare anche per sistemi organici. Ma io non voglio essere estremo e mi attengo alla chimica più tradizionale, per cui mi fermo al fatto che la misura del pH è quella che si fa per le soluzioni acquose.

Il pH è il logaritmo in base 10 dell’inverso della concentrazione idrogenionica:

Anche la casalinga di Voghera sa che se il pH è inferiore a 7 si parla di sistemi acidi; se il pH è superiore a 7 si parla di sistemi basici; se il pH è proprio 7, allora si parla di sistemi neutri. Il problema è che, al di fuori del contesto chimico, le parole “acido”, “base” e “neutro” sono prive di significato. Ad usare in modo improprio termini che hanno un significato ben definito nel linguaggio scientifico ci si mettono anche i giornalisti. Per esempio cliccando qui si apre una pagina di Repubblica.it in cui si legge che una donna è stata aggredita ed è stata costretta a versarsi addosso della soda caustica. Per effetto di questa aggressione la donna ha subito ustioni da “acido”. Non ci credete? Allora cliccate sul link anzidetto oppure leggete la Figura 1 in cui ho evidenziato l’incongruenza tra “soda caustica”, che è una base, e “acido”, che nell’opinione comune è qualcosa che fa male.

Figura 1 Nell’opinione comune qualsiasi sostanza faccia male è considerata un acido. La notizia riportata qui è tratta da Repubblica Vicenza

Ma veniamo al punto principale di questa nota.

L’equilibrio di dissociazione dell’acqua si può scrivere in questo modo:

Questo equilibrio è governato da una costante alla quale è stato dato il nome di “prodotto ionico dell’acqua” che ha la forma:

Il valore del prodotto ionico dell’acqua è 1.0 x 10-14 M2 quando la temperatura è 25 °C. È facile calcolare il pH al punto di neutralità, ovvero quando la concentrazione degli ioni idrogeno è uguale a quella degli ioni ossidrile. Al punto di neutralità il valore di pH è 7.

Ciò che in genere molto spesso si dimentica è che le informazioni contenute nelle righe precedenti sono valide solo ed esclusivamente alla temperatura di 25 °C. Infatti, i valori delle costanti di equilibrio (ed il prodotto ionico è una costante di equilibrio) dipendono dalla temperatura alla quale si ha l’equilibrio chimico. La Figura 2 mostra come cambia il prodotto ionico dell’acqua al variare della temperatura.

Figura 2 Variazione del prodotto ionico dell’acqua al variare della temperatura

La Figura 3, invece, fa vedere il cambiamento del valore del pH in funzione della temperatura. Più è alta la temperatura più si abbassa il valore del pH relativo alla condizione di neutralità come conseguenza dell’indebolimento dei legami covalenti tra ossigeno ed idrogeno nell’acqua. A 100 °C, il valore del pH all’equilibrio è circa 6.1. Questo valore non indica acidità, bensì neutralità a quel valore della temperatura.

Figura 3 Variazione del pH dell’acqua pura con la temperatura

Ciò che è valido per l’equilibrio di dissociazione dell’acqua è valido per tutti i tipi di equilibrio. Per esempio, la dissociazione dell’acido acetico in acqua segue l’equilibrio:

La costante di equilibrio ha la forma:

Il valore della ka a 25 °C è 1.75 x 10-4 M. Da un lavoro pioneristico del 1933, si ricava il grafico di Figura 4 che mostra la variazione del valore della costante acida dell’acido acetico al variare della temperatura nell’intervallo 0-60 °C.

Figura 4 Variazioni con la temperatura della costante di dissociazione dell’acido acetico

Utilizzando valori differenti per le concentrazioni pre-equilibrio di acido acetico, è facile ricavare il grafico di Figura 5 che mostra come cambia il valore del pH nelle condizioni di equilibrio al variare della temperatura.

Figura 5 Variazione del pH all’equilibrio per la dissociazione dell’acido acetico a diverse concentrazioni di partenza e nell’intervallo di temperatura 0-60 °C

In sintesi, il valore del pH di una qualsiasi soluzione acquosa dipende da numerosi fattori tra cui: natura e concentrazione del soluto e temperatura del sistema.

