Introduzione
Qualche giorno fa ho pubblicato un breve articolo [link] in cui riflettevo sull’uso sempre più frequente della locuzione “lo dice la scienza” nella divulgazione scientifica. Ho notato come molte riviste accreditate e numerosi divulgatori ricorrano a questa espressione per rafforzare le conclusioni dei propri ragionamenti.
In quell’articolo evidenziavo come tale locuzione sia problematica sia sul piano dei contenuti sia su quello della comunicazione: la scienza non è un soggetto che parla, non produce verità assolute e non funziona per atti di fede.
A seguito della pubblicazione, si è sviluppata una discussione pubblica con un lettore (Figura 1) che rappresenta un caso interessante di fraintendimento del confine fra metodo scientifico e decisioni normative. È questo scambio, più che le persone coinvolte, a costituire l’oggetto dell’analisi che segue.
Figura 1. Estratto di uno scambio pubblico avvenuto nei commenti a un articolo precedente. Il dialogo è riportato come caso studio per illustrare alcuni fraintendimenti ricorrenti nel dibattito pubblico sul rapporto fra metodo scientifico e decisioni normative. Lo scopo non è valutare le persone coinvolte, ma analizzare gli argomenti e i passaggi concettuali.
Il metodo scientifico non “impone” nulla
Uno degli equivoci più ricorrenti nel dibattito pubblico consiste nel trattare la scienza come un’autorità normativa, capace di imporre comportamenti, obblighi o divieti. Ma il metodo scientifico non ha questo ruolo.
La scienza:
- formula ipotesi,
- raccoglie dati,
- costruisce modelli,
- li testa e li migliora.
Non decide cosa si deve fare.
Le decisioni — sanitarie, politiche, sociali — sono sempre atti normativi, presi da istituzioni e governi sulla base delle evidenze disponibili, ma anche di valutazioni etiche, economiche e sociali.
Confondere questi due piani significa attribuire alla scienza un potere che non ha, e allo stesso tempo criticarla per responsabilità che non le competono.
Il dubbio scientifico non è sospensione permanente del giudizio
Un secondo elemento che emerge chiaramente dal caso studio è l’uso improprio del concetto di dubbio. Nel linguaggio scientifico, il dubbio non è sinonimo di paralisi o relativismo.
Il dubbio scientifico serve a:
- migliorare i modelli,
- individuare limiti,
- integrare nuovi dati.
Non serve a rinviare indefinitamente ogni decisione in attesa di una verità finale e immutabile. In contesti reali, non decidere è comunque una scelta, con conseguenze misurabili.
Il fatto che la scienza evolva nel tempo non implica che “tutto sia ugualmente vero” in ogni momento. Implica, piuttosto, che le decisioni vengono prese con le migliori conoscenze disponibili in quel momento, sapendo che potranno essere aggiornate.
Quando il metodo scientifico viene trattato come ideologia
Nel botta e risposta riportato in Figura 1 compare anche un altro fraintendimento tipico: l’idea che difendere il metodo scientifico significhi trasformarlo in una sorta di religione laica, intollerante al dissenso.
In realtà accade spesso l’opposto:
chi riduce la scienza a un dogma finisce per trattarla come un’ideologia, mentre chi la riduce a una semplice opinione finisce per svuotarla di significato.
Il metodo scientifico non è né una fede né un’opinione. È uno strumento critico, fallibile e autocorrettivo. Ed è proprio questa sua natura a renderlo affidabile.
Perché questo caso è esemplare
Lo scambio riportato non è un’eccezione. È rappresentativo di un modo molto diffuso di discutere di scienza nello spazio pubblico, in cui:
- il metodo scientifico viene confuso con le sue applicazioni normative;
- il dubbio viene usato come scudo retorico, non come strumento di analisi;
- l’evoluzione delle conoscenze viene interpretata come prova di arbitrarietà.
Analizzare casi concreti come questo è utile non per “avere ragione”, ma per chiarire dove avviene lo slittamento concettuale.
Conclusione
Dire “lo dice la scienza” è una scorciatoia comunicativa che finisce per alimentare proprio i fraintendimenti che vorrebbe evitare. La scienza non parla, non impone e non promette certezze assolute. Fornisce strumenti per comprendere la realtà e basi razionali su cui costruire decisioni collettive.
Confondere questi piani non rafforza la scienza: la indebolisce.
Ed è solo mantenendo chiaro il confine fra metodo scientifico e decisioni normative che il dibattito pubblico può tornare ad essere, davvero, razionale.