Quando si considerano sistemi complessi in cui l’equilibrio acido/base è regolato dalla presenza di più coppie acido/base differenti, oltre alla temperatura, bisogna tener conto anche degli equilibri di dissociazione multipli. Per esempio, la valutazione del pH all’equilibrio per soluzioni di acido fosforico (H3PO4) va fatta considerando le seguenti condizioni:

Ad ognuno degli equilibri descritti è associata una costante il cui valore cambia in funzione della temperatura. Si capisce, quindi, che la valutazione del pH all’equilibrio diventa sempre più difficile all’aumentare della complessità del sistema.

Anche la presenza di sali altera i valori delle costanti di equilibrio. Per esempio la costante acida del secondo equilibrio dell’acido fosforico risente della forza ionica come indicato in Figura 6.

Figura 6 Variazioni della costante ka2 dell’acido fosforico in funzione della forza ionica. Le serie da A ad E indicano soluzioni di acido fosforico contenenti sali differenti

Riassumendo, il pH all’equilibrio per sistemi complessi contenenti coppie acido/base di natura differente dipende da natura del soluto, concentrazione del soluto, temperatura e forza ionica.

 

Fonte dell’immagine di copertina: http://alcyonitalia.com/items?key=_-57&keyType=I

Azoto e nitrogeno. È veramente un errore?

Vi siete mai chiesti da dove originano i nomi degli elementi? Di tanto in tanto me lo sono chiesto anche io. Quando insegnavo la chimica generale e la chimica organica, era divertente sbalordire gli studenti con aneddoti curiosi e carini. Smorza la tensione per la lezione oggettivamente pesante e consente di andare avanti con più leggerezza. Uno degli aneddoti che mi piaceva raccontare, ancora oggi lo faccio se ne ho la possibilità, è quello relativo all’azoto.
L’azoto è un elemento molto importante in natura. E’ presente in tantissimi composti organici che assolvono a funzioni metaboliche importantissime. E’ presente nelle proteine, nel RNA, nel DNA, in molte sostanze che i chimici definiscono composti naturali e compagnia cantando.

Perché si chiama azoto?

Il nome è stato coniato da Lavoisier (https://it.wikipedia.org/wiki/Antoine-Laurent_de_Lavoisier) in Francia: “azote”. Significa “senza vita”. Deriva dal greco in cui al termine “zotos” (che viene da zoe, vivere) si associa la alfa privativa, da cui “a-zoto”, ovvero “azoto”. Sembra un paradosso, vero? Un elemento che è fondamentale per il metabolismo, ovvero per i processi alla base della vita, porta un nome che si riferisce alla morte. Beh, ai tempi di Lavoisier non si conoscevano certo le molecole come si conoscono oggi. Non si conosceva l’importanza di questo elemento nei metaboliti. Si sapeva però che una atmosfera privata di ossigeno provocava la morte, da cui il termine “azote” che in Italiano è diventato “azoto”.

Se il nome è “azoto”, perché ha simbolo “N“?

In realtà,questo elemento ha un nome con doppia etimologia. Il termine “azoto” è usato prevalentemente nei paesi non anglosassoni.
Nei paesi anglosassoni “azoto” è indicato con “nitrogen”. Il nome fu coniato nel 1790 da Chaptal (https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Antoine_Chaptal), un altro chimico francese, che capì che l’elemento era uno dei costituenti del nitrato di potassio, un sale, comunemente noto come “salnitro” ed usato come sapone ai tempi dei Romani. “Nitro”-“gen” vuol dire quindi “genitore” del “nitron”, laddove “nitron” è l’antico nome del nitrato di Potassio.

Paperino e la traduzione sbagliata

In definitiva benché Paperino nella vignetta di copertina si riferisca ad un certo “nitrogeno” commettendo un errore che molti chimici ritengono grave perché in Italiano N = azoto, posso dire che, in realtà, si tratta solo di un errore veniale perché sia “azoto” che “nitrogeno” sono i nomi che possiamo attribuire all’elemento di simbolo “N” con numero atomico 7 e peso atomico 14 g/mol.

fonte dell’immagine di copertina http://scienze-como.uninsubria.it/bressanini/divulgazione/paperino-chimico.html

Meccanismo di Grotthuss

Avete mai sentito parlare del meccanismo di Grotthuss? In genere, sono pochi a conoscere questa locuzione, anche tra i chimici. A cosa ci si riferisce?

Si parla di acqua e del modo con cui diffondono gli ioni ioni H+ (ione idrogeno o idrogenione) e OH (ione ossidrile o ossidrilione) all’interno del sistema acqua.

E’ noto che un acido in acqua dà luogo al seguente equilibrio:

che può essere spostato verso i reagenti o verso i prodotti a seconda della forza dell’acido stesso.

Allo stesso modo una base in acqua dà un equilibrio descrivibile secondo la seguente equazione chimica:

anche esso spostato a destra (verso i prodotti) o a sinistra (verso i reagenti) a seconda della forza della base.

La stessa acqua dà luogo ad un equilibrio di autoprotolisi che può essere descritto così:

Ciò che in genere si insegna agli studenti del primo anno dei corsi di laurea scientifici in cui si studia la chimica è che tutti gli ioni in soluzione acquosa sono solvatati, ovvero sono circondati da un certo numero di molecole di acqua. Anche gli ioni H+ e OH sono solvatati.

La struttura contenente il minimo numero di molecole di acqua per l’idrogenione e l’ossidrilione è:

In altre parole, lo ione H ha formula minima  H9O4+ mentre lo ione OH ha formula minima H7O4 .

I legami tratteggiati indicano interazioni di carattere elettrostastico. Sono i legami a idrogeno.

Quando si parla di interazioni elettriche si pensa sempre ad interazioni che si realizzano tra cariche dello stesso segno che si respingono o cariche di segno opposto che si attraggono. Nel caso specifico delle interazioni tra l’idrogenione e le molecole di acqua o l’ossidrilione e le molecole di acqua, l’interazione si stabilisce tra la carica positiva dell’idrogenione e le cariche negative presenti sugli atomi di ossigeno delle molecole di acqua; tra la carica negativa dell’ossidrilione e le cariche positive localizzate sugli atomi di idrogeno delle molecole di acqua.

I legami a idrogeno anzidetti, in realtà, non sono esclusivamente di natura elettrostatica. Esiste un altro modo per descriverli. Si possono prendere in considerazione gli orbitali molecolari. In altre aprole, si può dire che uno degli orbitali contenenti gli elettroni di non legame (ovvero una coppia solitaria) dell’atomo di ossigeno di una molecola di acqua, si combina con l’orbitale povero di elettroni dello ione idrogeno per la formazione della specie chimica  H3O+ . Quest’ultima a sua volta è caratterizzata da una vacanza elettronica (ovvero una carica positiva) delocalizzata sull’intera struttura, o meglio sui tre atomi di idrogeno legati all’ossigeno centrale. Una seconda molecola di acqua può interagire con la specie H3O+ attraverso la combinazione di un orbitale molecolare che contiene una delle coppie elettroniche solitarie dell’atomo di ossigeno con l’orbitale vuoto di uno degli atomi di idrogeno dello ione H3O+ . Queste interazioni, di natura covalente, si realizzano anche con gli altri atomi di idrogeno dello ione H3O+ .

Un discorso analogo va fatto per quanto riguarda l’interazione tra lo ione ossidrile e le molecole di acqua. La differenza rispetto a quanto accade tra acqua ed H3O+ è che nel caso dell’ossidrilione, l’orbitale ricco di elettroni è quello dello ione OH mentre quello povero di elettroni è l’orbitale presente negli atomi di idrogeno delle molecole di acqua.

Considerando quanto appena detto, ne viene che nel legame

può avvenire lo scambio

Ovvero quello che prima era un legame covalente diventa legame a idrogeno; quello che prima era un legame a idrogeno diventa legame covalente.

Quando lo scambio predetto si realizza sull’intera rete di legami a idrogeno del sistema acquoso, si ottiene la diffusione della carica positiva all’interno dell’acqua. La figura qui sotto chiarisce il movimento della carica elettrica come conseguenza dello scambio di cui si è parlato fino ad ora.

 

Un discorso analogo si può fare per la diffusione dello ione ossidrile all’interno della rete dei legami a idrogeno con le molecole di acqua:

Conclusioni I

Alla luce di quanto indicato, si evince che la diffusione degli ossidrili e degli idrogenioni in acqua non segue solo un meccanismo basato sul gradiente di concentrazione, ma anche quello fondato sullo scambio chimico conosciuto come meccanismo di Grotthus, dal nome del chimico Tedesco che per primo descrisse questo fenomeno che può essere valutato sperimentalmente attraverso tecniche di spettroscopia e conduttimetria.

Conclusioni II

Come si legge in questa “pillola di scienza”, la chimica può risultare veramente complessa se non si possiede padronanza con un certo tipo di linguaggio e con un certo modo di pensare. Nel rileggere questa nota mi sono reso conto di non aver utilizzato un linguaggio elementare. Me ne scuso con i miei lettori meno addentro al linguaggio chimico. Non sempre è facile fare lo “storytelling” di argomenti scientifici, specialmente quando questi necessitano di conoscenze di base non proprio banali.

Il lettore più curioso potrebbe chiedersi se questo meccanismo abbia una qualche utilità pratica oltre al piacere intellettuale di aver apportato una conoscenza di base al nostro bagaglio culturale. Ebbene sì. Questo meccanismo può spiegare la cinetica degli ioni (in questo caso H+ e OH ) nelle matrici ambientali come suoli ed acque. La dinamica degli ioni nei suoli è direttamente correlata alla fertilità. Come conseguenza, approfondire i meccanismi con cui le specie chimiche si “muovono” all’interno del suolo può aiutare a comprendere in che modo possiamo agire non solo per migliorare la fertilità dei suoli, ma anche per il recupero di ecosistemi stressati da attività agricole intensive necessarie alla nostra produzione alimentare.

Note e considerazioni

Gli orbitali molecolari che contengono le coppie solitarie degli atomi di ossigeno dell’acqua sono indicati come HOMO, ovvero “Highest Occupied Molecular Orbital”, orbitale molecolare a più alta energia occupato. Quelli non occupati presenti sugli atomi di idrogeno sono indicati come LUMO, ovvero “Lowest Unoccupied Molecular Orbital”, orbitale molecolare a più bassa energia non occupato.

Per saperne di più

La conduttanza ed il meccanismo di Grotthuss

La chimica dello ione idrogeno

Fonte dell’immagine di copertinahttp://www.chimica-online.it/download/legame-a-idrogeno.htm

Perché le dita raggrinziscono quando restano troppo tempo in acqua?

Quante volte vi è capitato di restare troppo tempo in acqua? E quante volte avete notato che uscendo dal bagno avete le punte delle dita raggrinzite? Vi siete mai chiesti perché? E vi siete mai chiesti qual è il vantaggio evolutivo che possiamo avere da una cosa del genere?

Sembra quasi banale, ma solo nel 2013 è stato pubblicato un lavoro serio in merito a questa questione. Quindi, non possiamo dire che le informazioni che sto per dare siano troppo vecchie. Si tratta di qualcosa che è stato spiegato solo ieri. Qui il link.

Veniamo al punto.

La Figura 1 mostra l’anatomia della nostra pelle. Fino a qualche anno fa, si riteneva che il raggrinzimento delle dita fosse dovuto a processi osmotici a carico dello strato corneo più esterno dell’epidermide. In realtà, il raggrinzimento è dovuto ad una riduzione del volume dello strato “polposo” dell’epidermide ed è controllato dal nostro sistema nervoso.

È facile dimostrare che l’aumento del numero di grinze sulla pelle corrisponde ad un aumento di area superficiale della stessa. Ho già riportato una dimostrazione di questo tipo per altri sistemi, ma la tipologia di ragionamento si applica anche per superfici come la pelle che raggrinzisce.

Un elevato valore di area superficialedella pelle sulla punta delle zampette dei gechi spiega, per esempio,  le loro caratteristiche anti-gravitazionali.

Figura 1 Anatomia della pelle. (Fonte: http://health.howstuffworks.com/skin-care/information/anatomy/skin1.htm)

Infatti, grazie alla loro elevata area superficiale, le dita dei gechi sono in grado di realizzare delle interazioni di Van derWaals molto forti con le superfici con cui vengono a contatto. Queste forze di attrazione sono così intense che riescono a vincere la forza peso che tenderebbe a spingere il geco verso la superficie terrestre.

L’aumento di area superficiale delle dita umane, conseguente al raggrinzimento per immersione prolungata in acqua, ha un significato evolutivo preciso secondo i ricercatori della Newcastle University. A quanto pare abbiamo conservato questa caratteristica perché ci serve per poter usare le mani, senza che gli oggetti ci scivolino, in condizioni di elevata umidità o quando siamo sott’acqua. L’aumento di area superficiale, dovuto agli impulsi nervosi che consentono la diminuzione del volume della polpa epidermica, aumenta la capacità di presa grazie all’intensificarsi delle forze di interazione superficiale tra le nostre dita e ciò che afferriamo.

Non c’è che dire. I fenomeni naturali sono sempre affascinanti

Fonte dell’immagine di copertina: https://www.themarysue.com/water-wrinkles-purpose/

Radar e carote. Quando le bufale aiutano a vincere la guerra

Radar e carote. Cosa c’entrano radar e carote gli uni con le altre? E perché le sciocchezze, oggi indicate col termine “bufala”, aiutano a vincere la guerra?

In realtà si tratta di un aneddoto che risale al secondo conflitto mondiale e che ha coinvolto scienza e scienziati in relazione al fatto che gli anni immediatamente precedenti la guerra sono stati ricchi di scoperte scientifiche nel campo biochimico. Fu infatti tra gli anni Venti e Trenta del Ventesimo secolo che venne individuato il ruolo di molte vitamine tra cui la vitamina A o retinolo.

Si scoprì che precursore di questa molecola, importante anche nei processi chimici legati alla visione (una rappresentazione di tale processo è nella figura di copertina), era il beta-carotene, molecola contenuta in parecchi alimenti di origine vegetale, tra cui le carote.

La seconda guerra mondiale conta diversi episodi di coraggio e tantissime innovazioni tecnologiche. Una di queste fu l’invenzione del radar  che, durante la battaglia d’Inghilterra, fu risolutivo per la sconfitta della Luftwaffe e la determinazione dell’andamento della guerra.

Ed allora cosa c’entrano radar e carote? In che modo sono correlati tra di loro?

Si narra che i Tedeschi fossero alla ricerca dei motivi per cui i piloti della RAF (Royal Air Force) fossero superiori a quelli della Luftwaffe. I primi pare sapessero anticipare le mosse dei secondi potendo colpirli ed abbatterli in tempi molto rapidi. Il trucco era nell’uso della tecnologia del radar che consentiva di “vedere” gli aerei nemici molto tempo prima del loro arrivo nei pressi delle bianche scogliere di Dover.

Ma c’era la guerra. Il radar ed il suo innovativo uso in campo bellico doveva essere protetto. Non si poteva permettere che una tale tecnologia cadesse nelle mani del nemico.

Cosa inventò il controspionaggio Inglese? Approfittando delle delucidazioni biochimiche in merito ai processi della visione e dal ruolo svolto dal beta-carotene come precursore del retinolo, le spie Inglesi sparsero la voce che la superiorità in battaglia del piloti della RAF fosse dovuta alla loro alimentazione a base di carote. Esse consentivano il potenziamento della vista dei militari che, per questo, erano in grado di individuare gli aerei nemici con largo anticipo rispetto al loro arrivo sulle coste Britanniche.

Non si sa se i Tedeschi abbiano abboccato ad una simile sciocchezza. In ogni caso, ancora oggi sia le mamme Inglesi che quelle Tedesche hanno una predilezione per le carote come alimento principe per la nutrizione dei loro pargoli.

Per saperne di più 

Le carote e la vista

La biochimica della visione

Fonte dell’immagine di copertina http://www.oilproject.org/lezione/come-funziona-la-vista-sono-utili-carote-beta-carotene-5280.html

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